Ladin! 2012/2

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Enzo Croatto

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Alcune osservazioni sul lessico del dialetto ladino di Selva di Cadore
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Enzo Croatto

Alcune osservazioni sul lessico del dialetto ladino di Selva di Cadore


Sulla colonizzazione antica della Val Fiorentina possediamo scarsissime informazioni, anche se possiamo fondatamente ipotizzare un qualche tipo di frequentazione in epoca antica, soprattutto sulla base di alcuni importanti ritrovamenti avvenuti non lontano dalla nostra Valle. Ci riferiamo alla epigrafe venetica mutila su pietra rinvenuta nell’estate del 1866 sul Monte Pore, in comune di Colle S. Lucia e alle ben note iscrizioni confinarie romane su roccia alla base del Monte Civetta.

È assai probabile che l’origine di Selva, come paese, sia legata alla scoperta o forse meglio alla “riscoperta” intorno al 1000, delle miniere di ferro collesi del Fursìl, forse già note alle popolazioni paleovenete.

La prima menzione delle miniere è comunque fissata al 1177, come risulta dalle pergamene del convento brissinese di Novacella. Il più antico documento finora noto, che nomina Selva, non è quello dell’11 febbraio 1257: in furno Silvae Cadubrii11 , ma quello del 15 febbraio 1226 di S. Vito, che tratta di una divisione di beni22 . Del 1234 è invece la prima menzione di una prima chiesa a Selva, dedicata a S. Lorenzo, protettore dei carbonai, evidente legame con le attività minerarie e metallurgiche che si svolgevano in loco33.

Quanto alla cadorinità di Selva, essa risale, come si sa, all’antica ripartizione amministrativa romana, cioè al Municipium di Julium Carnicum che abbracciava, oltre al Friuli, i nostri territori, come attestato dalle iscrizioni confinarie del Civetta. Pallabazzer tuttavia afferma che ci sono ignote le regioni per cui il territorio di Selva, allora pressoché disabitato, venne incluso dai Romani nel Catubrium4.4

Questa tarda colonizzazione, unita ad un isolamento geografico dovuto alla localizzazione oltre lo spartiacque BoitePiave, ben definita dalla denominazione Ultramonte o Soramonte (secondo l’uso dialettale d’Oltrechiusa) per indicare i territori cadorini della Val Fiorentina, è certamente all’origine delle peculiarità di questo dialetto, che ha notevoli affinità, per esempio con quelli di Zoppè di Cadore e Zoldo.

Sull’appartenenza storico-amministrativa al Cadore, come si è detto, non c’è alcuna obbiezione o perplessità, essendoci una ricca documentazione d’archivio che attesta peraltro la medievale appartenenza di Selva e Pescul (con Caprile) al Centenaro di S. Vito, fino al 1511, quando il distacco di Ampezzo a seguito delle guerre con l’imperatore Massimiliano impose la formazione di un Centenaro a sé, chiamato “d’Oltremonti”.

La storia linguistica di questa Valle è invece piena d’ombre e piuttosto misteriosa, come succede spesso per molti dei nostri dialetti alpini, specie se parlati in valli appartate.

Noi non sappiamo realmente com’era il cadorino intorno al 1000, né sappiamo con certezza che tipo di dialetto parlassero i primi colonizzatori cadorini e da dove provenissero, giacché i dati linguistici che ci trasmette il lessico selvano sono talvolta contraddittori e lasciano adito a molteplici interpretazioni.

Il linguista storico o il comparatista hanno talora l’impressione che il selvano, più che baluardo di un’estrema cadorinità occidentale, si configuri come una cerniera o meglio come un ponte tra la ladinità occidentale di Colle, Rocca, Caprile, Alleghe e dialetti del Sella (livinallese, badiotto, gardenese e fassano) e quella dolomitica orientale del Cadore plavense e oltrechiusano.

Condividiamo il giudizio di Pallabazzer quando afferma che, intorno al 1000 “le condizioni dialettali generali (devono essere state) molto uniformi nelle quattro valli che si dipartono dal Sella, ed è probabile che, perlomeno sul piano fonetico, non differissero da quelle cadorine e altobellunesi in genere.

