La servitù delle donne/III

Da Wikisource.
III

../II ../IV IncludiIntestazione 20 maggio 2008 75% Saggi

II IV


Io suppongo che non incontrerei soverchia difficoltà nel persuadere a coloro che mi hanno seguito nello svolgimento della questione dell’eguaglianza della donna e dell’uomo nella famiglia, che questo principio d’eguaglianza completa trascina seco un’altra conseguenza, l’ammissibilità delle donne alle funzioni ed alle occupazioni che fino ad oggi furono privilegio esclusivo del sesso forte. Io credo che se si colpiscono ancora d’incapacità per queste occupazioni, è per mantenerle nello stesso stato di subordinazione in seno della famiglia, perchè gli uomini non possono ancora rassegnarsi a vivere con degli eguali. Senza questo, io penso, quasi tutti, nello stato attuale dell’opinione in politica ed in economia politica, riconoscerebbero ingiusto escludere la metà della razza umana dal massimo numero delle occupazioni lucrose, e da quasi tutte le funzioni elevate, e di decretare, o che dalla nascita le donne non possono divenire capaci di coprire impieghi legalmente aperti ai membri più stupidi e vili dell’altro sesso, o che, malgrado le loro attitudini questi impieghi saranno loro chiusi, ed esclusivamente riserbati agli individui maschi. Nei due ultimi secoli non si pensava quasi ad invocare altra ragione che il fatto stesso per giustificare l’incapacità legale delle donne, e non si attribuiva all’inferiorità d’intelligenza alla quale niuno credeva realmente, in un’epoca, nella quale le lotte politiche ponevano le capacità personali ad una prova dalla quale le donne non erano tutte escluse. La ragione che si adduceva allora non era l’inettitudine delle donne, ma l’interesse della società, cioè, l’interesse degli uomini, nella guisa stessa che la ragion di Stato voleva dire allora le convenienze dei governi ed il sostegno delle autorità esistenti, e bastava per ispiegare, iscusare i delitti più orribili. Ai giorni nostri il potere tiene un linguaggio più benigno e quando egli opprime qualcuno, pretende sempre di farlo pel suo bene. È in virtù di questo cangiamento che quando si interdice alla donna una cosa, si crede bene d’affermare e necessario di credere, che aspirandovi, esse escono dalla vera via della felicità. Perchè questa ragione fosse, non dirò buona, ma plausibile, bisognerebbe che la si ponesse innanzi, andando più lungi, che alcuno ha per anco osato fare in faccia all’attuale esperienza. Non basta sostenere che le donne sono in media meno dotate degli uomini delle alte facoltà mentali, o che vi siano meno donne che uomini capaci delle funzioni che vogliono più grande intelligenza. È d’uopo pretendere assolutamente che nessuna donna vi sia, atta a queste funzioni, e che le donne più eminenti sono inferiori per la qualità dello spirito all’uomo il più mediocre, al quale non sono ora precluse queste funzioni; poichè se la funzione è posta a concorso, o data a scelta con tutte le guarentigie capaci di salvaguardare il pubblico interesse, non si ha luogo a temere che alcun impiego importante cada nelle mani di donne inferiori alla media degli uomini, o soltanto alla media dei loro competitori di sesso mascolino. Tutto il peggio che potrebbe capitare sarebbe che vi fossero meno donne che uomini in questi impieghi: il che avverrebbe in ogni caso, perchè la massima parte delle donne preferirebbe probabilmente sempre la sola funzione che niuno potrebbe loro contendere. Ora il detrattore più accanito delle donne non si arrischierà di negare che se all’esperienza del presente si aggiunge quella del passato, le donne, non in piccolo, ma in gran numero, si siano mostrate capaci di fare tutto quel che fanno gli uomini, senza alcuna eccezione forse e di farlo con successo completo. Tutto quel che si può trovare a ridire si è che v’hanno delle cose nelle quali esse non han riescito tanto bene quanto certi uomini, che ve n’hanno molte nelle quali non hanno ottenuto il primo rango: ma ve n’ha assai poche, di quelle che dipendono soltanto dalle facoltà intellettuali, nelle quali esse non abbiano raggiunto il secondo rango. Non è questo sufficiente, non è troppo, per provare che la è una tirannia per le donne ed un danno per la società il vietar loro di concorrere cogli uomini per l’esercizio di queste funzioni? Non si sa egli forse da ognuno che queste funzioni sono sovente occupate da uomini assai meno atti a disimpegnarle di molte donne? E forse che questo non accade in tutte le gare? V’è egli tanta copia d’uomini atti alle alte funzioni, perchè la società sia in diritto di rigettare i servigi di un soggetto competente? Siamo noi così sicuri di trovare sempre alla mano un uomo atto a tutte le funzioni sociali importanti che rimanessero vacanti, perchè non vi sia niente da perdere nel colpire d’incapacità la metà dell’umana specie, ricusando anticipatamente di tener conto delle sue facoltà, per quanto distinte esser possano? Quand’anche potessimo farne senza, come conciliare la giustizia col rifiuto che noi loro facciamo della loro parte di onori e di distinzioni, o del dritto morale di tutti gli umani a scegliersi le loro occupazioni (quelle eccettuate che nuocono ad altrui) dietro le individuali vocazioni, ed a loro proprio rischio? E non è qui che s’arresta la ingiustizia: essa colpisce anche coloro che potrebbero approfittare del servigio di queste donne. Decretare che delle persone siano escluse dalla professione medica, dal foro, o dal parlamento, non è ledere quelle persone soltanto, è ledere tutte quelle altresì che vorrebbero impiegare i loro servigii nella medicina, nel foro, nel parlamento; è sopprimere a loro detrimento l’influenza eccitante che un maggior numero di concorrenti eserciterebbe sui competitori, è restringere il campo sul quale la loro scelta può esercitarsi.

Io mi limiterò nei particolari della mia tesi alle funzioni pubbliche; questo basterà, io credo, poichè se riesco sopra questo punto, mi si accorderà facilmente che le donne dovrebbero essere ammissibili a tutte le altre occupazioni alle quali può loro convenire di essere ammesse. Io comincerei da una funzione assai diversa da tutte l’altre, della quale non si può loro contendere l’esercizio, per qualche obiezione cavata dalle loro facoltà. Voglio parlare del suffragio per le elezioni parlamentari e municipali. Il dritto di prender parte alla scelta di quelli che devono ricevere un pubblico mandato, è una cosa affatto distinta dal diritto di concorrere per ottenere il mandato. Se non si potesse votare per un membro del parlamento se non alla condizione di avere le qualità che deve possedere un candidato, il governo sarebbe un oligarchia ben ristretta. Il diritto di una voce sulla scelta della persona dalla quale si dev’essere governati è un’arma di protezione che non dev’essere rifiutata a nessuno di quelli stessi che sono i meno atti ad esercitare le funzioni governative. È presumibile che le donne sono atte a far questa scelta, dacchè la legge gliene dà loro il diritto nel caso più grave per esse. La legge permette alla donna di scegliere l’uomo che deve governarla fino alla morte, e suppone sempre che questa scelta è fatta volontariamente. Nel caso d’elezione per le pubbliche funzioni, tocca alla legge a circondare l’esercizio del diritto di suffragio, di tutte le guarentigie e restrizioni necessarie: ma qual che esse siano queste guarentigie non ne occorrono di più per le donne che per gli uomini. Qualch’esse siano le condizioni e le restrizioni, sotto le quali gli uomini sono ammessi a prender parte al suffragio non v’è ombra di ragione per non ammettervi le donne alle stesse condizioni. La maggioranza delle donne di una data classe non differirebbe probabilmente dall’opinione della maggioranza degli uomini della stessa classe, a meno che la questione non volgesse sugli interessi stessi del suo sesso, nel qual caso esse avrebbero bisogno del diritto di suffragio, come dell’unica guarentigia che i loro reclami verranno esaminati con giustizia. Questo deve risultare evidente per coloro stessi che non dividono alcune altre delle opinioni ch’io qui difendo. Quand’anche tutte le donne fossero spose, quand’anche tutte esser dovessero schiave, non sarebbe men necessario di dare a queste schiave una professione legale; poichè sappiamo troppo bene qual protezione possono gli schiavi aspettarsi, quando le leggi sono fatte dai padroni.

Quanto all’attitudine delle donne a partecipare alle elezioni non solo, ma ad esercitare eziandio pubbliche funzioni, o professioni gravate di pubblica responsabilità, ho già fatto notare che questa considerazione nè giova nè pregiudica il fondo della questione pratica che discutiamo, dappoichè ogni donna, che riescisse nella professione che le viene aperta, prova perciò stesso che ne è capace e che per le cariche pubbliche, se il politico regime del paese è costituito in modo da escludere l’uomo incapace, escluderà medesimamente la donna incapace, mentre che, se è costituito altrimenti, il male non sarà diverso nè maggiore, perchè l’incapace risulti una donna invece di un uomo. Dacchè si riconosce a delle donne, per quanto scarso ne sia il numero, la capacità di occupare queste cariche, le leggi che lo negano loro non potrebbero giustificarsi coll’opinione che si potrebbe avere della generalità delle donne. Ma se questa considerazione non tocca il nerbo della questione, essa è ben lungi dall’essere senza valore; esaminata senza pregiudizi, essa dà una forza nuova all’argomento contro le incapacità delle donne, e gli presta l’appoggio di alte ragioni di pubblica utilità.

