Lapidario Romano dei Musei Civici di Modena/Un nuovo Lapidario per Mutina

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Andrea Cardarelli

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Le necropoli di Mutina
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Un Nuovo Lapidario

per Mutina


S
ono passati centoventi anni da quando Arsenio Crespellani pubblicando il suo Gli scavi monumentali romani scoperti a Modena e suo contorno offriva un contributo fondamentale per la conoscenza della città romana di Mutina e lanciava il suo appello per intraprendere ricerche e scavi: Anima dunque o concittadini e sino che si è in tempo sorga fra noi un ’eletta schiera, come nel 1845, che senza frapporre indugi intraprenda uno scavo regolare che ridoni a novella luce questa seconda Pompei che le alluvioni dei torrenti hanno sepolta e forse salvata dalle devastazioni degli uomini e dei secoli. La sua speranza però non fu esaudita. I decenni che seguirono videro mutare profondamente le stesse basi su cui si fondava il pensiero di tanti illustri studiosi & cui si deve, in quella felice stagione postunitaria, tra l’altro, la costituzione del Palazzo dei Musei.

Lo sviluppo urbano e industriale che accompagnò l’inizio del nuovo secolo seppellì le speranze di Crespellani sotto migliaia e migliaia di metri cubi di cemento. Ville, case, strade, industrie si sovrapposero a quegli strati alluvionali che per centinaia di anni avevano gelosamente custodito le vestigia di una fra le più importanti città romane dell’Italia settentrionale, sigillando, sotto nuovi quartieri, altre case, altre strade, altre storie.

Alla fine del XIX secolo una buona parte di Mutina, quella che si estendeva ad Est delle fortificazioni rinascimentali (oggi i viali che circondano il centro) era ancora archeologicamente indagabile, ma negli anni successivi, l’ampliamento urbano interessò in


La carta archeologica di Modena realizzata da Arsenio Crespellani nel 1888. [p. 10 modifica]modo consistente proprio la zona attorno a largo Garibaldi, situata quasi al centro dell’antica città romana. Durante i lavori per la costruzione dei nuovi quartieri vi furono anche dei rinvenimenti occasionali di rilievo, resti di edifici con colonne e mosaici, di pavimentazioni stradali, ma nonostante ciò non furono purtroppo effettuati scavi estesi e regolari come aveva auspicato Crespellani. Negli stessi anni anche ad Ovest della città, fuori Porta S. Agostino, opere di urbanizzazione portavano alla luce nuovi rinvenimenti funerari che si andavano ad aggiungere a quelli già effettuati nei secoli precedenti in questa zona.

Nei primi decenni del Novecento furono ancora soprattutto le scoperte casuali, effettuate durante la costruzione di edifici o di altre opere di trasformazione e ampliamento della città, a restituire frammenti del glorioso e celebrato passato di Mutina. Durante l’edificazione di nuove aree urbane al di là del perimetro della città romana furono scoperte varie testimonianze delle ricche necropoli di Mutina, come ad esempio la stele di Marcus Paccius Orinus, Magister Apollinaris, venuta in luce nel 1934 a seguito della realizzazione di opere fognarie in via Valdrighi. Figure meritorie di studiosi locali come Adamo Pedrazzi, Fernando Malavolti, Emilio e Cesare Giorgi, Maurizio Corradi Cervi furono attivamente coinvolte, soprattutto nel corso degli anni ‘30, in varie ricerche e studi, alcuni dei quali di notevole importanza, come il rinvenimento del mosaico tardoantico di vicolo S. Maria delle Asse, i sondaggi che portarono alla probabile individuazione dell’area dell’anfiteatro, gli scavi in piazza Mazzini e piazza Matteotti.

Il dopoguerra e ancor più gli anni “60 e ‘70 del Novecento furono i momenti di massimo sviluppo urbano. Anni strategici per il rinnovamento della nazione e per la crescita della città; ma il forte impulso allo sviluppo economico e la mancanza di un organico numericamente sufficiente all’interno della Soprintendenza non favorirono certo un atteggiamento di particolare attenzione verso le vestigia archeologiche. Furono diversi i rinvenimenti di cui ci è giunta qualche testimonianza, a partire da quelli effettuati nel centro storico della città: fra questi il sarcofago di piazza Matteotti nel 1947, i resti di domus con mosaici trovati sotto gli edifici delle sedi centrali della Banca Popolare dell’Emilia in via San Carlo nel 1956, della Cassa di Risparmio di Modena (oggi Rolo Banca) in piazza Grande nel 1963—64, e del cinema Capitol in via Università nel 1967.

Contestualmente l’ampliamento dei quartieri periferici ad Est, ad Ovest e a Nord della città portò alla luce altre importanti testimonianze monumentali ed epigrafiche delle necropoli mutinensi. In quegli anni si persero occasioni straordinarie per conoscere la storia, i monumenti, l’organizzazione di Mutina, e se non fosse stato per l’intervento di alcuni [p. 11 modifica]volontari e di alcuni studiosi, fra cui ricordiamo Gino Vinicio Gentili e Benedetto Benedetti e i successivi lavori del compianto Fernando Rebecchi, non avremmo avuto neanche quelle poche informazioni e quei resti, certo parziali ma estremamente significativi, che ci sono giunti.