Le differenze più consistenti sono subentrate dopo, sia per l’isolamento delle varie comunità, soprattutto quando avevano una popolazione numerosa e distavano notevolmente tra loro e dal centro comunale, sia per spinte e sollecitazioni d’altra natura”5.5

Alle stesse conclusioni siamo giunti anche noi soffermandoci invece sulle peculiarità del patrimonio lessicale. Abbiamo selezionato, a titolo esemplificativo, oltre un centinaio di voci selvane schiette appartenenti a campi semantici diversi, principalmente connessi con la tipica cultura agro-silvo-pastorale diffusa, soprattutto in passato, nelle nostre valli, ma anche con le tipologie costruttive e le strutture e suppellettili della casa rustica, la morfologia del suolo e i fenomeni atmosferici, la fauna e la flora locale, il corpo umano, la famiglia, la chiesa e infine una piccola scelta di caratteristici aggettivi, verbi e avverbi.

Pastorizia e allevamento
del bestiame
- bìnba “capra giovane che non ha figliato”;
- brós-ce “resti di fieno nella mangiatoia”;
- cianàl f. “mangiatoia”;
- cianàula “collare di legno per le mucche”;
- ciap “gregge, mandria”;
- ciàpa “ferro da applicare agli zoccoli delle
vacche”;
- ðòla, giola “capretta”;
- festìl “abbeveratoio”;
- nàuz “truogolo”;
- nòda “marchiatura di riconoscimento
all’orecchio delle pecore”;
- pazéda “recipiente di legno per il latte”;
- rók “montone”;
- tabìe “fienile”;
- ùre “mammelle del bestiame”;
- zérza “chiovolo, cinghia di cuoio del
giogo”.
Lavorazione del latte
- brama “panna del latte”;
- frùa “latticini”;
- konàge “caglio”;
- nìda “latticello del burro”;
- pauróñ “siero del formaggio”;
- péña “zangola”;
- ternazón “pestello, mazza della zangola”.
Agricoltura
- bìguóza “parte anteriore del carro”;
- cialvia “misura per cereali”;
- ðrài “vaglio”;
- ferèl “correggiato per le biade”;
- kotà “concimare”;
- ruóñ “striscia di prato tra campo e campo”;
- sóz “solco”;
- vant “vaglio a valva di conchiglia”;
- vàra “maggese”;
- vuóra “opera, giornata di lavoro”;
- ziviéra “carriola, barella per il letame”.
Fienagione
- barìza “bariletto per l’acqua”;
- biést “bracciata di fieno raccolta con il
rastrello”;
- kodèr “bossolo per la cote”;
- kót “cote”;
- rodèla “erba falciata distesa ad asciugare”;
- séda “striscia d’erba che si lascia per confine”;
- varteguói “fieno di secondo taglio”.
Casa
- ciàspe “racchette da neve”;
- degorént “corrente del tetto che sporge
dal muro”;
- fornél “grande stufa a volta”;
- laviéz “pentola di bronzo con tre piedi”;
- luóða “slitta da carico”;
- màntia “maniglia, impugnatura, ansa”;
- salòta, salèra “condotto di legno per l’acqua”;
- sbórs “spazzola”;
- s-ciàndola “assicella per i tetti”;
- s-ciàra “grosso anello”;
- sèla “sedile di latrina rustica”;
- somàsa “pavimento di calce e ghiaia”;
- stùa “stanza foderata di legno riscaldata
dal fornél”;
- zanpedón “bicollo, arconcello per portare
due secchi”.
Morfologia del suolo
- bóa “frana, smottamento”;
- fòpa “concavità, avvallamento”;
- giéf, gèf “solco torrentizio”;
- krép, krépa, kròda “rupe, roccia”;
- (l)ànder “riparo sotto una roccia”;
- làsta “lastra di pietra”;
- masarè “macereto, distesa di sassi”;
- mónt (f.) “pascolo alpestre”;
- pàla “ripido pendio erboso”;
- pàusa “luogo di sosta”;
- ròa “terreno franoso”;
- (s)pisàndol “cascatella”;
Fenomeni atmosferici
- (a)insùda “primavera”;
- gónfe “tormenta di neve”;
- tarén “sgombro di neve”;
- tarlùk “lampo, baleno”.
Fauna
- kóa “nido”;
- musìk “toporagno”;
- skiràta “scoiattolo”;
- sorìza “topo”.
Flora
- àier “acero di montagna” (Acer pseudoplatanus);
- auròsk “veratro” (Veratrum album);
- barànce “pino mugo” (Pinus mughus);
- cianàpia “canapa”;
- giésena “bacca di mirtillo” (Vaccinium
myrtillus);
- lavàz “farfaraccio” (Petasites officinalis);
- mag(u)óia “capsula del papavero”;
- meléster “sorbo degli uccellatori” (Sorbus
aucuparia);
- muóia “lampone” (Rubus idaeus);
- pìtola “pigna, strobilo di conifera”;
- trùia, ratùia “barba di becco” (Tragopogon
pratensis).
Corpo umano e famiglia
- bórsa “ragazzo”;
- cianàula del kòl “clavicola”;
- komedón “gomito”;
- lesùra “articolazione, giuntura”;
- pónta “polmonite”;
- sòr “sorella”;
- spiénða “milza”.
Chiesa
- kalònia “canonica”;
- mónek “sacrestano”.
Aggettivi e avverbi
- asài “abbastanza”;
- aùna “insieme”;
- burt “brutto”;
- ciàut “caldo”;
- dalónz “lontano”;
- dasén “davvero”;
- inséra “ieri sera”;
- iñiér, iñér “ieri”;
- negó “in nessun luogo”;
- nìa “niente”;
- spìz “appuntito”.
Verbi
- busà “baciare”;
- desedà “svegliare”;
- ruà “arrivare, terminare”;
- stèrne “spargere lo strame”;
- strozà “trascinare tronchi”;
- tomà “cadere”.