Rimoviamo dapprima ogni considerazione psicologica che tenderebbe a provare che le pretese differenze mentali fra l’uomo e la donna non sono che il naturale effetto della loro educazione, chè esse non accennano nella loro natura ad alcuna differenza sentita non che ad alcuna inferiorità radicale. Guardiamo le donne quali sono, o quali si sa che sono state, e giudichiamo l’attitudine ch’esse hanno manifestata nelli affari. È ovvio ch’esse possono fare per lo meno quello che han fatto, se non di più. Se si pon mente alla cura colla quale si diverte la loro educazione dagli oggetti e dalle occupazioni riserbate agli uomini, in luogo di prepararvele si vedrà, ch’io non mi mostro quasi esigente in loro favore quando mi appago di prender per base quel ch’esse han fatto realmente. Infatti, una prova negativa non avrebbe qui che un piccolo peso, ma la più leggera prova positiva è senza obiezione. Non si può concludere essere impossibile ad una donna essere un Omero, un Aristotile, un Michelangelo, un Beethoven, per la ragione che nessuna donna fin qui ha prodotto capolavori comparabili a quelli di questi genii potenti, nella specialità nella quale hanno brillato. Questo fatto negativo lascia la questione indecisa e l’abbandona alle discussioni psicologiche. Ma è però certo che una donna può essere una regina Elisabetta, una Debora, una Giovanna d’Arco. Ecco dei fatti e non dei ragionamenti. Ora è strano a vedersi che le sole cose che la legge attuale impedisce alle donne di fare, sono quelle delle quali si son mostrate capaci. Nessuna legge vieta alle donne di scrivere i drammi di Shakespeare, nè le opere di Mozart; ma la regina Elisabetta e la regina Vittoria, se non avessero ereditato il trono, non avrebbero potuto ricevere la più infima funzione politica, e tuttavia la prima si è mostrata all’altezza delle più elevate.

Se l’esperienza prova qualche cosa, all’infuori da ogni analisi psicologica, si è che le cose, che le donne non sono ammesse a fare sono quelle appunto per le quali esse hanno una particolare attitudine, poichè la loro vocazione per il governo si è fatta luce ed ha brillato nelle rare circostanze che furono loro date, mentre che nelle vie gloriose, che loro erano aperte apparentemente, esse sono lungi d’aver brillato con pari splendore. La storia ci mostra un piccol numero di regine comparativamente al numero dei re, ed ancora in questo piccol numero, la proporzione delle donne che mostrarono i talenti del governo è assai più grande, benchè parecchie abbiano occupato il trono in circostanze difficili. È da por mente altresì ch’esse si sono sovente distinte per le qualità le più opposte al tipo convenzionale ed imaginario che si attribuisce al loro sesso: esse furono rimarchevoli tanto per la fermezza ed il vigore che hanno impresso al loro governo, quanto per la loro intelligenza. Laddove alle regine ed alle imperatrici, aggiungiamo le reggenti e governatrici delle provincie, la serie delle donne che hanno brillantemente governato gli uomini diventa lunghissima. Questo fatto è così incontestabile, che, per rispondere all’argomento ostile al principio stabilito, si è ricorso ad un insulto nuovo, e si è detto che, se le regine valgono meglio dei re, è perchè sotto i re le donne governano, mentre sotto le regine governano gli uomini.

È forse perdere il tempo, il rispondere ad una facezia di cattivo gusto: ma questa sorta di argomenti fanno dell’impressione sulli spiriti, ed ho inteso citare questo motto da persone che sembravano trovarvi qualche cosa di serio. Per lo meno esso servirà di punto di partenza nella discussione. Io nego dunque che sotto i re le donne governino. Gli esempi, se ve n’hanno, sono affatto eccezionali e se i re deboli hanno governato male, fu tanto sotto l’influenza dei loro favoriti che sotto quella delle loro favorite. Quando una donna conduce un re per l’amore, non v’è a sperare un buon governo, benchè vi siano eccezioni in compenso, la storia di Francia ci mostra due re che hanno volontariamente dato la direzione degli affari, durante parecchi anni, l’uno a sua madre, l’altro a sua sorella: questo, Carlo VIII, era un fanciullo, ma seguiva in ciò le istruzioni di suo padre Luigi XI: l’altro, Luigi IX, era il più energico ed il migliore dei re che abbia occupato il trono dopo Carlomagno. Queste due principesse governarono in guisa che nessun principe del loro tempo le ha sorpassate1. L’imperator Carlo V, il più abile sovrano del suo secolo, che ebbe al suo servizio tanti uomini di talento, quanti altro principe non ebbe giammai, e che era pochissimo inclinato ad immolare ai suoi interessi i suoi sentimenti, diede, durante tutta la sua vita, il governo dei Paesi Bassi successivamente a due principesse della sua famiglia (che furono poscia sostituite da una terza) e la prima Margherita d’Austria, fu l’uno dei migliori politici del secolo. Eccone quanto basta per questo aspetto della questione, passiamo all’altro. Quando si dice che sotto le regine gli uomini governano, s’intende forse la cosa stessa che quando si accusano i re di lasciarsi condur dalle donne? Si vuol forse dire che le regine scelgano ad istrumenti di governo gli uomini che associano ai loro piaceri? Questo risulta poco, anche nelle principesse le meno riservate in materia di piaceri, come Catterina II per esempio; e non è là che è d’uopo cercare il buon governo che si attribuisce all’influenza degli uomini. Se sotto il regno di una donna, l’amministrazione è affidata ad uomini migliori che non sotto la media dei re, bisogna dire che le regine abbiano maggior attitudine dei re, a sceglierli, e ch’esse siano più degli uomini fatte non solo per occupare il trono ma eziandio per fungere le funzioni di primo ministro: poichè la parte principale del primo ministro non è già di governare personalmente, ma di trovare le persone più atte a condurre ciascun dicastero dell’ordine pubblico. È vero che si accorda generalmente alle donne, fra gli altri vantaggi sugli uomini, la facoltà di scoprire più rapidamente di essi il fondo dei caratteri, e che questo vantaggio deve renderle, a parità di circostanze, più atte delli uomini alla scelta dei loro istrumenti, il che è al postutto l’affare più importante per chiunque deve governare. L’immorale Catterina de’ Medici ha saputo ella pure apprezzare il valore d’un cancelliere de l’Hòpital. Ma è vero altresì che le più grandi regine, furono grandi pel loro proprio talento, ed è per questo che furono ben servite. Elleno han tenuto nelle loro mani la direzione suprema degli affari, ed ascoltando buoni consiglieri, hanno dato la prova migliore del loro giudizio che le rendeva atte a trattare le più grandi questioni del governo. È egli ragionevole di pensare che persone atte a fungere le più alte funzioni politiche, siano inette a disimpegnare le minime? V’ha egli una ragione nella natura delle cose che faccia le mogli e le sorelle dei principi capaci quanto i principi stessi pei loro affari, e che renda le mogli e le sorelle degli uomini di stato, degli amministratori, dei direttori di compagnie, e dei capi di stabilimenti pubblici, incapaci di fare le cose stesse che i loro fratelli ed i loro mariti? Questa ragione salta agli occhi. Le principesse sono collocate per nascita molto più al disopra della generalità delli uomini di quel ch’esse ne siano al disotto pel sesso, e non si è giammai creduto ch’esse non avessero il diritto di occuparsi di politica; all’opposto si è loro riconosciuto il diritto di prendere, a tutti gli affari che si agitano intorno a loro, ed ai quali possono trovarsi mischiate, l’interesse generoso che provano naturalmente tutti gli umani. Le dame delle famiglie regnanti sono le sole alle quali si riconoscano gli stessi interessi e la medesima libertà che agli uomini, ed è precisamente fra loro che non si trova inferiorità. Dovunque e nella misura colla quale si è posto alla prova la capacità delle donne pel governo, furono sempre trovate all’altezza del loro compito.

