La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo XLV

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Libro primo
Capitolo XLV

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Portatomi via i danari e il modello, mi parve mill’anni di mettervi le mane. Cominciato subito con gran sollecitudine a lavorare, in capo di otto giorni il Papa mi mandò a dire per un suo cameriere, grandissimo gentiluomo bolognese, che io dovessi andar da lui, e portare quello che io avevo lavorato. Mentre che io andavo, questo ditto cameriere, che era la piú gentil persona che fussi in quella Corte, mi diceva che non tanto il Papa volessi veder quell’opera, ma me ne voleva dare un’altra di grandissima importanza; e questa si era le stampe delle monete della zecca di Roma; e che io mi armassi a poter rispondere a Sua Santità: che per questo lui me ne aveva avvertito. Giunsi dal Papa, e squadernatogli quella piastra d’oro, dove era già isculpito Idio Padre solo, il quale cosí bozzato mostrava piú virtú che quel modelletto di cera; di modo che il Papa stupefatto disse: - Da ora innanzi tutto quello che tu dirai, ti voglio credere - e fattomi molti sterminati favori, disse: - Io ti voglio dare un’altra impresa, la quale mi sarebbe cara quant’è questa e piú, se ti dessi il cuor di farla -; e dittomi che arebbe caro di far le stampe delle sue monete, e domandandomi se io n’avevo piú fatte, e se me ne dava il cuore di farle, io dissi che benissimo me ne dava il cuore, e che io avevo veduto come le si facevano; ma che io no n’avevo mai fatte. Essendo alla presenza un certo misser Tommaso da Prato, il quale era datario di sua Santità, per essere molto amico di quelli mia nimici, disse: - Beatissimo Padre, gli favori che fa Vostra Santità a questo giovane, e lui per natura arditissimo, son causa che lui vi prometterebbe un mondo di nuovo; perché, avendogli dato una grande impresa, e ora aggiugnendognene una maggiore, saranno causa di dar l’una noia a l’altra -. Il Papa adirato se gli volse e disse, gli badassi all’uffizio suo; e a me impose che io facessi un modello d’un doppione largo d’oro innel quale voleva che fussi un Cristo ignudo con le mane legate, con lettere che dicessino “Ecce Homo”; e un rovescio dove fussi un papa e uno imperatore, che dirizzassino d’accordo una croce, la quale mostrassi di cadere, con lettere che dicessino “Unus spiritus et una fides erat in eis”. Commessomi il Papa questa bella moneta, sapragiunse il Bandinello scultore, il quale non era ancor fatto cavaliere, e con la sua solita prosunzione vestita d’ignoranzia disse: - A questi orafi, di queste cose belle bisogna lor fare e’ disegni -. Al quale io subito mi volsi e dissi che io non avevo bisogno di sua disegni per l’arte mia; ma che io speravo bene con qualche tempo, che con i mia disegni io darei noia all’arte sua. Il Papa mostrò aver tanto caro queste parole, quanto immaginar si possa, e voltosi a me, disse: - Va’, pur, Benvenuto mio, e attendi animosamente a servirmi, e non prestare orecchio alle parole di questi pazzi -. Cosí partitomi, e con gran prestezza feci dua ferri; e stampato una moneta in oro, portato una domenica doppo desinare la moneta e’ ferri al Papa, quando la vidde, restato maravigliato e contento, non tanto della bella opera che gli piaceva oltramodo, ancora piú lo fe’ maravigliare la prestezza che io avevo usata. E per accrescere piú satisfazione e maraviglia al Papa, avevo meco portato tutte le vecchie monete che s’erano fatte per l’adietro da quei valenti uomini che avevano servito papa Iulio e papa Lione; e veduto che le mie molto piú satisfacevano, mi cavai di petto un moto proprio per il quale io domandavo quel detto uffizio del maestro delle stampe della zecca; il quale uffizio dava sei scudi d’oro di provisione il mese, sanza che i ferri poi erano pagati dal zecchiere, che se ne dava tre al ducato. Preso il Papa il mio moto proprio e voltosi, lo dette in mano al datario, dicendogli che subito me lo spedissi. Preso il datario il moto proprio e volendoselo mettere innella tasca, disse: - Beatissimo Padre, Vostra Santità non corra cosí a furia; queste son cose che meritano qualche considerazione -. Allora il Papa disse: - Io v’ho inteso; date qua quel moto proprio - e presolo, di sua mano subito lo segnò; poi datolo allui disse: - Ora non c’è piú replica; speditegne voi ora, perché cosí voglio, e val piú le scarpe di Benvenuto che gli occhi di tutti questi altri balordi -. E cosí ringraziato Sua Santità, lieto oltremodo me ne andai a lavorare.