La zecca di Bologna/Capitolo VII

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CAPITOLO VII.


Innocenzo XI — Ricerca di un incisore a Roma e Gio. Gualtieri — Il corso della moneta a Bologna — Alessandro VIII — Innocenzo XII — Gl’incisori dei conii Ferdinando da Lotaringia e Tommaso Bajard — Nuove battiture con diverse impronte — Esigenze per la bellezza dei conii.


Clemente X moriva il 22 luglio 1676, e a Bologna, in segno di lutto, il Senato ordinava di sospendere la solita fiera annuale, una delle risorse cittadine più antiche. Il 21 settembre saliva al Pontificato il cardinale Odescalchi che prese il nome di Innocenzo XI, e la città passò dalle dimostrazioni di lutto ai segni più rumorosi di allegrezza1. Ormai non erano più i tempi in cui le feste cittadine e politiche erano commemorate con coniazioni di medaglie a ricordare ai posteri l’avvenimento e la parte presa dalla città: più banali feste piazzaiuole, con corse, pallii, banchetti, di cui ci sono rimaste le descrizioni nei Diarii del Senato e le riproduzioni a colori nelle Insignia degli Anziani, ci persuadono una volta di più che il gusto raffinato e il senso d’arte d’una volta era spento in Italia.

Eletto il nuovo papa, a Bologna si pensò subito a ordinare nuovi conii per le monete che dovevano portarne l’effigie e lo stemma. L’incisore Angelo Faccini ferrarese ch’era stato nominato a tale ufficio prima della morte di Clemente X2, sciolse per una ragione che non potemmo mettere in chiaro il contratto cogli Assunti di zecca, sicchè si dovette [p. 203 modifica]avvertire con un bando che chi concorreva a quel posto si presentasse. Sembra che Bologna, se abbondava di pittori, non avesse allora molti incisori sicché nessuno rispose all’invito degli Assunti, che dovettero rivolgersi all’Ambasciatore a Roma per pregarlo d’inviare di là qualche artista che si assumesse il lavoro.

Ma, causa le esigenze dei bolognesi, sembra che nemmeno a Roma si trovasse l’incisore adatto, come si rileva dalla lettera che riportiamo:

— " Ill.mi Signori miei Oss.mi

" L’Artefice più eccellente, che sia qui in Roma per fare i Pulzoni desiderati dalle SS. VV. esibisce l’opera sua, ma nel pagamento pretende gli sia considerata anche la stima, che fa della sua maestria, addimandando per un solo Pulzone la somma di scudi venti in circa.

" Un altro però se bene di non tanta fama, atto a sufficienza per il bisogno farà assai maggiore habilità, e si contenterà di pagamento honesto e conveniente: nessuno però di loro ha voluto dirne certo il quanto pretenda ne potrò saperlo se non si vedano le misure e disegni.

" Mi vien’anche proposto, che seria meglio il far qui li cunij, si per fare la prova de Pulzoni, come anche perchè riusciriano meglio. Alla prudenza delle SS. VV. rimetto la propositione.

" Un’altra offerta mi è stata ancor fatta ed è il modello di sega dell’ordegno da acqua, che serve in questa zecca per battere e tirare, venendomi detto che intorno ad esso lavorano sei huomini ad un tempo in diverse facende. La spesa di detto modello mi si suppone da 50 in 60 scudi di questi. Io non ho visto il detto ordegno, ma quando le SS. VV.

me lo comandassero solleciterei la mia curiosità per sodisfare in un punto a loro et a me. Che è quello devo dirle in risposta della littera de 20 cadente: e le riverisco. Roma 31 Marzo 1677. Delle SS. VV. alle quali dico che opera dell’Artefice predetto è l’impronta del Granduca che si vede [p. 204 modifica]
in certi ducatoni nuovi di Fiorenza, e quello ancora che si vede in monete nuove del Duca di Modena.

Affett.° Servitore

Gio. Antonio Vasso Pietramellara. „


      — (Fuori) " SS.i miei Oss.i li Signori Assunti di Zecca. Bologna3.„


L’Artefice, a cui allude l’Ambasciatore, è probabilmente Giovanni Gualteri che aveva appunto allora eseguito i conii delle monete di Francesco II duca di Modena4. Probabilmente i conii furono eseguiti a Roma da quell’artista e ne abbiamo una conferma nel fatto di non trovar cenno di incisori bolognesi o residenti in Bologna, nelle carte, prima del 12 febbraio 1683, in cui si richiamò a quel posto Pietro Tedesco per tre anni collo stipendio di 250 lire annue, e di nuovo a tutto il 1691, in più volte5.