Questo fatto concorda colle conclusioni generali che sembra suggerire l’esperienza tuttora imperfetta delle tendenze speciali e delle attitudini caratteristiche delle donne, quali le donne furono fin qui. Non dico, quali continueranno ad essere, poichè l’ho già dichiarato più di una volta, io credo essere presunzione asserire ciò che le donne sono o non sono, ciò che possono essere o non essere in forza della loro naturale costituzione. In luogo di lasciarle sviluppare spontaneamente si sono fin qui tenute in uno stato così opposto alla natura ch’esse hanno dovuto subire modificazioni artificiali. Niuno può affermare che se fosse permesso alla donna di scegliere al par dell’uomo la sua via, se non si cercasse che di darle la piega voluta dalle condizioni della vita umana e necessaria ai due sessi, vi sarebbe stata differenza essenziale, ovvero una differenza qualunque nel carattere e nelle attitudini che verrebbero a svilupparsi. Dimostrerò or ora che fra le attuali differenze, le meno contestabili possono molto bene essere il prodotto delle circostanze senza che s’abbia differenza nelle capacità naturali. Ma se si considerano le donne quali l’esperienza ce le dimostra, si può dire con maggior verità, che non per tutt’altra proposizione generale delle quali esse siano il soggetto, che i loro talenti sono generalmente rivolti verso la pratica. Tutto quel che la storia racconta delle donne sì nel passato che nel presente lo conferma e l’esperienza di tutti i giorni lo conferma non meno. Consideriamo le attitudini dello spirito che caratterizzano più sovente le donne d’ingegno, e son tutte proprie alla pratica e le si rivolgono. Si dice che la donna ha la facoltà d’intuire. Che cosa significa questo? L’intuizione è senza dubbio una veduta rapida ed esatta del fatto presente. Questa facoltà non ha che fare coi principi generali. Niuno arriva per intuizione ad afferrare una legge della natura, nè a conoscere una legge generale di dovere e di prudenza. Per questo bisogna raccogliere lentamente ed accuratamente dei fatti e poi compararli; e nè le donne, nè gli uomini d’intuizione brillano d’ordinario in questa parte della scienza, a meno però che l’esperienza necessaria non sia tale che possano acquistarla da per sè stessi. Poichè ciò che si chiama la loro sagacità d’intuizione è una facoltà che li rende idonei a raccogliere le verità generali che sono a portata della loro personale intuizione. Quando dunque il caso fa sì che le donne posseggano quanto gli uomini i risultati dell’esperienza altrui, per la lettura o l’istruzione, (mi servo pensatamente del vocabolo caso, perchè le sole donne istruite nelle cognizioni che rendono atti ai grandi affari, sono quelle che si sono istruite di per sè) esse sono meglio armate che la pluralità degli uomini degli strumenti, che fan riescire la pratica. Gli uomini, che han ricevuto molta coltura, sono esposti a trovarsi in difetto ed a non capir nulla di un fatto che si erge davanti a loro, essi non vi vedono sempre ciò che realmente vi si trova, essi vi vedono, quel che si è loro insegnato trovarsi. Questo non arriva che assai di rado alle donne di una certa capacità. La loro facoltà d’intuizione ve le preserva. Colla stessa esperienza e la medesima facoltà generale, una donna vede ordinariamente assai meglio d’un uomo ciò che le sta immediatamente dinnanzi. Ora questa sensibilità per le cose presenti è la principale qualità dalla quale dipende l’attitudine alla pratica nel senso in cui si oppone alla teoria. La scoperta di principi generali appartiene alla facoltà speculativa; la scoperta e la determinazione dei casi particolari, ai quali i principii sono o non sono applicabili, risulta dalla facoltà pratica: e le donne, quali sono oggi giorno, hanno sotto questo rapporto un’attitudine particolare. Io riconosco che non può esservi buona pratica senza principii, e che l’importanza prevalente, che la rapidità d’osservazione tiene nello spirito delle donne, le rende particolarmente atte a fabbricare delle generalizzazioni affrettate sulla loro personale osservazione, sebbene prontissime ad emendarle, mano mano che la loro osservazione acquista una più grande istruzione. Ma questo difetto si correggerà quando le donne avranno libero accesso all’esperienza dell’umanità, ed alla scienza. Per aprirla loro, nulla di meglio che l’educazione. Gli anni di una donna sono della stessa lega di quelli d’un uomo intelligente che si è istruito da sè: essa vede spesso quel che gli uomini allevati nel metodo non vedono, ma cade in abbagli, per non conoscere le cose da lunga pezza conosciute. Naturalmente, questi hanno preso largamente dalle cognizioni già accumulate, senza questo non sarebbero arrivati a nulla, ma quel che ne sanno, fu preso a caso ed a frammenti come le donne.

Se questa attrazione dello spirito della donna verso il fatto reale, presente, attuale, è per sè ed esclusivamente considerata, una sorgente di errori, è altresì il più utile rimedio all’errore opposto. L’aberrazione principale degli spiriti speculativi, quella che meglio li caratterizza, è precisamente il difetto di questa percezione viva e sempre presente del fatto obiettivo; pel qual difetto essi sono esposti, non solo a trascurare la contraddizione che i fatti esteriori possono opporre alle loro teorie, ma a perdere ancora totalmente di vista lo scopo legittimo delle loro speculazioni, ed a lasciare le loro facoltà divagarsi nelle regioni spopolate di enti animati e inanimati, e neppure idealizzati, ma solo ammobigliate da ombre create dalle illusioni della metafisica o dal puro accatastarsi delle parole che vi si danno pei veri oggetti della più alta e trascendentale filosofia. Per un ingegno teorico e speculativo, che s’adopera non già a raccogliere materiali, per l’osservazione, ma a mettersi in opera con delle operazioni intellettuali, ed a trarne leggi scientifiche o regole generali di condotta, nulla più di utile che spingere le sue speculazioni coll’aiuto e sotto la critica di una donna veramente superiore. Non v’ha nulla di meglio per mantenere il suo pensiero nei limiti dei fatti attuali e della natura. Una donna si lascia di rado divagare dalle astrazioni. La tendenza abituale del suo spirito ad occuparsi delle cose separatamente piuttosto che in gruppi, e, quel che strettamente ritiene, il suo vivo interesse pei sentimenti delle persone che le fa di preferenza considerare in tutte le cose il lato pratico, il modo col quale le persone saranno impressionate, queste due disposizioni non l’inclinano a prestar fede ad una speculazione che dimentica gli individui e tratta le cose come se non esistessero che in vista di qualche entità imaginaria, pura creazione dello spirito, che non può ricondursi a sentimenti d’esseri viventi. Le idee delle donne sono dunque utili a dare realtà a quelle di un pensatore, come le idee degli uomini a dare estensione a quelle delle donne. Quanto alla profondità, che significa altra cosa che la larghezza, dubito assai che, anche attualmente, le donne abbiano comparativamente agli uomini qualche svantaggio.

Se le qualità mentali delle donne, quali sono già, possono prestare questa assistenza alla speculazione, esse vi giuocano una parte ancora più grande quando la speculazione ha già fatto l’opera sua, e si tratta di applicarne i risultati. Per le ragioni suesposte, le donne sono incomparabilmente meno esposte a cadere nell’abbaglio comune agli uomini, di rimanere attaccati alla regola quando la regola non è applicabile, o ch’egli è necessario di modificarla nell’applicazione. Esaminiamo ora un’altra superiorità che si riconosce alle donne intelligenti: una prontezza d’impredimento maggiore assai che nell’uomo. Forse che questa qualità quando prevale non fa la persona idonea agli affari? Nell’azione, l’esito dipende sempre da una pronta deliberazione. Nella speculazione, nulla di simile, un pensatore può aspettare, prender tempo a riflettere, chiedere novelle prove; egli non è costretto a completare d’un tratto la sua teoria per timore che l’occasione gli sfugga. Il potere di cercare la miglior conclusione possibile da dati insufficienti, non è, egli è vero, senza utile in filosofia: la costruzione di un’ipotesi provvisoria in accordo coi fatti conosciuti è sovente la base necessaria di ricerche ulteriori. Ma è questa una facoltà piuttosto vantaggiosa che indispensabile in filosofia, e per questa operazione ausiliare come per la principale, il pensatore può pigliarsi il tempo che gli pare. Niente l’obliga ad affrettarsi, egli ha bene piuttosto d’uopo di pazienza, per lavorare lentamente finchè i vaghi albori ch’egli intravvede siano divenuti splendida luce, e che la sua congettura si sia fissata sotto la forma d’un teorema. Per quelli invece che hanno a fare col fuggitivo e col perituro, ai fatti particolari e non alla specie di fatti, la rapidità del pensiero non la cede in importanza che alla facoltà stessa di pensare. Colui che non ha le sue facoltà ai suoi ordini immediati, nei momenti nei quali bisogna agire, se ne sta come le mancassero del tutto. Egli può essere atto alla critica, non all’azione. Ora è in questo che le donne, e gli uomini che più rassomigliano alle donne, hanno una superiorità riconosciuta. Gli altri uomini per quanto eminenti siano le loro facoltà, giungono tardi ad averle tutte al loro comando. La rapidità del giudizio e la prontezza d’un’azione giudiziosa anche nelle cose che si sanno meglio, sono in loro il risultato graduale e lento di uno sforzo rigoroso divenuto abituale. Si dirà forse che la suscettibilità nervosa maggiore nelle donne le rende improprie alla pratica in tutto ciò che non è la vita domestica, perchè le rende mobili o volubili, troppo soggette all’influenza del momento, incapaci di una perseveranza ostinata, ch’esse non sono sempre sicure di essere padrone delle loro facoltà. Io credo che queste parole riassumono la maggior parte delle obiezioni per le quali si contesta comunemente l’attitudine delle donne per gli affari d’ordine superiore. La maggior parte di questi difetti, tiene unicamente ad un eccesso di forza nervosa che si spende, e cesserebbero dacchè questa forza potesse impiegarsi alla ricerca di uno scopo definito. Un’altra parte proviene eziandio dall’incoraggiamento che loro si è dato con o senza coscienza: noi ne vediamo le prove nella disparizione press’a poco completa degli attacchi nervosi e dei deliquii, dacchè son passati di moda. V’ha di più, quando persone, sono allevate come molte donne delle alte classi (questo, accade meno in Inghilterra che altrove) in serra calda, al riparo da tutte le variazioni d’aria e di tempo, e non sono state avvezzate agli esercizii ed alle occupazioni che stimulano e sviluppano i sistemi circolatorio e musculare, mentre il loro sistema nervoso, e sopratutto le parti di questo sistema devoluto alle emozioni, sono trattenute in uno stato d’attività anormale, non è a meravigliare che le donne che non muoiono di consunzione, acquistino costituzioni facili a sconcertarsi alla menoma causa esterna od interna, incapaci di sopportare un lavoro fisico o mentale che esiga uno sforzo lungo tempo continuato. Ma le donne allevate a guadagnarsi la vita non presentano queste particolarità morbose, a meno d’essere attaccate ad un lavoro sedentario eccessivo, e confinate in locali insalubri.

