La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo XXII

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Libro primo
Capitolo XXII

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Il dí seguente andai a ringraziare madonna Porzia, e li dissi che Sua Signoria aveva fatto il contrario di quel che la disse: che volendo io fare che ’l diavolo se ne ridessi, lei di nuovo l’aveva fatto rinnegare Idio. Piacevolmente l’uno e l’altro ridemmo, e mi dette da fare altre opere belle e buone. In questo mezzo io cercai, per via d’un discepolo di Raffaello da Urbino pittore, che il vescovo Salamanca mi dessi da fare un vaso grande da acqua, chiamato un’acquereccia, che per l’uso delle credenze che in sun esse si tengono per ornamento. E volendo il detto vescovo farne dua di equal grandezza, uno ne dette da fare al detto Lucagnolo, e uno ne ebbi da fare io; e la modanatura delli detti vasi, ci dette il disegno quel ditto Gioanfrancesco pittore. Cosí messi mano con maravigliosa voglia innel detto vaso, e fui accomodato d’una particina di bottega da uno Milanese, che si chiamava maestro Giovanpiero della Tacca. Messomi in ordine, feci il mio conto delli danari che mi potevano bisognare per alcuna mia affari, e tutto il resto ne mandai assoccorrere il mio povero buon padre; il quale, mentre che gli erano pagati in Firenze, s’abbatté per sorte un di quelli arrabbiati che erano degli Otto a quel tempo che io feci quel poco del disordine, e ch’egli svillaneggiandolo gli aveva detto di mandarmi in villa con lanciotti a ogni modo. E perché quello arrabbiato aveva certi cattivi figliolacci, a proposito mio padre disse: - A ogniuno piú può intervenire delle disgrazie, massimo agli uomini collorosi quando egli hanno ragione, come intervenne al mio figliuolo; ma veggasi poi del resto della vita sua, come io l’ho virtuosamente saputo levare. Volesse Idio in vostro servizio, che i vostri figliuoli non vi facessino né peggio, né meglio di quel che fanno e mia a me; perché, sí come Idio m’ha fatto tale che io gli ho saputi allevare, cosí, dove la virtú mia non ha potuto arrivare, Lui stesso me gli ha campati, contra il vostro credere, dalle vostre violente mane -. E partitosi, tutto questo fatto mi scrisse, pregandomi per l’amor di Dio che io sonassi qualche volta, acciò che io non perdessi quella bella virtú, che lui con tante fatiche mi aveva insegnato. La lettera era piena delle piú amorevol parole paterne che mai sentir si possa; in modo tale che le mi mossono a pietose lacrime, desiderando prima che lui morissi di contentarlo in buona parte, quanto al sonare, sí come Idio ci compiace tutte le lecite grazie che noi fedelmente gli domandiamo.