Ebbene queste voci che, secondo una indovinata definizione cara a G.B. Pellegrini, si possono definire “fondo originario comune di latinità alpina arcaica”, sono in gran parte patrimonio comune del ladino atesino (o sellano) e cadorino. Ciò era peraltro già stato parzialmente intuito e illustrato da Pallabazzer nel Convegno internazionale sul ladino bellunese del 1983 6.6

È dunque evidente che l’ambientazione in un’area così appartata e il contatto con correnti culturali e linguistiche diverse, provenienti soprattutto dal basso e alto Agordino, ha prodotto nel selvano, attraverso i secoli, una lenta metamorfosi che oggi si evidenzia vistosamente in un lessico composito e multiforme. Le tracce della cadorinità sono piuttosto sbiadite, più nel lessico che nella fonetica, che rimane invece saldamente ladina, specie nelle palatalizzazioni di ca- e ga-, anche se i plurali sigmatici sono totalmente scomparsi.

Sono andate perdute moltissime delle voci più caratteristiche dei dialetti cadorini: aghèi “pungiglione di vespa” sostituito da spin; auriéi “labbra” da bèsole; bucià, bicià “buttare” da butà; bòrba “sterco bovino” da zòrda; auðión, auvión, lauvión, augión “perticone per il carro da fieno” da persói; béte “mettere” da méte; daòs “dietro” da daré; dongiàda “cagliata” da konagiàda; auselàda, auselòda, ausolòda, nosolàda bot. “erica” da lesùra; méðe “mietere” da sesolà; grotón zool. “gallo cedrone” da zedrón; me- ðéna “fieno ben pressato nel fienile” da zó- pa; sbulìa, sbolìa bot. “ortica” da gortìa, kortìa, ortìa, ortìgia; rìghin “corda di canapa” da kòrða; zeléi “caciaia, locale per conservare i latticini” da ciàuna dal formài; tàuta, tòuta “ceppaia” da zócia; sésola, séðola zool. “tordio, capello di strega” da tòrkola; s-ciodìze, s-ciudìze, s-ciodìzo “ovile, porcile” da stalòt; són “tempia” da spóns.

Questa è naturalmente una scelta di voci, giacché il patrimonio perduto è molto più consistente.

Anche il caratteristico suffisso diminutivo cadorino-friulano -ùt(o) ci pare del tutto assente sia dal lessico che dalla toponomastica.

L’altro suffisso cadorino -ìn pare sopravvivere solo nella voce isolata cianpanìn “campanile”, sostituito ovunque da -ìl: festìl “abbeveratoio da un tronco incavato”, badìl “badile”, mantìl “tovagliolo”.