Nel periodo di Innocenzo XI (1676-1699) la zecca bolognese fu attivissima6 Le coniazioni di grosse somme di monete minute e specialmente muraiole si succedevano le une alle altre. Di Madonnine e mezze Madonnine, (così chiamate dall’imagine della B. V. di S. Luca col Bambino dalle due fascie in croce sul petto) fu coniato una gran quantità nel 1685, cui ne succedettero altre per lungo tempo7.

Una coniazione di venti mila scudi di testoni (coll’effigie del papa e da questi ordinati) fu decretata il 28 febbraio 1683: pesavano carati 49 alla lega [p. 205 modifica]di 10 oncie e den. 22 per libbra8 e portano infatti quella data e le iniziali del zecchiere Gio. Carlo Gualcheri. A questo peso furono nel marzo del 1686 ridotte tutte le monete d’argento9.

L’ultima notizia di questo periodo è il decreto di fabbricare una macchina detta la Trafila, fatta girare per forza d’acqua per laminare il metallo per le monete, della quale rimane la relazione e il disegno10 e che da allora fino agli ultimi tempi era in luogo diverso dalla Zecca, in prossimità del canale di Reno.

Anche di tutte queste monete il lettore troverà al solito le descrizioni e le riproduzioni più avanti.

Accenniamo alle principali disposizioni per regolare il corso delle monete anche forestiere che, come sempre e come dovunque, anche a Bologna invadevano di quando in quando la piazza, alterandosi nei valori a seconda dei luoghi e inceppando continuamente gli scambi. Un bando 4 agosto 1612, che per esser troppo diffuso riportiamo in appendice tra i documenti, contiene una preziosa tariffa delle monete d’argento e d’oro dei principali stati italiani11. A questo ne seguirono altri negli anni successivi che stabilivano il valore preciso da darsi a questa o a quella moneta, ai talleri, alle gazette e grossetti di Venezia, o che ne bandivano altre perchè calanti come i ducatoni, i mezzi e i quarti di Mantova battuti allora (4 agosto 1627) e altri di minor importanza e che allo studioso che desiderasse esaminare è dato vedere nelle raccolte a stampa dei bandi anche presso l’Archivio di Stato di Bologna.

Solo per ricordare i prezzi correnti delle monete [p. 206 modifica]d’oro e d’argento, che con una serie di provvigioni e bandi si stabilirono verso la metà di quel secolo, riportiamo l’elenco che troviamo in una delle tante gride:

Doble del Papa e di Firenze L. 14.18
Doble di Spagna e di Genova » 15.
Doble dette d'Italia 14.16
Zecchino di Venezia e Gigliato  8.12
Ungari di Ungheria e altri 8.10
Ducatone Papale di Roma e di Ferrara Paoli 10.
Testone papale e di Firenze L.  1.9
Ducatone di Firenze  5.3


Altri ducatoni detti d’Italia cioè di Venezia, Milano, Genova, Mantova (eccettuati quelli del Cane), Urbino, Savoia, Parma, Piacenza, Modena e Lucca valevano L. 5, il Crocione di Genova L. 6.

Più tardi un bando stabilì i pesi delle monete in corso allora nella città, che uniamo agli altri in appendice12.


A Innocenzo XI, morto il 12 agosto 1689, successe Alessandro VIII (1689-91): in quest’anno si batterono 15 mila bagaroni e quattrini, 20 mila muraiole e monete d’argento del solito peso13, coi conii di Pietro Tedesco.

Dopo una breve vacanza sul soglio pontificio (1691) vi salì Innocenzo XII che fu l’ultimo pontefice del secolo.

Il zecchiere di questo periodo fu ancora Giovanni Carlo Gualcheri, ormai, per la onestà sua e per la pratica eccezionale acquistata, divenuto locatario a vita dell’officina bolognese14. Incisore dei nuovi [p. 207 modifica]conii fu un Ferdinando da Sant’Urbano da Lotaringia che fu nominato per tre anni col solito stipendio di 250 lire l’anno15. Nel dicembre del 1697 gli successe, per altri tre anni, Tommaso Bajard francese orefice16. Si seguitarono le solite battiture di monete d’oro, d’argento e di rame puro. Di quelle d’argento se ne coniarono, come ci assicura il partito di riconferma del zecchiere, da 3, 6, 12, 20, 24, 30, 40 e 80 soldi l’una di valore.