Quelle che in gioventù hanno fruito della salutare educazione fisica e della libertà dei loro fratelli, e che non han patito difetto d’aria e d’esercizio nel resto della loro vita, hanno raramente una suscettibilità di nervi eccessiva che li impedisce di prender parte alla vita attiva. È vero che v’hanno nell’uno e nell’altro sesso delle persone nelle quali una estrema sensibilità nervosa è costituzionale ed ha un carattere così marcato che impone all’insieme dei fenomeni vitali un’influenza più grande che ogni altro tratto della loro organizzazione. La costituzione nervosa al pari di altre fisiche disposizioni è ereditaria e si trasmette ai figli al par che alle figlie, ma è possibile e probabile che le donne ereditino più del temperamento nervoso che gli uomini. Partiamo da questo fatto: io domanderò se gli uomini di temperamento nervoso sono ritenuti improprii alle funzioni ed alle occupazioni che gli uomini compiono d’ordinario. Se no, perchè le donne d’egual temperamento lo sarebbero? Le particolarità del temperamento nervoso sono senza dubbio, in dati limiti, un ostacolo al successo in certe occupazioni, ed un aiuto in altre. Ma quando l’occupazione armonizza col temperamento, od anche nel caso contrario, gli uomini di sensibilità nervosa la più esagerata non mancano di darci i più brillanti esempi di successo. Essi si distinguono sopratutto perchè suscettibili di un più grande eccitamento che non quelli di un’altra costituzione fisica; le loro facoltà, quando sono eccitati, differiscono più che quelle delli altri uomini in quanto sono nella normalità, e s’innalzano, per dir così, al disopra di sè stessi, e fanno facilmente delle cose delle quali non sarebbero stati capaci in altri momenti. Ma questo sublime eccitamento, non è, salvo nelle costituzioni deboli, un lampo che si estingue tosto senza lasciare durevole traccia, e che non può applicarsi alla ricerca costante e ferma di un obietto. È proprio del temperamento nervoso di esser capace di un eccitamento sostenuto durante una lunga serie di sforzi. E quel che fa che un cavallo di razza, ben addestrato, corra, senza rallentarsi, fino alla morte. Questo si chiama aver del sangue. È questa qualità che ha fatto donne delicate, capaci di mostrare la più sublime costanza non sul rogo soltanto, ma attraverso a lunghe torture di corpo e di spirito che precedettero il loro supplizio. È evidente che questi temperamenti fanno le persone particolarmente atte a fungere le funzioni esecutive nel governo dell’umanità. È la costituzione essenziale dei grandi oratori, di tutti i moventi propagatori delle influenze morali. Si potrebbe riputare meno propizia alle qualità acquisite di uomo di stato, di gabinetto, o di magistratura. E sarebbe così quando fosse vero che una persona eccitabile sia in uno stato continuato di eccitamento. È questa una questione di educazione. Un’intensa sensibilità è lo strumento e la condizione che permette di esercitare sopra sè stesso, un potente impero, ma a quest’uopo ha bisogno d’essere coltivata. Ricevuta questa preparazione, essa non forma soltanto gli eroi di primo impeto; ma gli eroi della volontà che si padroneggia. La storia e l’esperienza provano che i caratteri più appassionati mostrano maggior costanza e rigidezza nel sentimento del dovere, laddove la passione sia guidata da questo senso. Il giudice che decide con giustizia in una causa contro i suoi più forti interessi, cava da questa stessa sensibilità il sentimento energico della giustizia che gli fa riportare sopra sè stesso tanta vittoria. L’attitudine a sentire questo sublime entusiasmo che cava fuori l’uomo dal suo carattere abituale reagisce sul carattere abituale. Quando l’uomo sta in questo stato eccezionale, le sue aspirazioni e facoltà divengono il tipo al quale paragona e pel quale apprezza i suoi sentimenti e le sue azioni delli altri momenti. Le tendenze abituali si modellano e si informano sopra questi nobili movimenti malgrado la loro fugacità, naturale effetto della costituzione fisica dell’uomo. Quel che ci consta delle razze e delli individui non ci prova che i temperamenti eccitabili siano in media meno atti alla speculazione ed alli affari che i temperamenti freddi. I Francesi e gli Italiani hanno certamente i nervi più eccitabili che non le razze teutoniche; e se si confrontano agli Inglesi, le emozioni giuocano una parte assai più importante nella loro vita quotidiana: ma forse chè i loro scienziati, i loro uomini di Stato, i loro legislatori, i loro magistrati, i loro capitani furono meno grandi? Abbiamo delle prove che i Greci antichi erano al par dei loro discendenti d’oggi una delle razze più eccitabili dell’umanità. È d’uopo informarci in qual genere di cose non siano stati eccellenti? È probabile che i Romani, meridionali anch’essi, avessero originariamente lo stesso temperamento; ma il rigore della nazionale disciplina fece di essi, come delli Spartani un tipo nazionale opposto, volgendo quel che v’era d’eccezionale nella forza naturale dei loro sentimenti a profitto delli artificiali. Se questi esempi mostrano quel che si può fare di un popolo, naturalmente eccitabile, i celti Irlandesi ci presentano il miglior esempio di quel che diviene abbandonato a sè stesso; se può dirsi, tuttavia, che un popolo è abbandonato sè stesso quando gli gravita addosso da secoli l’influenza indiretta di un cattivo governo, quello della Chiesa cattolica e della religione ch’ella insegna. Il carattere delli Irlandesi vuol esser dunque stimato un esempio sfavorevole, però dovunque le circostanze l’hanno concesso, qual popolo ha mai mostrato maggior attitudine per le forme diverse di superiorità? Come i Francesi comparativamente agli Inglesi, gli Irlandesi agli Svizzeri, i Greci e gl’Italiani ai popoli Germanici, le donne comparativamente agli uomini faranno complessivamente le stesse cose, e s’esse non ottengono pari successo, la differenza sarà piuttosto inerente al genere di successo che alla misura. Io non vedo la minima ragione di dubitare ch’esse non farebbero altrettanto bene laddove la loro educazione fosse rivolta a correggere le debolezze inerenti al temperamento in luogo di aggravarle.

Ammettiamo che lo spirito delle donne sia più mobile, meno capace di perseveranza nello stesso sforzo, più atto a sperperare le sue facoltà sopra molte cose, che non a percorrere una via fino alla sua meta più elevata, può darsi che sia così delle donne quali ora sono (benchè con molte eccezioni) e questo potrà spiegare perchè sono rimaste indietro agli uomini più eminenti nelle cose, appunto, che esigono una lunga serie di lavori. Ma questa differenza è di quelle che non attaccano che il genere di superiorità non la superiorità stessa, od il suo valore reale: e d’altronde resta a provarsi che questo impiego esclusivo di una parte dello spirito, questo assorbimento di tutta l’intelligenza sopra un solo argomento, e la sua concentrazione sopra un solo lavoro, sia la vera condizione delle facoltà umane anche pei lavori speculativi. Io credo che quel che fa acquistare questa concentrazione di spirito in una facoltà speciale, si perde nelle altre, ed anche nelle opere del pensiero astratto, ho imparato per esperienza, che lo spirito fa più ritoccando sovente sopra un problema difficile, che dandovisi senza interruzione. In ogni caso, nella pratica, dai suoi oggetti più elevati fino ai più bassi, la facoltà di passare rapidamente da un soggetto di meditazione ad un altro, senza che la vigoria del pensiero si rallenti nella transizione, ha ben maggiore importanza, e questa facoltà è posseduta dalle donne a cagione della stessa mobilità che loro si rimprovera. Esse la devono forse alla natura, ma certamente l’abitudine c’entra per molto; poichè quasi tutte le occupazioni delle donne, si compongono d’una moltitudine di particolari, a ciascuno dei quali lo spirito non può neppur consacrare un minuto, forzato com’è di passare ad altra cosa; in guisa che, se un oggetto reclama la loro attenzione maggiormente, è d’uopo prender sui momenti perduti per attendervi. Si è sovente notato la facoltà che hanno le donne di fare il lavoro del pensiero in circostanze ed in momenti in cui l’uomo si dispenserebbe dal tentarlo, e che, fosse egli pure occupato di piccole cose, lo spirito d’una donna non può starsene ozioso come lo spirito dell’uomo lo è così spesso quando non è invaso da ciò che vuol considerare come l’affare della sua vita. L’affare della vita d’una donna è tutto; e quest’affare non può cessare di camminare più che non il mondo possa cessare di circolare.