Voci selvane vistosamente pancadorine sono invece: ciònk “taccola della fune” (di origine carnica: klònk a sua volta dal ted.); il raro lòða “corridoio” (oggi perlopiù pòrtek); il verbo se inzarzà “prepararsi, avviarsi”; lo scherz. alòlo “subito” (= debòt); meðét “misura per cereali = ½ kartaruól; bólk “bovaro, pastore di buoi” solo nella locuzione zigà kome ’n bólk “gridare come un ossesso”; anche ónt “burro” soppiantato oggi da botìro è una voce cadorina schietta, ma nel selvano arcaico esisteva anche un tedeschismi, un tempo assai diffuso: smàuz. Nelle carte medievali di S. Vito o Selva sono certamente presenti antiche voci cadorine ora scomparse. Nicolai, nel suo dizionario etimologico, ne segnala due assai interessanti e diffuse ancor oggi in Comelico: duzón, dizón “pista tracciata dal bestiame nei pascoli” e un arcaico glièr usato nella locuzione: kel là no l é da méte glièr “è inaffidabile”, che in realtà sarà un grièr “pastore del gregge” (dal lat. gregarius), ben noto nei documenti antichi, specie sotto la forma grearius7.7

La tarda colonizzazione della Val Fiorentina, che, come si è detto, pare risalire


al periodo alto-medievale, è confermata anche dalla toponomastica locale priva di molte delle arcaiche e spesso antichissime voci, dei veri fossili, diffuse invece nel Cadore plavense, area di antico incolato.

Sono assenti infatti qui tipi toponimici come: albèrgo “luogo riparato per il bestiame”; autìa, otìa “uccellanda, tesa”; bàrko “piccolo fienile isolato”; bórcia “biforcazione”; bràko, bràka “terreno dissodato” (esiste però in selvano il verbo bras-cià “dissodare); beguzèra “carrareccia” (ma esiste però biguóza “parte anteriore del carro”); ciópa, ciàpa “viottolo erto e sassoso”; fiès “curva di strada o di corso d’acqua” da flexus; gèi, ièi “campagna recintata” di origine longobarda; kortà “terreno recintato”; ligónto, ligónte di origine e significato oscuro ma presente in quattro toponimi a Lozzo, Domegge, Auronzo e Comelico Superiore, si trova anche in Valle di Zoldo; lùða, luðà “canalone per i tronchi” (prelatino); tànber, tànbar (prelatino e connesso con il tamài selvano); ta(v)èla “campagna pianeggiante”; Vìgo “paese”; zéna “pascolo vespertino”; zerzenà probabilmente “radura circolare”. Sono assenti inoltre i suffissi prediali così diffusi nel Cadore centrale, terminanti in -àn, -àna, -àgo, -ìgo (Ruñàn, Zubiàna, Steàn, Lorenzago, Ranzanìgo, ecc.).

Ci sembrano tracce cadorine ampezzane alcune voci, penetrate forse attraverso il Passo Giau, come arkobeàndo (ALI e Dell’Andrea) “arcobaleno”, ampezz. arc. ’id.’, Oltrechiusa arkoboàn; nèr? arc. (Nicolai) “non è vero?” = ampezz. ñéro?; malzapatà “malvestito”, ampezz. ’id.’; negùn “nessuno”, ampezz. ’id.’, la voce è però comune a tutti i dialetti dell’Agordino settentrionale; a la merlàka (Nicolai) “alla carlona” = ampezz. a ra morlàka; zòrda “sterco bovino”, ampezz. zòrda, ma la voce è tipica dell’area ladina occidentale (ladino sellano, alto Agordino e Zoldo); belóra “donnola”, ampezz. bèldora, ma Agordino centrale beróla, fassano bèlora, bèrola, badiotto bèlora e gard. bulëura; bugèla infant. per gusèla “ago”, ampezz. bužèla (Oltrech. busèla).

Che il selvano sia un crocevia di correnti linguistiche eterogenee è comprovato anche da una ricca serie di sinonimi e varianti fonetiche che abbiamo rilevato dai due lessici di Lorenzo Dell’Andrea e Luigi Nicolai: soriza, sorz “topo”; fogolà, foghèr “focolare”; kilò, ka “qui”; là, ilò “là”; kortìl, kortìf, kortìvo “cortile”; torónt arc., tóndo “rotondo”; ðòla, giòla “capretta”; ke ròba élo? “che cos’è?”; soàða, suàða, kornìs “cornice”, domài, nomài “soltanto”, bréa, brégia “tavola, asse”; vadañà, davañà, guadañà “guadagnare”; komàt, komàcio “collare del cavallo”; anberzón, arbenzón, bonìgol, botón de la pànza “ombelico”; odór, udór, stóf “odore”; kucéta, letiéra “lettiera”, karét, ciarét “carretto”; fài, fa “fare”; le àrte, le masarìe, i inprés-c “attrezzi, utensili”; kuciàro, kazuól, skuliér “cucchiaio”; mónek, nónzol “sacrestano”. Concludendo queste brevi note sul lessico selvano, sulla base della originalità e isolamento di molte voci - specie collesi e selvane -88 , riteniamo ora che si possa parlare fondatamente di una piccola unità linguistica comprendente i sei dialetti

alto-agordini, suddivisi al loro interno in livinallese, lastesano, rocchesano e collese da un lato; alleghese (con Caprile) dall’altro e in posizione un po’ appartata il selvano (con Pescùl).