Gli anni Ottanta videro un sostanziale mutamento. Nel 1985 fu intrapreso il primo vero e proprio sondaggio stratigrafico nel sottosuolo della città, al di sotto dell’attuale sede centrale della Rolo Banca, fra via Albinelli e via Selmi. Benché il sondaggio fosse circoscritto entro pochi metri quadrati i risultati andarono ben oltre le speranze più ottimistiche. Gli scavi restituirono resti di muri di un edificio, probabilmente una domus, una quantità estremamente consistente di resti archeologici, comprese quarantotto anfore usate presumibilmente per bonificare un corso d’acqua deviato; il particolare stato di conservazione dei resti ha consentito di ottenere dalle analisi archeobotaniche e zooarcheologiche importantissime informazioni sulle specie coltivate e allevate e sulla dieta degli abitanti di Mutina.

All’inizio del 1989 la realizzazione della mostra Muthina, Marina, Modena. Modena dalle Origini all’anno Mille e l’edizione dei due monumentali volumi di catalogo che l’accompagnarono rappresentarono la svolta decisiva. Tutte le informazioni archeologiche della città e del territorio furono inserite all’interno del Piano Regolatore Generale e Modena fu la prima città in Italia a dotarsi di normative specifiche per la tutela archeologica all’interno degli strumenti di programmazione urbanistica e territoriale di competenza dell’Ente Locale. Uno strumento che si è dimostrato vincente nell’affiancare efficacemente l’azione di tutela della Soprintendenza e nella programmazione degli interventi di trasformazione che vogliano tener conto delle preesistenze archeologiche. Il modello fu così successivamente esteso, grazie all’interessamento della Provincia di Modena, a gran parte del territorio provinciale, ed è stato alla base del sistema informatizzato C.A.R.T. adottato dalla Regione Emilia Romagna.

Nel corso di questi ultimi anni dunque l’azione di tutela, svolta dalla Soprintendenza per i [p. 12 modifica]Beni Archeologici con l’affiancamento del Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena, ha permesso un controllo sistematico sugli interventi di trasformazione urbanistica in aree potenzialmente interessate da preesistenze archeologiche e ciò ha favorito enormemente l’avanzamento delle conoscenze e l’acquisizione di importanti resti archeologici. Fra i numerosi rinvenimenti spiccano quelli pertinenti ai monumenti funerari e alle testimonianze epigrafiche di Mutina. Sono questi resti, oltre a quelli recuperati negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, sempre provenienti dalle necropoli di Mutina e del suo territorio, a costituire il nuovo Lapidario Romano dei Musei Civici che affiancherà il Lapidario Estense, nel quale sono conservate altre importantissime testimonianze monumentali ed epigrafiche modenesi, trovate prima del 1948.

Il nuovo Lapidario, che ospita molti monumenti finora mai esposti al pubblico, presenta un allestimento organizzato per nuclei topografici pertinenti alle diverse aree di necropoli di età romana, che si estendevano lungo le principali direttrici viarie immediatamente fuori della città di Mutina. All’interno di questi raggruppamenti si è cercato, nei limiti imposti dain spazi, di aggregare i reperti per contesti di rinvenimento e per tipologie. Questa impostazione, più legata alla realtà archeologica di Mutina, si differenzia dall’attiguo Lapidario Estense che ha conservato il percorso storico così come si è venuto a costituire da Malmusi in poi, e che ospita anche resti di provenienza non modenese e testimonianze epigrafiche e monumentali anche di età medievale e rinascimentale.

Mosaico policromo scoperto nel 1934 in Vicolo Santa Maria delle Asse, databile tra la fine dei IV e il V secolo d.C., al momento della scoperta.
La porzione di mosaico venuta in luce faceva parte di un più ampio pavimento la cui estensione non doveva essere inferiore a 36 mq. Dopo le fotografie il mosaico fu reinterrato
Il nucleo più consistente del nuovo Lapidario Romano è quello della cosiddetta necropoli orientale che si estendeva lungo la via Emilia ad Est della città per la quale sono noti diversi rinvenimenti. Un primo consistente nucleo (nn. 9-11 e 14-15) fu trovato tra il 1963 e il 1964 durante la costruzione degli edifici dell’Alleanza Assicurazioni, lungo via Emilia Est, poco ad Ovest del tracciato della ferrovia Modena-Sassuolo. Questo significativo contesto è rappresentato da stele ed are funerarie e dal monumento del centurione Publius Clodius, di cui è stato possibile ricostituire parte del recinto originale.

