La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo XXXII

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Libro primo
Capitolo XXXII

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Se bene io mi discosterò alquanto dalla mia professione, volendo narrare alcuni fastidiosi accidenti intervenuti in questa mia travagliata vita; e perché avendo narrato per l’adrieto di quella virtuosa compagnia e delle piacevolezze accadute per conto di quella donna che io dissi, Pantassilea; la quale mi portava quel falso e fastidioso amore; e isdegnata grandissimamente meco per conto di quella piacevolezza, dove era intervenuto a quella cena Diego spagnuolo di già ditto, lei avendo giurato vendicarsi meco, nacque una occasione, che io descriverò, dove corse la vita mia a ripentaglio grandissimo. E questo fu che, venendo a Roma un giovanetto chiamato Luigi Pulci, figliuolo di uno de’ Pulci al quale fu mozzato il capo per avere usato con la figliuola; questo ditto giovane aveva maravigliosissimo ingegno poetico e cognizione di buone lettere latine; iscriveva bene; era di grazia e di forma oltramodo bello. Erasi partito da non so che vescovo, ed era tutto pieno di mal franzese. E perché, quando questo giovane era in Firenze, la notte di state in alcuni luoghi della città si faceva radotti innelle proprie strade, dove questo giovane in fra i migliori si trovava a cantare allo inproviso; era tanto bello udire il suo, che il divino Michelagnolo Buonaaroti, eccellentissimo scultore e pittore, sempre che sapeva dov’egli era, con grandissimo desiderio e piacere lo andava a udire; e un certo, chiamato il Piloto, valentissimo uomo, orefice, e io gli facevomo campagnia. In questo modo accadde la cognizione infra Luigi Pulci e me; dove, passato di molti anni, in quel modo mal condotto mi si scoperse a Roma, pregandomi che io lo dovessi per l’amor de Dio aiutare. Mossomi a compassione per le gran virtú sua, per amor della patria, e per essere il proprio della natura mia, lo presi in casa e lo feci medicare in modo, che per essere a quel modo giovane, presto si ridusse alla sanità. In mentre che costui procacciava per essa sanità, continuamente studiava, e io lo avevo aiutato provveder di molti libri sicondo la mia possibilità; in modo che, cognosciuto questo Luigi il gran benifizio ricevuto da me, piú volte con parole e con lacrime mi ringraziava, dicendomi che se Idio li mettessi mai inanzi qualche ventura, mi renderebbe il guidardone di tal benifizio fattoli. Al quale io dissi, che io non avevo fatto allui quello che io arei voluto, ma sí bene quel che io potevo, e che il dovere delle creature umane si era sovvenire l’una l’altra; solo gli ricordavo che questo benifizio, che io gli avevo fatto, lo rendessi a un altro che avessi bisogno di lui, sí bene come lui ebbe bisogno di me; e che mi volessi bene da amico, e per tale mi tenessi. Cominciò questo giovane a praticare la Corte di Roma, nella quale prestò trovò ricapito, e acconciossi con un vescovo, uomo di ottanta anni, ed era chiamato il vescovo Gurgensis. Questo vescovo aveva un nipote, che si domandava misser Giovanni: era gentiluomo veniziano. Questo ditto misser Giovanni dimostrava grandemente d’essere innamorato delle virtú di questo Luigi Pulci, e sotto nome di queste sue virtú se l’aveva fatto tanto domestico, come se fussi lui stesso. Avendo il detto Luigi ragionato di me e del grande obrigo che lui mi aveva, con questo misser Giovanni, causò che ’l detto misser Giovanni mi volse conoscere. Nella qual cosa accadde, che avendo io una sera infra l’altre fatto un po’ di pasto a quella già ditta Pantassilea, alla qual cena io avevo convitato molti virtuosi amici mia, sopragiuntoci a punto ne l’andare a tavola il ditto misser Giovanni con il ditto Luigi Pulci, apresso alcuna cirimonia fatta, restorno a cenare con esso noi. Veduto questa isfacciata meritrice il bel giovine, subito gli fece disegno addosso; per la qual cosa, finito che fu la piacevole cena, io chiamai da canto il detto Luigi Pulci, dicendogli, per quanto obrigo lui s’era vantato di avermi, non cercassi in modo alcuno la pratica di quella meretrice. Alle qual parole lui mi disse: - Oimè, Benvenuto mio, voi mi avete dunque per uno insensato? - Al quale io dissi: - Non per insensato, ma per giovine; e per Dio gli giurai che di lei io non ho un pensiero al mondo, ma di voi mi dorrebbe bene, che per lei voi rompessi il collo -. Alle qual parole lui giurò che pregava Idio che, se mai e’ le parlassi, subito rompesse il collo. Dovette questo povero giovane fare tal giuro a Dio con tutto il cuore, perché e’ roppe il collo, come qui appresso si dirà. Il detto misser Giovanni si scoprí seco d’amore sporco e non virtuoso; perché si vedeva ogni giorno mutare veste di velluto e di seta al ditto giovane, e si cognosceva ch’e’ s’era dato in tutto alla scelleratezza e aveva dato bando alle sue belle mirabili virtú, e faceva vista di non mi vedere e di non mi cognoscere, perché io lo avevo ripreso, dicendogli che s’era dato in preda a brutti vizii i quali gli arien fatto rompere il collo come disse.