Ma, si dice, l’anatomia prova che gli uomini hanno una capacità mentale più grande delle donne: essi hanno il cervello più grosso. Rispondo dapprima questo fatto è contestabile. Si è lungi dall’aver constatato che il cervello di una donna sia più piccolo di quello dell’uomo. Se si cava questa conclusione unicamente da ciò, che il corpo della donna ha generalmente dimensioni minori di quello dell’uomo, è un modo questo di ragionamento che condurrebbe a strane conseguenze. Un uomo d’alta statura dietro questi principi, dovrebbe essere straordinariamente superiore per intelligenza ad un uomo piccolo, ed un elefante, od una balena, dovrebbero innalzarsi prodigiosamente al disopra dell’uomo. Il volume cerebrale varia molto meno che il volume del corpo od anche di quello della testa e non si può affatto concludere dall’uno all’altro. È certo che alcune donne hanno il cervello tanto sviluppato quanto qualsiasi uomo. A mia notizia, uno scienziato che aveva pesato molti cervelli umani, diceva, che il più pesante ch’egli avesse conosciuto, più pesante di quello stesso di Cuvier (il più pesante di tutti quelli il cui peso è riportato nei libri), era un cervello di donna. Debbo quindi far osservare che ancora non si conosce la relazione precisa che v’ha fra il cervello e le facoltà intellettuali, e che sussistono tuttavia su questo proposito molte controversie. Non è lecito dubitare che questa relazione sia strettissima. Il cervello è certamente l’organo del pensiero e del sentimento, e, senza arrestarmi alla grande controversia tuttora pendente della localizzazione delle facoltà mentali, ammetto che sarebbe anomalia ed eccezione a tutto quel che sappiamo della vita e dell’organizzazione, se il volume dell’organo fosse affatto indifferente alla funzione, se uno strumento più grande non desse una più grande potenza. Ma l’eccezione e l’anomalia non sarebbero meno grandi se l’organo non esercitasse la sua influenza che pel suo volume. In tutte le operazioni delicate della natura, fra le quali le più delicate sono quelle della vita (e fra queste quelle del sistema nervoso più di tutte l’altre) le differenze negli effetti dipendono tanto dalla differenza nella qualità degli agenti fisici, che nella loro quantità, e se la qualità d’un istrumento è attestata dalla delicatezza del lavoro che può fare, v’è molta ragion di pensare che il cervello ed il sistema nervoso della donna sono di una qualità più raffinata che il cervello ed il sistema nervoso dell’uomo. Lasciamo da parte la differenza astratta di qualità, cosa difficile a verificarsi. Si sa che l’importanza del lavoro di un organo dipende non solo dal suo volume, ma eziandio dalla sua attività, ed abbiamo la misura di questa nell’energia della circolazione interna dell’organo. Non sarebbe sorprendente che il cervello dell’uomo fosse più grande e che la circolazione fosse più attiva in quello della donna. È altresì un’ipotesi che si accorda con tutte le differenze che ci presentano le operazioni mentali dei due sessi. I risultati che l’analogia ci farebbe aspettare da questa differenza d’organizzazione corrisponderebbero a qualcuno di quelli che osserviamo d’ordinario. Dapprima si potrebbe annunciare che le operazioni mentali dell’uomo saranno più tarde, che d’ordinario il suo pensiero non sarà tanto pronto quanto quello della donna e che i suoi sentimenti non si succederanno così rapidamente come in lei. I corpi più estesi impiegano maggior tempo a porsi in azione. D’altra parte il cervello dell’uomo messo in gioco in tutta la sua forza darà più lavoro. Egli persisterà di più nella linea da principio adottata; durerà maggior fatica per passare da un modo d’azione ad un altro; ma nell’opera intrapresa potrà lavorare più a lungo con minor dispendio di forza, o senza fatica. Non vediamo noi infatti che le cose nelle quali gli uomini vincono le donne, sono quelle che richieggiono perseveranza nella meditazione, e che, per così dire si martelli una stessa idea, mentre le donne fanno meglio tutto quel che deve farsi rapidamente? Il cervello di una donna è più presto affaticato e più presto esausto; ma giunto al grado di esaurimento, rientra più presto in possesso di tutta la sua forza. Io ripeto che queste idee sono affatto ipotetiche; io non intendo che indicare una via di ricerche. Ho già dichiarato che non si sa con certezza se v’ha una differenza naturale nella forza o nella tendenza media delle facoltà mentali dei due sessi, e molto meno in che questa differenza consista: non è possibile che si conosca finchè non si sarà meglio studiato, quand’anche non fosse che in un modo generico, e che non si avrà ancora meno applicato scientificamente le leggi psicologiche della formazione del carattere: finchè si sdegneranno le cause esterne le più evidenti delle differenze del carattere: fino a che l’osservatore non ne terrà alcun conto; che le scuole regnanti di fisiologia e di psicologia le tratteranno dall’alto della loro grandezza con un disprezzo a stento dissimulato. Ch’esse cerchino nella materia oppur nello spirito, l’origine di ciò che distingue principalmente un essere umano dall’altro, queste scuole si accordano nello schiacciare coloro che vogliono spiegare queste differenze colle relazioni varie di questi esseri nella società e nella vita.

Le idee che si son fatte della natura delle donne, sopra semplici generalizzazioni empiriche, costruite senza spirito filosofico e senza analisi, coi primi casi capitati, son così poco serii, che l’idea ammessa in un paese varia da quella di un altro; esse variano secondo che le circostanze proprie d’un paese hanno fornito alle donne che vi vivono delle occasioni di svilupparsi o non isvilupparsi in un senso. Gli orientali credono che le donne sono per natura singolarmente voluttuose; un inglese crede per lo più ch’esse sono fredde. I proverbi sull’incostanza delle donne sono per lo più d’origine francese; se ne sono fatti e prima e dopo il famoso distico di Francesco I. Si nota comunemente in Inghilterra che le donne son più costanti delli uomini. L’incostanza è stata considerata più disonorante per una donna da più lungo tempo in Inghilterra che in Francia, e le Inglesi sono ben più sommesse all’opinione che le Francesi. Si può notare, di passaggio, che gl’Inglesi sono in circostanze specialmente sfavorevoli per giudicare di quel che è naturale o che non lo è, non solo alle donne, ma agli uomini, od ai membri dell’umanità indistintamente. Essi hanno sopratutto attinto la loro esperienza nel loro paese, il solo luogo, forse, dove la natura umana lascia trapelar così poco dei suoi tratti naturali. Gli Inglesi son più lontani dallo stato di natura che tutti gli altri popoli moderni, nel buono e nel cattivo senso del pari; più che alcun altro essi sono il prodotto della civilizzazione e della disciplina. È in Inghilterra che la disciplina ha riescito meglio, non a vincere, ma a sopprimere tutto quel che poteva resisterle. Gli Inglesi, più che ogni altro popolo, non solamente agiscono, ma sentono dietro la regola. Negli altri paesi, l’opinione officiale o le esigenze della società possono ben avere la prevalenza, ma le tendenze della natura di ciascun individuo restano sempre visibili sotto il loro impero, e spesso resistono; la regola può essere più forte della natura, ma la natura è sempre là. In Inghilterra, la regola si è in gran parte sostituita alla natura. La maggior parte della vita passa non a seguire la propria inclinazione conformandosi alla regola, ma a non avere altra inclinazione che di seguire la regola. Ora vi è là, senza dubbio, qualche cosa di buono, ma v’è anche un lato assai cattivo e questo rende un Inglese incapace a trarre dalla sua esperienza gli elementi di un giudizio sulle tendenze originali della natura umana. Gli errori che un osservatore d’un altro paese può commettere a questo proposito sono d’un indole assai diversa. L’Inglese ignora la natura umana, il Francese la vede attraverso i suoi pregiudizii; gli errori dell’Inglese sono negativi, quelli del Francese positivi. Un Inglese s’imagina che le cose non esistono perchè non le ha mai vedute, un Francese, ch’esse debbono esistere sempre e necessariamente perchè le vede; l’Inglese non conosce la natura perchè non ha alcuna occasione d’osservarla, il Francese ne conosce una gran parte, ma vi si inganna spesso perchè non l’ha vista che deformata e mascherata. Per l’uno come per l’altro la forma artificiale che la società ha dato alle cose che sono il soggetto dell’osservazione, ne nasconde le naturali proprietà, facendone sparire lo stato naturale o trasformandolo. In un caso non rimane a studiare che un sottile residuo della natura, nell’altro la natura rimane, ma spiegata in un senso, ch’essa non avrebbe forse scelto laddove avesse potuto spiegarsi liberamente.

Ho detto che non si può oggi sapere ciò che può esservi di naturale o d’artificiale nelle differenze mentali attuali che sussistono fra gli uomini e le donne: se ve n’ha realmente una che sia naturale, quel carattere naturale si rivelerebbe per la soppressione di tutte le cause artificiali di differenza. Io non voglio tentare quel che ho dichiarato impossibile; ma il dubbio non vieta le congetture, e quando la certezza non è a nostra portata, possono esservi mezzi di raggiungere qualche grado di probabilità. Il primo spunto, le origini delle differenze che attualmente osserviamo, è il più accessibile alla speculazione; io tenterò di accostarlo per la sola via che vi conduca, cercando gli effetti delle influenze esteriori sullo spirito. Noi non possiamo isolare un membro dell’umanità dalla condizione dov’è collocato in modo da potere coll’esperienza constatare ciò che sarebbe naturalmente stato: ma noi possiamo considerare ciò ch’egli è, e che cosa furono le circostanze, se esse han potuto farlo quello che è.

