La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo CXVIII

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Libro primo
Capitolo CXVIII

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Cominciai da principio la Bibbia, e divotamente la leggevo e consideravo, ed ero tanto invaghito in essa, che se io avessi potuto non arei mai fatto altro che leggere: ma, come e’ mi mancava el lume, subito mi saltava addosso tutti i miei dispiaceri e davanmi tanto travaglio, che piú volte io m’ero resoluto in qualche modo di spegnermi da me medesimo; ma perché e’ non mi tenevono coltello, io avevo male il modo a poter far tal cosa. Però una volta infra l’altre avevo acconcio un grosso legno che vi era e puntellato in modo d’una stiaccia; e volevo farlo iscoccare sopra il mio capo; il quale me lo arebbe istiacciato al primo: di modo che, acconcio che io ebbi tutto questo edifizio, movendomi risoluto per iscoccarlo, quando io volsi dar drento colla mana, io fui preso da cosa invisibile e gittato quattro braccia lontano da quel luogo, e tanto ispaventato, che io restai tramortito: e cosí mi stetti da l’alba del giorno insino alle dicianove ore che e’ mi portorno il mio desinare. I quali vi dovettono venire piú volte, che io non gli avevo sentiti; perché quando io gli senti’ entrò drento il capitan Sandrino Monaldi, e senti’ che disse: - Oh! infelice uomo, ve’ che fine ha aùto una cosí rara virtú! - Sentite queste parole apersi gli occhi: per la qual cosa viddi preti colle toghe indosso, i quali dissono: - O voi, dicesti che gli era morto! - Il Bozza disse: - Morto lo trovai, e però lo dissi -. Subito mi levorno di quivi donde io ero, e levato il materasso, il quale era tutto fradicio diventato come maccheroni, lo gittorno fuori di quella stanza: e riditte queste tal cose al Castellano, mi fece dare un altro materasso. E cosí ricordatomi che cosa poteva essere stata quella che m’avessi stòlto da quella cotale inpresa, pensai che fussi stato cosa divina e mia difensitrice.