Da un foglio inserto tra gli atti di quel periodo rileviamo che ogni zecchiere si obbligava a battere scudi da ottanta bolognini, mezzi scudi da quaranta, nonchè da soldi ventiquattro, da venti e da dodici.

Un altro foglio inserto in un rogito del 1698 e che deve essere di quel tempo ricorda che volendosi mutare i conii delle monete per distinguere le nuove dalle vecchie in modo più visibile che pel passato si era stabilito da prima di mettere nelle piastre o lire un S. Petronio con mitra e pastorale colla città in mano «in atto alquanto differente da quello delle piastre antiche» e nel rovescio «una Felsina in piedi con libri et arme» differente dalle precedenti: nei bianchi «un S. Pietro in ginocchioni con Bologna a piedi verso un raggio raccomandante la città» da un lato, e un leone rampante con uno scudo portante lo stemma della città, con disegno nuovo, dall’altro: nei carlini o quarti di lira la Madonna di S. Luca da un lato e uno scudetto «differente da quello de’ Giulij antichi» coll’arme «della libertà» dall’altro: nei mezzi carlini od ottavi di lira il busto di S. Petronio con mitra e pastorale da un lato e le parole mezo carlino entro ghirlanda «legati con uno scudetto dell’Arme della Città» [p. 208 modifica]dall’altro. Quanto ai particolari delle due monete maggiori si sarebbe rimandata ad altra volta la decisione17. Ma realmente di quel progetto non se ne fece nulla.

Della diligenza e della premura che si poneva da parte degli Assunti di Zecca a tutto ciò che riguardava la bellezza e la varietà dei conii, ci assicura anche un inventario in un atto di consegna della stanza de’ cunii al maestro incisore Tommaso Bajard del 4 gennaio 169818. Vi si legge che la stanza era piena di gessi, modelli, bassorilievi, figure «panneggiate » (che ci rivelano lo studio dell’arte classica in Bologna) che servivano di esemplari per fare nuovi ponzoni. Che in un’epoca come quella, in cui il barrocco e il convenzionalismo in tutta Italia toccavano il colmo, a Bologna si pensasse a provvedere di modelli e di calchi lo studio dell’incisore della zecca perchè non si affidasse alla sua fantasia, non deve far meraviglia. Era ancora il buon germe lasciato dalla scuola dei Caracci che dava i suoi frutti e, con un ultimo sforzo, di cui invano si cercherebbe un riscontro in altre città d’Italia, non esclusa Roma, si tentava porre argine alla pazza moda del tempo.

E le monete bolognesi del seicento mostrano anch’esse, nella grandiosità corretta delle belle figure, siano esse di Santi protettori o di Felsine armate ricordanti le classiche Minerve, lo studio non trascurato ancora del vero, attraverso le fantastiche ampollosità delle accademie imperanti.


Note

  1. Muzzi, Annali, ad ann.
  2. Partiti, 40, c. 119, r.
  3. Lettere dell’Ambasciatore agli Assunti di Zecca.
  4. Crespellani, Op. cit., pag. 125.
  5. Partiti, 41, c. 87, r. e 148, e Vol. 43, c. 13, r.
  6. V. i capitoli doc. XXI.
  7. Partiti, 41, c. 45, 63, 85, 130, r., 138, 154, 165, 171, ecc. Era sempre zecchiere Gio. Carlo Gualcheri.
  8. Partiti, 41, c. 87, v., e Piani, discipline, ecc. 1685 " Capitoli. „
  9. Partiti, 14. c., 146, r.
  10. Partiti, 41, c., 151 v.
  11. V. doc. XVII.
  12. V. doc. XXII.
  13. Partiti, 42, c., 23, 33, 58, 78.
  14. Partiti, 29, dic. 1693.
  15. Partiti, 23, mag. 1693.
  16. Partiti, 43, c., 42, V.
  17. Piani e discipline monetarie, 1698, Proporzioni e leggi per fabbricar monete. „
  18. Id. Consegna della stanza dei conij, ecc.