La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo XL

Da Wikisource.
Libro primo
Capitolo XL

../Capitolo XXXIX ../Capitolo XLI IncludiIntestazione 25 giugno 2008 75% Autobiografie

Libro primo - Capitolo XXXIX Libro primo - Capitolo XLI

Perché sempre m’è dilettato di vedere il mondo, e non essendo mai stato a Mantova, volentieri andai, preso que’ danari che io avevo portati; e la maggior parte di essi ne lasciai al mio buon padre, prommettendogli di aiutarlo sempre dove io fussi, lasciando la mia sorella maggiore a guida del povero padre. Questa aveva nome Cosa, e non avendo mai voluto marito, era accettata monaca in Santa Orsola, e cosí soprastava per aiuto e governo del vecchio padre e per guida de l’altra mia sorella minore, la quale era maritata a un certo Bartolomeo scultore. Cosí partitomi con la benedizione del padre, presi il mio buon cavallo, e con esso me ne andai a Mantova. Troppe gran cose arei da dire, se minutamente io volessi scrivere questo piccol viaggio. Per essere il mondo intenebrato di peste e di guerra, con grandissima difficultà io pur poi mi condussi alla ditta Mantova; innella quale giunto che io fui, cercai di cominciare a lavorare; dove io fui messo in opera da un certo maestro Nicolò milanese, il quale era orefice del Duca di detta Mantova. Messo che io fui in opera, di poi dua giorni appresso io me ne andai a visitare misser Iulio Romano pittore eccellentissimo, già ditto, molto mio amico, il quale misser Iulio mi fece carezze inestimabile ed ebbe molto per male che io non ero andato a scavalcare a casa sua; il quale vivea da signore, e faceva una opera pel Duca fuor della porta di Mantova, luogo detto a Te. Questa opera era grande e maravigliosa, come forse ancora si vede. Subito il ditto misser Iulio con molte onorate parole parlò di me al Duca; il quale mi commesse che io gli facessi un modello per tenere la reliquia del sangue di Cristo, che gli hanno, qual dicono essere stata portata quivi da Longino; di poi si volse al ditto misser Iulio, dicendogli che mi facessi un disegno per detto reliquiere. A questo, misser Iulio disse: - Signore, Benvenuto è un uomo che non ha bisogno delli disegni d’altrui, e questo Vostra Eccellenzia benissimo lo giudicherà, quando la vedrà il suo modello -. Messo mano a far questo ditto modello, feci un disegno per il ditto reliquiere da potere benissimo collocare la ditta ampolla: di poi feci per di sopra un modelletto di cera. Questo si era un Cristo assedere, che innella mana mancina levata in alto teneva la sua Croce grande, con atto di appoggiarsi a essa; e con la mana diritta faceva segno con le dita di aprirsi la piaga del petto. Finito questo modello, piacque tanto al Duca, che li favori furno inistimabili, e mi fece intendere, che mi terrebbe al suo servizio con tal patto, che io riccamente vi potrei stare. In questo mezzo, avendo io fatto reverenzia al Cardinale suo fratello, il detto Cardinale pregò il Duca, che fussi contento di lasciarmi fare il suggello pontificale di Sua Signoria reverendissima; il quale io cominciai. In mentre che questa tal opera io lavoravo, mi sopraprese la febbre quartana; la qual cosa, quando questa febbre mi pigliava, mi cavava de’ sentimenti; onde io maledivo Mantova e chi n’era padrone, e chi volentieri vi stava. Queste parole furono ridette al Duca da quel suo orefice milanese ditto, il quale benissimo vedeva che ’l Duca si voleva servir di me. Sentendo il detto Duca quelle mie inferme parole, malamente meco s ’adirò; onde, io essendo adirato con Mantova, della stizza fummo pari. Finito il mio suggello, che fu un termine di quattro mesi, con parecchi altre operette fatte al Duca sotto nome del Cardinale, da il ditto Cardinale io fui ben pagato; e mi pregò che io me ne tornassi a Roma in quella mirabil patria, dove noi ci eramo conosciuti. Partitomi con una buona somma di scudi di Mantova, giunsi a Governo, luogo dove fu ammazzato quel valorosissimo signor Giovanni. Quivi mi prese un piccol termine di febbre, la quale non m’impedí punto il mio viaggio, e restata innel ditto luogo, mai piú l’ebbi. Di poi giunto a Firenze, pensando trovare il mio caro padre, bussando la porta, si fece alla finestra una certa gobba arrabbiata, e mi cacciò via con assai villania, dicendomi che io l’avevo fradicia. Alla qual gobba io dissi: - Oh dimmi, gobba perversa, ècc’elli altro viso in questa casa che ’l tuo? - No, col tuo malanno -. Alla qual io dissi forte: - E questo non ci basti dua ore -. A questo contrasto si fece fuori una vicina, la qual mi disse che mio padre con tutti quelli della casa mia erano morti di peste: onde che io parte me lo indovinavo, fu la cagione che il duolo fu minore. Di poi mi disse che solo era restata viva quella mia sorella minore, la quale si chiamava Liperata, che era istata raccolta da una santa donna, la quale si domandava monna Andrea de’ Bellacci. Io mi parti’ di quivi per andarmene all’osteria. A caso rincontrai un mio amicissimo: questo si domandava Giovanni Rigogli. Iscavalcato a casa sua, ce ne andammo in piazza, dove io ebbi nuove che ’l mio fratello era vivo, il quale io andai a trovare a casa di un suo amico, che si domandava Bertino Aldobrandi. Trovato il fratello, e fattoci carezze e accoglienze infinite, il perché si era, che le furno istrasordinarie, che a lui di me e a me di lui era stato dato nuove della morte di noi stessi, di poi levato una grandissima risa, con maraviglia presomi per la mano, mi disse: - Andiamo, fratello, che io ti meno in luogo il quale tu mai non immagineresti: questo si è, che io ho rimaritata la Liperata nostra sorella, la quale certissimo ti tiene per morto -. In mentre che a tal luogo andavamo, contammo l’uno all’altro di bellissime cose avvenuteci; e giunti a casa, dov’era la sorella, gli venne tanta stravaganza per la novità inaspettata ch’ella mi cadde in braccio tramortita; e se e’ non fossi stato alla presenza il mio fratello, l’atto fu tale sanza nessuna parola, che il marito cosí al primo non pensava che io fossi il suo fratello. Parlando Cechin mio fratello e dando aiuto alla svenuta, presto si riebbe; e pianto un poco il padre, la sorella, il marito, un suo figliuolino, si dette ordine alla cena; e in quelle piacevol nozze in tutta la sera non si parlò piú di morti, ma sí bene ragionamenti da nozze. Cosí lietamente e con grande piacere finimmo la cena.