La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo XLVIII

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Libro primo
Capitolo XLVIII

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In tanto che queste cose seguivano, noi eramo tutti a tavola. Perché la mattina s’era desinato piú d’un’ora piú tardi che ’l solito nostro. Sentendo questi romori, un di quei figliuoli, il maggiore, si rizzò da tavola per andare a vedere questa mistia. Questo si domandava Giovanni, al quale io dissi: - Di grazia non andare, perché a simili cose sempre si vede la perdita sicura sanza nullo di guadagno -: il simile gli diceva suo padre: - Deh, figliuol mio, non andare -. Questo giovane, senza udir persona, corse giú pella scala. Giunto in Banchi, dove era la gran mistia, veduto Bertino levar di terra, correndo, tornando adrieto, si riscontrò in Cechino mio fratello, il quali lo domandò che cosa quella era. Essendo Giovanni da alcuni accennato che tal cosa non dicessi al ditto Cecchino, disse a la ’npazzata come gli era che Bertino Aldobrandi era stato ammazzato dalla corte. Il mio povero fratello misse sí grande il mugghio, che dieci miglia si sarebbe sentito; di poi disse a Giovanni: - Oimè, saprestimi tu dire chi di quelli me l’ha morto? - Il ditto Giovanni disse che sí, e che gli era un di quelli che aveva uno spadone a dua mane, con una penna azzurra nella berretta. Fattosi innanzi il mio povero fratello e conosciuto per quel contrassegno lo omicida, gittatosi con quella sua maravigliosa prestezza e bravuria in mezzo a tutta quella corte, e sanza potervi rimediare punto, messo una stoccata nella trippa, e passato dall’altra banda il detto, cogli elsi della spada lo spinse in terra, voltosi agli altri con tanta virtú e ardire, che tutti lui solo metteva in fuga: se non che, giratosi per dare a uno archibusiere, il quale per propia necessità sparato l’archibuso, colse il valoroso sventurato giovane sopra il ginocchio della gamba dritta; e posto in terra, la ditta corte mezza in fuga sollecitava a ’ndarsene, acciò che un altro simile a questo sopraggiunto non fossi. Sentendo continuare quel tomulto, ancora io levatomi da tavola, e messomi la mia spada accanto, che per ugniuno in quel tempo si portava, giunto al ponte Sant’Agnolo viddi un ristretto di molti uomini: per la qual cosa fattomi innanzi, essendo da alcuni di quelli conosciuto, mi fu fatto largo e mostromi quel che manco io arei voluto vedere, se bene mostravo grandissima curiosità di vedere. In prima giunta nol cognobbi, per essersi vestito di panni diversi da quelli che poco innanzi io l’avevo veduto; di modo che, conosciuto lui prima me, disse: - Fratello carissimo, non ti sturbi il mio gran male, perché l’arte mia tal cosa mi prometteva; fammi levare di qui presto, perché poche ore ci è di vita -. Essendomi conto il caso in mentre che lui mi parlava, con quella brevità che cotali accidenti promettono, gli risposi: - Fratello, questo è il maggior dolore e il maggior dispiacere che intervenir mi possa in tutto il tempo della vita mia: ma istà di buona voglia, che innanzi che tu perda la vista, di chi t’ha fatto male vedrai le tua vendette fatte per le mia mane -. Le sue parole e le mie furno di questa sustanzia, ma brevissime.