Pigliamo dunque il solo caso sagliente che l’osservazione ci somministra, nel quale la donna sembra inferiore all’uomo, astrazione fatta alla sua inferiorità in forza muscolare. Nella filosofia, le scienze e le arti, non una produzione degna del primo rango fu opera di una donna. Puossi spiegare questa inferiorità senza supporre che le donne sono naturalmente incapaci di produrre questi capolavori? Dapprima possiamo domandare se l’esperienza ha fornito una base sufficiente per cavarne un’induzione. Non sono per anco tre generazioni che le donne, salvo rare eccezioni, hanno cominciato a provarsi in filosofia, in scienza e nelle arti. Prima di noi questi tentativi non erano numerosi, ed anche sono rari dappertutto altrove che in Inghilterra ed in Francia. Si può domandare, se da quel che si poteva aspettarsi, dietro il calcolo delle probabilità, uno spirito dotato di qualità superiori per la speculazione o le arti creatrici avesse dovuto incontrarsi piuttosto fra le donne alle quali i loro gusti, la loro posizione, permettevano di consacrarsi a questi obietti. In tutte le cose nelle quali hanno avuto il tempo necessario, specialmente nella parte nella quale han lavorato da lungo tempo, la letteratura (prosa o versi) senza raggiungere il primo rango, le donne hanno fatto tanti eccellenti lavori ed ottenuti tanti successi quanti se ne potevano sperare, tenuto atto del tempo e del numero dei competitori. Se risaliamo ai tempi primitivi, quando pochissime donne si provavano in letteratura, vediamo che alcune vi hanno ottenuto un successo notabile. I Greci hanno sempre contato Saffo fra i loro grandi poeti, e ci è ben lecito supporre che Mirti che, dicesi, insegnò la poesia a Pindaro, e Corinna che vinse cinque volte sopra di lui il premio dei versi, dovevano aver avuto merito sufficiente perchè si sia potuto porle a fronte a questo gran poeta. Aspasia non ha lasciato scritti filosofici, ma si sa che Socrate le chiedeva delle lezioni e dichiarava d’averne approffittato.

Se consideriamo le opere delle donne nei tempi moderni, e se le confrontiamo a quelle degli uomini, sia in letteratura, sia nelle arti, l’inferiorità che vi si trova si riduce ad un solo punto, ma importantissimo, il difetto di originalità. Non parlo di un difetto assoluto, poichè ogni produzione di qualche valore ha una propria originalità, è una concezione dello spirito essa stessa, non una copia di qualche altra cosa. Vi sono molte idee originali negli scritti delle donne, se per queste parole s’intende che esse non le hanno prese ad imprestito, e che le han formate colle loro proprie osservazioni e col loro proprio spirito. Ma esse non hanno ancora prodotto di queste grandi e luminose idee che improntano un’epoca nella storia del pensiero, nè di queste concezioni essenzialmente nuove nell’arte, che aprono una prospettiva d’effetti possibili non ancora imaginati e fondano una scuola novella. Le loro composizioni vivono più sovente sul fondo attuale delle idee, e le loro creazioni non si discostano gran fatto dal tipo stabilito. Ecco l’inferiorità che le loro opere rivelano: poichè nell’esecuzione, nell’applicazione delle idee e la perfezione dello stile non ve n’ha d’inferiorità. I migliori romanzieri per la composizione, e l’ordinamento dei particolari, sono per una buona parte delle donne. Non v’è in tutta la moderna letteratura una espressione più eloquente del pensiero dello stile della signora di Stael; e come esempio di perfezione artistica, non v’è assolutamente nulla di superiore alla prosa della Sand, il cui stile fa sul sistema nervoso l’effetto di una sinfonia di Haydn o di Mozart. Ciò che manca alle donne, come ho già detto è una grande originalità di concetto. Vediamo ora se v’ha modo di spiegare questa pochezza.

Cominciamo dal pensiero. Ricordiamoci che durante tutto il periodo della storia e della civilizzazione, quando si poteva arrivare a delle verità grandi e feconde per la sola forza del genio, senza un grande studio precedente, senza molte cognizioni, le donne non si occuparono affatto di speculazione. Da Hypatia fino alla Riforma, l’illustre Héloisa è forse la sola donna che avrebbe potuto compire una simile impresa, e noi ignoriamo l’estensione di spirito filosofico che le sue sventure hanno fatto perdere all’umanità. Dall’epoca in cui fu possibile ad un gran numero di donne di darsi alla filosofia, l’originalità non è più possibile alle stesse condizioni. Quasi tutte le idee che si potevano raggiungere colla sola forza delle facoltà native, sono da lungo tempo conquistate, e l’originalità nel senso più elevato della parola, non può essere che il premio delle intelligenze che hanno subìto una laboriosa preparazione, e delli spiriti che posseggono a fondo i risultati ottenuti dai predecessori. Credo essere Maurice quello che ha notato i pensatori più originali essere oggi coloro che hanno conosciuto più a fondo le idee dei predecessori; ormai non può più essere altrimenti. Vi son già tante pietre all’edificio che colui, che vuol collocarne una a sua volta al disopra delle altre, deve ergere penosamente i suoi materiali all’altezza alla quale l’opera collettiva è pervenuta. Quante donne vi sono che abbiano eseguito questo compito? La signora Somerville, sola fra le donne, conosce, forse, tutto quel che bisogna sapere oggi in matematiche per farvi una scoperta considerevole: si dirà, qual’è la prova della inferiorità delle donne, se ella non ha la fortuna di essere l’una delle due o tre persone che durante la loro vita, associeranno il loro nome a qualche progresso rimarchevole della scienza? Dacchè l’economia politica è divenuta una scienza, due donne ne han saputo abbastanza per iscrivere utilmente su quest’argomento; di quanti uomini, nell’innumerevole quantità d’autori che hanno scritto su queste materie, durante questo tempo, si può dirne di più, senza dilungarsi dalla verità? Se niuna donna è ancora stata un grande storico, qual donna ha dunque posseduto l’erudizione necessaria per divenirlo? Se niuna donna è ancora divenuta un gran filologo, qual donna ha studiato il sanscrito, lo slavo, il gotico d’Ulphila, lo zend Avesta? Nelle quistioni stesse di pratica, vediamo quanto vale l’originalità dei genii ignoranti. Essi inventano di nuovo sotto una forma rudimentale, ciò che è già stato inventato e perfezionato da una lunga serie di inventori. Quando le donne avranno ricevuto la preparazione della quale tutti gli uomini hanno bisogno per divenire eccellenti con originalità, sarà tempo di giudicare dietro esperienza se esse possono o non possono essere originali.

Accade spesso senza dubbio che una persona, che non ha studiato a fondo ed accuratamente le idee che altri ha emesse su un argomento, ha per effetto di naturale sagacia, un’intuizione felice ch’ella può suggerire, ma che non può provare, e che tuttavia, maturata, può dare un incremento considerevole alla scienza. In questo caso stesso, non si può mettere questa intuizione a profitto nè renderle la giustizia che le è dovuta, prima che altre persone fornite di cognizioni preliminari non se ne impadroniscano, la verifichino, gli diano una forma pratica o teorica, e la mettano al posto che le compete fra le verità della filosofia e della scienza. Forsechè si suppone non accadere alle donne d’avere di queste felici idee? Una donna intelligente ne ha un numero immenso. Esse vanno per lo più smarrite per mancanza di un marito o di un amico che possegga l’altra cognizione, possa apprezzare queste idee al loro valore, e produrle nel mondo; ed anche allora che si dà questa felice circostanza, l’idea passa piuttosto per essere di quello che la pubblica che non del suo vero autore. Chi mai dirà, quante idee originali, messe in luce da scrittori di sesso maschile, appartengano ad una donna che le ha suggerite, e non hanno ricevuto da quelli che la verificazione e la divisa? Se io debbo giudicare dal mio proprio esempio ve n’ha di molte.

Se dalla speculazione pura, noi ritorniamo alla letteratura presa nel senso più stretto del vocabolo, una ragione generale ci fa comprendere perchè la letteratura delle donne è una imitazione di quella degli uomini nel suo concetto generale e nei suoi tratti generali. Perchè mai la letteratura latina, come la critica lo predica a sazietà, è dessa una imitazione della greca, in luogo di essere originale? Unicamente perchè i Greci sono venuti pei primi. Se le donne avessero vissuti in paesi diversi degli uomini, e non avessero letto mai un solo dei loro lavori, esse avrebbero avuto una letteratura propria. Esse non han creato una letteratura perchè ne tran trovato una già fatta e molto avanzata. Se non vi fosse mai stato interruzione nella cognizione dell’antichità, o se l’epoca del rinascimento fosse giunta prima della costruzione delle cattedrali gotiche, non se ne sarebbero costruite mai.

Vediamo che in Francia e nell’Italia, l’imitazione della letteratura antica arrestò di botto lo sviluppo di un’arte originale. Tutte le donne che scrivono sono allieve dei grandi scrittori dell’altro sesso Tutte le prime opere di un pittore, foss’anche Raffaello hanno identicamente la maniera stessa del maestro. Mozart, egli stesso; non ispiega la sua possente originalità nelle sue prime opere. Quando abbisognano anni agli individui ben dotati, ci vogliono generazioni per le masse. Se la letteratura delle donne è destinata ad avere nel suo complesso un carattere diverso da quella delli uomini, corrispondenti ai punti di differenza delle tendenze naturali del loro sesso da quello degli uomini, è d’uopo maggior tempo, che non ne sia ora trascorso prima che questa letteratura possa emanciparsi dall’influenza dei modelli accettati, e dirigersi dietro un proprio impulso. Ma se, come lo credo, nulla ci prova che vi sia nelle donne alcuna tendenza naturale che distingua il loro genio da quello delli uomini: non è men vero che ogni donna che scrive ha le sue tendenze particolari, che in questo momento, sono ancora subordinate all’influenza dei precedenti e delli esempli, e molte generazioni passeranno prima che la loro individualità si affermi, e sia abbastanza sviluppata da tener fronte a questa influenza.

