La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo CXXI

Da Wikisource.
Libro primo
Capitolo CXXI

../Capitolo CXX ../Capitolo CXXII IncludiIntestazione 16 luglio 2008 75% Autobiografie

Libro primo - Capitolo CXX Libro primo - Capitolo CXXII

Io istavo intanto colle mie solite orazione e scrivevo il mio Capitolo, e cominciai a fare ogni notte i piú lieti e i piú piacevoli sogni che mai immaginar si possa; e sempre mi pareva essere insieme visibilmente con quello che invisibile avevo sentito e sentivo bene ispesso, a il quale io non domandavo altra grazia se none lo pregavo, e strettamente, che mi menassi dove io potessi vedere il sole, dicendogli che era quanto desiderio io avevo; e che se io una sola volta lo potessi vedere, da poi io morrei contento. Di tutte le cose io avevo in questa prigione dispiacevoli, tutte mi erano diventate amiche e compagne, e nulla mi disturbava. Se bene quei divoti del Castellano, che aspettavano che il Castellano m’impiccassi a quel merlo dove io ero sceso, sí come lui aveva detto, veduto poi che il detto Castellano aveva fatta un’altra resoluzione tutta contraria da quella; costoro, che non la potevano patire, sempre mi facevano qualche diversa paura, per la quale io dovessi pigliare spavento per la perdita della vita. Sí come io dico, a tutte queste cose io m’ero tanto addimesticato, che di nulla io non avevo piú paura e nulla piú mi moveva; solo questo desiderio, che il sognare di vedere la spera del sole. Di modo che seguitando innanzi colle mie grandi orazioni, tutte volte collo affetto a Cristo, sempre dicendo: - O vero figliuol de Dio, io ti priego per la tua nascita, per la tua morte in croce e per la tua gloriosa resurressione, che tu mi facci degno che io vegga il sole, se none altrimenti, almanco in sogno; ma se tu mi facessi degno che io lo vedessi con questi mia occhi mortali, io ti prometto di venirti a visitare al tuo santo Sepulcro -. Questa resoluzione e queste mie maggior preci a Dio le feci a’ dí dua d’ottobre nel mille cinquecento trentanove. Venuto poi la mattina seguente, che fu a’ dí tre di ottobre detto, io m’ero risentito alla punta del giorno, innanzi il levar del sole, quasi un’ora; e sollevatomi da quel mio infelice covile, mi messi a dosso un poco di vestaccia che io avevo, perché e’ s’era cominciato a far fresco: e stando cosí sollevato, facevo orazione piú divote che mai io avessi fatte per il passato; ché in dette orazione dicevo con gran prieghi a Cristo, che mi concedessi almanco tanto di grazia, che io sapessi per ispirazion divina per qual mio peccato io facevo cosí gran penitenzia; e da poi che Sua Maestà divina non mi aveva voluto far degno della vista del sole almanco in sogno, lo pregavo per tutta la sua potenzia e virtú, che mi facessi degno che io sapessi quale era la causa di quella penitenzia.