Per una trattazione più accurata e approfondita di questa “unità lessicale” si rimanda opportunamente al saggio di Pallabazzer del 1983 (v. nota 6). Ringrazio i gentili informatori Ermenegildo Rova e Aristide Bonifacio per i loro preziosi suggerimenti che riguardano fonti storiche e lessico di Selva di Cadore.

Bibliografia

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di G.B. Pellegrini, Centro di Studio per la Dialettologia Italiana, CNR Padova, 1995.

  • • Idem, Esplorazioni linguistiche in Val di Zoldo (BL), in “Archivio per l’Alto Adige - Rivista di studi alpini” XCIXCII

1997-1998, Firenze, 1998.

  • Storici Bellunesi, numero unico, 2004, Cortina d'Ampezzo.
  • • Idem, Vocabolario del dialetto ladino-veneto della Valle di Zoldo (Belluno), Fondazione “G. Cini”, Regione Veneto,

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ediz. 1959/II ediz. riveduta e ampliata, Firenze, 1978.

  • • Pallabazzer Vito, Lingua e cultura ladina - lessico e onomastica di Laste, Rocca Pietore, Colle S. Lucia, Selva di Cadore,

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  • • Idem, I nomi di luogo dell’Alto Cordevole DTA (Livinallongo) vol. III, parte VI, Firenze, 1974.
  • • Idem, Convergenze e divergenze tra la toponomastica ladina atesina e quella ladino-cadorina e bellunese, in “Atti del

Convegno della Società Italiana di Glottologia” (Belluno 31 marzo - 1 e 2 aprile 1980), a cura di E. Vineis, Pisa, 1981.

  • • Pellegrini, Adalberto, Vocabolario fodom-taliân-todâsc II ediz. aggiornata, Trento, 1985.
  • • Pellegrini Giovan Battista, Schizzo Fonetico dei Dialetti Agordini. Contributo alla conoscenza dei dialetti di

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  • • Idem, Saggi sul ladino dolomitico e sul friulano, Adriatica Ed., Bari, 1972.
  • • Rossi Giovan Battista, Vocabolario dei dialetti ladini e ladino-veneti dell’Agordino, Belluno, 1992.
  • • Tagliavini Carlo, Il dialetto del Comelico, “Archivum Romanicum” X Genève, 1926.
  • • Idem, Nuovi contributi alla conoscenza del dialetto del Comelico, Atti dell’Istituto Veneto, Venezia, 1944.
  • • Zandegiacomo De Lugan Ida, Dizionario del dialetto ladino di Auronzo di Cadore, Belluno, 1988.
  1. 1 G.M. Longiarù-Luigi Nicolai, Selva di Cadore - Notizie storiche, Treviso 1983 (I ediz. 1943), p. 12.
  2. 2 Giuseppe Richebuono, Le antiche pergamene di S. Vito di Cadore, Istituto Bellunese Ricerche Sociali e Culturali, Belluno 1980, p. 66.
  3. 3 Idem, p. 70.
  4. 4 Vito Pallabazzer, I nomi di luogo dell’Alto Cordevole, DTA, vol. III, parte V, Firenze 1972, p. 124.
  5. 5 Vito Pallabazzer, I dialetti alto agordini, in Il ladino bellunese. Atti del convegno internazionale di Belluno (2-3-4 giugno 1983) a cura di G.B. Pellegrini e S. Sacco, Belluno, 1984, p. 120.
  6. 6 Idem.
  7. 7 Luigi Nicolai, Il dialetto ladino di Selva di Cadore. Dizionario etimologico, Union de i Ladign de Selva, Selva di Cadore, Belluno 2000, p. 150, 154 e pp. 188, 193; e v. Pallabazzer 1984, cit. p. 219.
  8. Per es.: roadìva “lavoro collettivo di sfalcio”, gortìa “ortica”, guzél “uccello”, solèr “latrina rustica nel poggiolo”, véza “abete bianco”.