La presunzione contro la facoltà d’originalità delle donne pare più forte nelle belle arti propriamente dette poichè (è lecito dirlo) l’opinione non interdice loro di coltivarle, ma anzi ve le incoraggia, e la loro educazione in luogo di trascurarle, loro fa la parte più ampia, sopratutto nelle classi ricche. In questo genere di produzione più che in tutte l’altre le donne sono rimaste indietro ancora più dal grado d’eccellenza al quale gli uomini sono giunti. Tuttavia questa inferiorità non ha d’uopo, per ispiegarsi, d’altra ragione che il fatto assai conosciuto, più vero nelle arti che dappertutto altrove, che le persone della professione sono sempre d’assai superiori ai dilettanti. Pressochè tutte le donne delle classi illuminate studiano più o meno qualche ramo delle arti belle, ma non nella vista di servirsene a guadagnare la vita o ad aquistarsi fama. Le donne artiste sono tutte dilettanti. Le eccezioni sono di natura a confermar la regola. Le donne imparano la musica non per comporre ma soltanto per eseguire: ed infatti non è che come compositori che gli uomini la vincono sulle donne, in musica. La sola delle arti belle alle quali le donne si danno per professione e principale occupazione è il teatro, e nel teatro esse sono eguali se non superiori alli uomini. Per fare un equo confronto, è d’uopo mettere le produzioni artistiche delle donne di fronte a quelli delli uomini che non sono artisti di professione. Nella composizione musicale, per esempio, le donne hanno prodotto, sicuramente, tante cose buone quanto gli amatori dell’altro sesso han potuto dare. Vi sono ora poche donne, assai poche che facciano della pittura per professione eppure cominciano a mostrare tanto talento quanto se ne poteva aspettare. I pittori di sesso maschile (non dispiaccia al signor Ruskin) non hanno fatto una figura rimarchevole in questi ultimi secoli, e passerà molto tempo prima che ne facciano. Se gli antichi pittori erano di tanto superiori ai moderni gli è che un gran numero di uomini dotati di uno spirito di primo ordine si davano alla pittura. Nel decimoquarto e decimoquinto secolo i pittori italiani erano gli uomini più compiti del loro tempo. I più grandi possedevano cognizioni enciclopediche, ed erano eccellenti in ogni genere di produzione come i grandi uomini della Grecia. A quest’epoca, le belle arti erano agli occhi delli uomini, la più nobile cosa nella quale un uomo potesse illustrarsi; le belle arti davano allora le distinzioni che non si acquistano oggi che colla politica o la guerra; per esse si guadagnava l’amicizia dei principi, e si entrava in piede d’eguaglianza colla più alta nobiltà. Oggi, gli uomini di qualche vaglia trovano da fare qualche cosa di più importante, per la loro fama ed i bisogni del mondo moderno, che non la pittura, e non si trova guari un Regnold od un Turner (dei quali non pretendo determinare il rango fra gli uomini eminenti) che professino quest’arte. La musica è d’un ordine affatto diverso, e non esige la stessa potenza di spirito, e sembra dipendere dippiù da un dono naturale: per cui si può meravigliare che niuna donna sia stata un gran compositore: ma tuttavia questo dono naturale non rende capaci delle grandi creazioni senza studi che assorbono tutta la vita. I soli paesi che abbiano prodotto compositori di primo ordine nel sesso maschile stesso sono la Germania e l’Italia, due paesi nei quali le donne sono rimaste ben addietro della Francia e dell’Inghilterra per coltura intellettuale e speciale; esse vi ricevono per la maggior parte poca istruzione, e di rado vi si coltivano le facoltà superiori dello spirito. In questi paesi si contano a centinaia e probabilmente a migliaia, gli uomini che conoscono i principi della composizione musicale, e le donne soltanto per decine. In sorta che, dietro le proporzioni, noi non possiamo chiedere con ragione che una donna eminente per cento uomini di valore; ed i tre ultimi secoli non hanno prodotto cinquanta grandi compositori di sesso maschile così in Germania come in Italia.

Oltre le ragioni che abbiamo date, ve ne sono altre che permettono di spiegare perchè le donne rimangono indietro delli uomini nelle carriere che sono aperte ai due sessi. Dapprima, pochissime donne hanno il tempo di occuparvisi seriamente: questo può sembrar paradossale; è un fatto sociale incontestabile. I particolari della vita reclamano anzitutto una gran parte del tempo e dello spirito delle donne. Dapprima è la direzione della casa, la domestica economia, che occupa per lo meno una donna per famiglia, e generalmente quella che è giunta ad età matura, e che ha dell’esperienza, a meno che la famiglia non sia abbastanza ricca per abbandonare ad un domestico questa cura e sopportare lo sciupio e le malversazioni inseparabili da questo modo d’amministrazione. La direzione di una casa quand’anche non esiga molto lavoro, è estremamente grave allo spirito; essa reclama una vigilanza incessante, un occhio al quale nulla sfugga, e presente a tutte l’ore ad esaminare e risolvere questioni previste od impreviste, che la persona responsabile può difficilmente bandire dallo spirito. Quando una donna appartiene ad un rango o si trova in uno stato che le permette di sottrarsi a questi incarichi, le restano ancora a dirigere i rapporti della famiglia con ciò che si chiama la società. Meno quei primi doveri le tolgono tempo e più gliene assorbono questi: sono i pranzi, i concerti, le serate, le visite, la corrispondenza e via, via. Tutto questo è al disopra del dovere supremo che la società impone alle donne, è quello di rendersi piacevoli. Nei ranghi elevati della società, una donna distinta trova quasi l’impiego di tutto il suo spirito a coltivare la grazia delle maniere e l’arte della conversazione. Inoltre considerando queste occupazioni da un altro punto di vista, lo sforzo intenso e prolungato del pensiero che tutte le donne, che tengono a ben mettersi, consacrano alla tavoletta (non parlo di quelle che vestono con gran dispendio, ma di quelle che la fanno con gusto e nel senso delle convenienze naturali ed artificiali) e fors’anche a quella delle loro figlie, questo sforzo del pensiero applicato a qualche studio serio le ravvicinerebbe di molto al punto in cui lo spirito può produrre delle opere notevoli nelle arti, nelle scienze e nella letteratura; esso divora una gran parte del tempo e della forza di spirito che la donna avrebbe potuto serbare per altro uso2. Perchè questa massa di piccoli interessi, che si sono fatti importanti per lei, lasciassero loro agio bastante, abbastanza energia e libertà di spirito, per coltivare le scienze e le arti sarebbe d’uopo che avessero a loro disposizione una assai maggiore dovizia di facoltà attive che non gli uomini. Ma non è tutto. Indipendentemente dai doveri ordinari della vita che sono il compito della donna, si esige, ch’esse tengano il loro tempo ed il loro spirito a disposizione di tutti. Se un uomo ha una professione che lo mette al coperto da queste pretensioni, od anche solo una occupazione, egli non offende nessuno consacrandovi il suo tempo; egli può trincerarvisi per iscusarsi di non rispondere a tutte le esigenze degli estranei. Forsechè le occupazioni di una donna e sopratutto quelle ch’ella sceglie volontariamente sono riguardate come scuse che dispensino dai doveri di società? È molto se i loro doveri più necessarii e più riconosciuti vi riescono. Non ci vuol meno di una malattia nella famiglia, od altra cosa straordinaria per autorizzarle a far passare i suoi affari avanti ai piaceri altrui. La donna è sempre agli ordini di qualcheduno ed in generale di tutti. Se ella attende ad uno studio, è d’uopo ch’ella vi consacri i brevi istanti ch’ella ha la fortuna d’afferrare al volo. Una donna illustre nota in un libro, che sarà un giorno pubblicato, lo spero, che tutto quel che la donna fa, lo fa a tempo perso. È egli dunque a meravigliare ch’ella non giunga al più alto grado di perfezione nelle cose che richieggono un’attenzione sostenuta, e delle quali bisogna fare il primario interesse della vita? La filosofia è l’una di queste cose, l’arte lo è del pari, l’arte sopratutto, la quale esige che le si consacri non solo tutti i pensieri e tutti i sentimenti, ma ancora che si addestri la mano con esercizio continuato per aquistare una valentia superiore.

