La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo LXXXVI

Da Wikisource.
Libro primo
Capitolo LXXXVI

../Capitolo LXXXV ../Capitolo LXXXVII IncludiIntestazione 14 luglio 2008 75% Autobiografie

Libro primo - Capitolo LXXXV Libro primo - Capitolo LXXXVII

Passato che noi otto giorni, il miglioramento era tanto poco, che quasi io m’ero venuto a noia a me medesimo; perché io ero stato piú di cinquanta giorni in quel gran travaglio; e resolutomi mi messi in ordine; e in un paio di ceste ’il mio caro Felice e io ce ne andammo alla volta di Firenze; e perché io non avevo scritto nulla, giunsi a Firenze in casa la mia sorella, dove io fui pianto e riso a un colpo da essa sorella. Per quel dí mi venne a vedere molti mia amici; fra gli altri Pier Landi, ch’era il maggior e il piú caro che io avessi mai al mondo; l’altro giorno venne un certo Nicolò da Monte Aguto, il quale era mio grandissimo amico; e perché gli aveva sentito dire al Duca: - Benvenuto faceva molto meglio a morirsi, perché gli è venuto qui a dare in una cavezza, e non gnene perdonerò mai - venendo Nicolò a me, disperatamente mi disse: - Oimè, Benvenuto mio caro: che se’ tu venuto a far qui? non sapevi tu quel che tu hai fatto contro al Duca? che gli ho udito giurare, dicendo che tu sei venuto a dare in una cavezza a ogni modo -. Allora io dissi: - Nicolò, ricordate a Sua Eccellenzia che altretanto già mi volse fare papa Clemente, e a sí torto; che faccia tener conto di me e mi lasci guarire; per che io mostrerrò a Sua Eccellenzia, che io gli sono stato il piú fidel servitore che gli arà mai in tempo di sua vita; e perché qualche mio nimico arà fatto per invidia questo cattivo uffizio, aspetti la mia sanità, che come io posso gli renderò tal conto di me, che io lo farò maravigliare -. Questo cattivo uffizio l’aveva fatto Giorgetto Vassellario aretino, dipintore, forse per remunerazione di tanti benifizii fatti a lui; che avendolo trattenuto in Roma e datogli le spese, e lui messomi assoqquadro la casa; perché gli aveva una sua lebbrolina secca, la quale gli aveva usato le mane a grattar sempre, e dormendo con un buon garzone che io avevo, che si domandava Manno, pensando di grattar sé, gli aveva scorticato una gamba al detto Manno con certe sue sporche manine, le quale non si tagliava mai l’ugna. Il ditto Manno prese da me licenza, e lui lo voleva ammazzare a ogni modo: io gli messi d’accordo; di poi acconciai il detto Giorgio col cardinal dei Medici, e sempre lo aiutai. Questo è il merito che lui aveva detto al duca Lessandro ch’io avevo detto male di Sua Eccellenzia, e che io m’ero vantato di volere essere il primo a saltare in su le mura di Firenze, d’accordo con li nimici di Sua Eccellenzia fuorasciti. Queste parole, sicondo che io intesi poi, gliene faceva dire quel galantuomo di Ottaviano de’ Medici, volendosi vendicare della stizza che aveva aùto il Duca seco per conto delle monete e della mia partita di Firenze; ma io, ch’ero innocente di quel falso appostomi, non ebbi una paura al mondo: e il valente maestro Francesco da Montevarchi grandissima virtú mi medicava, e ve lo aveva condotto il mio carissimo amico Luca Martini, il quale la maggior parte del giorno si stava meco.