V’è un’altra considerazione da aggiungere. Nelle diverse arti e nelle varie occupazioni dello spirito, v’ha un grado di forza che bisogna raggiungere per vivere dell’arte: ve n’ha uno superiore al quale bisogna salire per creare le opere che immortalizzano un nome. Quelli che entrano in una carriera hanno tutti motivi sufficienti per arrivare al primo: l’altro è difficilmente raggiunto dalle persone che non hanno, o che non hanno avuto in un momento di loro vita, un ardente desiderio di celebrità. D’ordinario, non ci vuol meno di questo stimolo per far intraprendere e sostenere la dura fatica che debbono necessariamente imporsi le persone meglio dotate per innalzarsi ad un grado elevato, in generi in cui possediamo tante belle opere dei genii più grandi. Ora sia per una causa artificiale, sia per una causa naturale, le donne non hanno mai questa sete di fama. La loro ambizione si circoscrive generalmente nei limiti più angusti. L’influenza ch’esse cercano non si estende al di là della cerchia che le circonda. Quel ch’esse vogliono è piacere a quelli che vedono coi loro occhi, è esserne amate ed ammirate, ed esse s’accontentano quasi sempre dei talenti, delle arti, e delle cognizioni che vi bastano. È un tratto di carattere di cui bisogna necessariamente tener conto quando si giudicano quali sono. Io non credo affatto che ciò sia inerente alla loro natura; ma che sia piuttosto il normale risultato delle circostanze. L’amor della fama negli uomini riceve incoraggiamenti e ricompense: «disprezzare il piacere e vivere nel lavoro per amor della fama, è, si dice, proprio delli spiriti nobili, forse la loro ultima debolezza», e vi si è spinti perchè la fama apre l’accesso a tutti gli oggetti dell’ambizione, compreso il favore delle donne; mentre alle donne tutti questi oggetti saranno sempre interdetti, ed il desiderio della fama, è per loro sfrontatezza. Inoltre come potrebbe farsi che tutti gli interessi delle donne non si concentrassero sulle persone che formano il tessuto della loro vita di tutti i giorni, quando la società ha prescritto che tutti i di lei doveri avrebbero quelle per oggetti, e prese delle misure perchè tutta la felicità delle donne ne dipendesse? Il natural desiderio di ottenere la considerazione dei nostri simili è tanto forte nell’uomo quanto nella donna, ma la società ha disposte le cose in modo che la donna non può nei casi ordinari arrivare alla considerazione, che pel tramite del marito o dei suoi parenti di sesso maschile, e la donna si espone a perderla quando si mette personalmente in vista, o si mostra in altra forma che come accessorio dell’uomo. L’individuo meno capace di apprezzare l’influenza che esercitano sullo spirito di una persona la sua posizione nella famiglia e nella società e tutte le abitudini della vita, deve trovarvi senza fatica la spiegazione di quasi tutte le differenze fra li uomini e le donne comprese quelle che dinotano una qualunque debolezza.

Le differenze morali, se per queste parole s’intendono quelle che hanno rapporto colle facoltà affettive per distinguerle dalle intellettuali, sono secondo l’opinione generale a vantaggio delle donne. Si afferma ch’esse valgono più degli uomini; vana formula di cortesia che deve chiamare un amaro sorriso sulle labbra di ogni donna di cuore, dacchè la sua situazione è la sola al mondo nella quale si reputi migliore un ordine di cose che subordina il migliore al peggiore. Se queste sciocchezze sono utili a qualche cosa è a dimostrare che gli uomini conoscono l’influenza corruttrice del potere, è la sola verità che la superiorità morale delle donne, se esiste, provi e metta in luce. Convengo che la servitù corrompe meno lo schiavo che il padrone, salvo quando sia spinta fino all’abbrutimento. È meglio per un essere morale, subire un giogo, fosse pur’esso un potere arbitrario, che non esercitare questo potere senza controllo. Le donne, dicesi, cadono più di rado sotto i colpi della legge penale, ed occupano minor posto nelle statistiche dei delitti. Io non dubito che non si possa dire altrettanto degli schiavi negri. Coloro che stanno sotto l’altrui autorità, non possono commetter sovente delitti se non è dietro comando e pel servizio dei loro padroni. Io non conosco esempio più sensibile dell’acciecamento col quale il mondo, e non ne eccettuo gli studiosi, sdegna e trascura le influenze delle circostanze sociali, che questo fatuo abbassamento delle facoltà intellettuali accanto questo sciocco panegirico della natura morale della donna.

Il complimento che si fa alle donne sulla loro bontà morale può camminare di pari passo col rimprovero che loro si fa di cedere facilmente alle inclinazioni del cuore. Si dice che le donne non sono capaci di resistere alle loro personali parzialità; che negli affari gravi, le loro simpatie ed antipatie falsano il loro giudizio. Ammettiamo la verità dell’accusa, sarebbe ancora d’uopo provare che le donne siano più spesso traviate pei loro personali sentimenti che non gli uomini per il loro personale interesse. La principale differenza fra l’uomo e la donna, sarebbe che l’uomo è stornato dal dovere e dall’interesse pubblico per l’attenzione ch’egli ha per sè stesso, e che la donna, alla quale non si concede e non si riconosce alcun interesse proprio, ne è distolta per l’attenzione ch’ella ha per qualche altra persona. È anche d’uopo considerare che tutta l’educazione che le donne ricevono in società inculca loro il sentimento che gl’individui ai quali sono vincolate sono i soli verso i quali esse abbiano dei doveri, i soli i cui interessi ella deve curare mentre che la loro educazione le lascia straniere alle idee le più elementari che bisogna possedere per comprendere i grandi interessi e i grandi oggetti della morale. Il rimprovero significa che le donne compiono troppo fedelmente l’unico dovere che si insegna loro, ed il solo press’a poco che si permetta loro di praticare.

Quando i possessori di un privilegio fanno delle concessioni a quelli che ne sono privi, accade di rado che ciò sia, per altra ragione che perchè questi acquistano il potere di estorcerlo. È probabile che gli argomenti contro le prerogative di un sesso attireranno poco l’attenzione generale finchè si potrà dire che le donne non si lagnano. Questo fatto permette certamente all’uomo di conservare più a lungo un ingiusto privilegio: ma ciò non lo fa meno ingiusto. Si può dire esattamente la stesa cosa delle donne rinchiuse negli harem degli Orientali, esse non si lagnano di non godere della libertà delle donne d’Europa. Esse trovano le nostre donne orribilmente sfrontate. Quanto è rado che anche gli uomini si lagnino dello stato generale della società, e come questi lamenti sarebbero ancora più rari se non sapessero esservi altrove un altro stato! Le donne non si lagnano della sorte del loro sesso, o piuttosto se ne lagnano, poichè le lamentevoli elegie sono comunissime negli scritti delle donne, e lo erano ancora più quando i loro lamenti non erano sospetti d’aversi di mira un cangiamento di condizioni pel loro sesso. I loro lamenti sono come quelli che gli uomini fanno sulle miserie della vita; esse non hanno la portata di un biasimo e non reclamano un cangiamento. Ma se le donne non si lagnano del potere dei mariti, ciascheduna si lagna del suo, o di quello delle sue amiche. Accade lo stesso in tutte le altre servitù, almeno sull’esordire di un movimento di emancipazione. I servi, non si lagnarono a tutta prima del potere dei loro signori, ma soltanto della loro tirannia. I comuni cominciarono dal reclamare un piccol numero di privilegi municipali: più tardi vollero essere esenti da ogni tassa che essi non avessero consentita, ma in questo punto medesimo essi avrebbero creduto far atto di presunzione inaudita, se avessero preteso dividere l’autorità sovrana del re. Le donne sono oggi le sole persone per le quali la rivolta contro le norme stabilite è riguardata collo stesso occhio col quale si riguardava la pretesa di un suddito al diritto d’insurrezione contro il suo re. Una donna che si unisce ad un movimento qualunque, che suo marito disapprova, si fa martire senza poter essere apostolo, poichè il marito può mettere legalmente fine all’apostolato. Non si può aspettarsi che le donne si consacrino all’emancipazione del loro sesso, fino a che gli uomini in gran numero non saranno preparati ad associarsi a loro nell’impresa.


Note

  1. Questa osservazione è ancora più vera se estendiamo le nostre osservazioni all’Asia come all’Europa. Quando un principato dell’India è governato con vigore, vigilanza ed economia, quando l’ordine vi regna senza oppressione, quando la coltura delle terre vi diviene più estesa ed il popolo più felice, accade tre volte su quattro, quando una donna vi regna. Questo fatto ch’io ero lungi dal prevedere, mi fu rivelato da una lunga pratica degli affari dell’India. Ve n’hanno molti esempi: poichè, sebbene le istituzioni Indiane escludano le donne dal trono, esse danno loro la reggenza durante la minorità dell’erede; e le minorità sono frequenti in quel paese dove i principi periscono prematuramente vittime dell’ozio e degli stravizi. Se pensiamo che queste principesse non sono comparse in pubblico mai, che non hanno parlato mai ad uomini che non fossero della loro famiglia, se non nascoste dietro una cortina, ch’esse non leggono, e che se leggessero, non troverebbero nella loro lingua un libro capace di dar loro la più debole nozione degli affari pubblici; noi rimarremmo convinti ch’esse presentano un esempio luminoso dell’attitudine delle donne al governo.
  2. Parrebbe la stessa qualità di spirito che rende un uomo capace di acquistare la verità o la giusta idea di quel che è bene negli ornamenti ed anche nei principii più fissi dell’arte. È ancora la stessa idea della perfezione in un cerchio più ristretto. Diamo per esempio le mode delle acconciature ove si sa che v’è un buon gusto ed un cattivo gusto. Le parti del vestiario variano continuamente in ampiezza, da grandi si fanno piccole, da corte lunghe, ma in fondo esse conservano la loro forma; è sempre lo stesso costume, con un tipo relativamente fisso sopra basi anguste; ma è lassù che la moda deve appoggiarsi. Quello che inventa con maggior successo, o veste con maggior gusto, avrebbe probabilmente, se avesse consacrato il suo senso estetico ad oggetti più elevati, rivelato una eguale attitudine, o acquistato lo stesso gusto squisito nei più nobili lavori dell’arte. - SIR JOSHN REYNOLDS. Discourses. Disc. VII.