Gli altri nuclei di rinvenimento della necropoli orientale provengono da recuperi e scavi più recenti. Un gruppo di monumenti (nn. 16-17) è venuto in luce nel 1989, all’incrocio fra via Emilia Est e via Saliceto Panaro. Si tratta di un ollario, ossia la custodia litica dell’olla che conteneva le ceneri di un defunto, e di un grande frammento decorato con finta grata, pertinente verosimilmente ad un monumento funerario ad edicola. Un altro importante nucleo di resti di monumenti funerari proviene dagli scavi preventivi effettuati nel 1998 in via [p. 13 modifica]Emilia Est all’altezza di via Cucchiari e via Bonacini (nn. 7-8 e 12-13). Si tratta di grandi frammenti in parte reimpiegati in età tardoantica, per risistemazioni della massicciata della via Emilia o delle sue banchine laterali. Nonostante la loro frammentarietà i reperti consentono di avere un’idea della qualità dei monumenti funerari di Mutina. Oltre ai resti di trabeazione ed epistilio di monumenti di grandi dimensioni è attestata una parte di monumento funerario, raffigurante la prora di una nave da guerra, forse pertinente ad un alto ufficiale della flotta romana. Dallo stesso contesto di rinvenimento proviene la stele monumentale di Cuius Fadius Zethus trovata in giacitura primaria ancora perfettamente fitta. Un ulteriore importante gruppo di materiali pertinente alla necropoli orientale è stato recuperato nei pressi della via Emilia, negli scavi effettuati per la realizzazione del percorso interrato della ferrovia Modena-Sassuolo effettuati tra il 1999 e il 2001 (nn. 3-6). Fra le numerose testimonianze spiccano i resti di un basamento di monumento a corpo cilindrico e alcune stele fra cui quella di Lucius Rubrius Stabilio Primus che presenta sulla fronte e ai lati i ritratti dello stesso Lucius e dei suoi familiari. Egualmente importanti sono due stele (nn. 18 e 19), trovate nel 1999, sempre in occasione degli scavi preventivi della ferrovia Modena-Sassuolo, all’altezza di viale Moreali. Tali testimonianze sembrano riferibili ad una necropoli che doveva essere collocata a Sud Est della città, forse lungo una direttrice viaria che si dirigeva verso l’Appennino, e possono ricollegarsi al vicino rinvenimento del sepolcro di Marcus Paccius Orinus, trovato in via Valdrighi nel 1934.

Alla necropoli occidentale (nn. 20-21), dislocata lungo la via Emilia verso Reggio Emilia (Regium Lepidi), sono pertinenti i rinvenimenti fortuiti effettuati nel 1973 in occasione della costruzione di edifici all’altezza dei numeri civici 70-100 di via Rainusso, poche centinaia di metri ad Ovest di Largo di Porta S. Agostino, nei pressi di Palazzo Europa.

La stele di Caius Fadius Zethus al momento del rinvenimento nel 1998.

Altri due monumenti funerari, recuperati casualmente tra la fine degli anni Sessanta e i [p. 14 modifica]primi anni Settanta, provengono dalla cosiddetta necropoli settentrionale (nn. 1 e 2), che probabilmente si estendeva lungo la direttrice del cardine massimo, coincidente forse con la via che conduceva verso Verona. Oltre alla stele di Publius Seppius Faustus è esposto un grande concio pertinente al monumento a corpo cilindrico di Publius Aurarius Crassus, tribuno dell’esercito ed edile, personaggio di spicco della comunità mutinense.

Nell’esposizione hanno anche trovato posto alcuni monumenti provenienti dal territorio (nn. 22-25) e in particolare alcune importanti stele provenienti dall’area di Ganaceto, recuperate fortuitamente durante lavori agricoli, in varie occasioni, tra il 1961 e il 1973. Fra queste la stele di Caius Samius Crescens, militare della dodicesima coorte urbana, come ci testimonia, oltre all’iscrizione, la raffigurazione delle armi sul monumento funerario.

Nel complesso il nuovo Lapidario Romano rappresenta un contributo determinante per la conoscenza della città di Mutina che certamente fu, soprattutto tra la tarda età repubblicana e i primi secoli dell’impero, una realtà politica ed economica di primaria importanza nel panorama delle città dell’Italia settentrionale.

I monumenti funerari e i resti epigrafici esposti nel nuovo Lapidario ci consentono di confrontarci con storie lontane di uomini e donne, di severi militari o di munifici commercianti e artigiani, che secoli e secoli fa hanno vissuto, amato, lavorato e sofferto in questi stessi luoghi e lungo quella stessa via che ancora oggi, quasi immutata nel suo percorso, rappresenta la vera arteria del cuore pulsante di Modena.

Una storia millenaria, il cui più autorevole testimone è proprio il Duomo, costruito da Lanfranco, con quei marmora insignia dai lui fatti recuperare fra i resti sepolti di Mutina. Ma se nel medioevo l’ascendenza da Mutina firmissima et splendidissima era un elemento di forte identificazione storica della città, tanto che le nobili famiglie fino al tardo rinascimento riutilizzarono frequentemente gli antichi sarcofagi come propri sepolcri da collocare attorno al Duomo, successivamente il legame fra la città antica e sepolta e la comunità urbana fu messo in secondo piano e quasi scomparve dal comune patrimonio di conoscenze della maggior parte dei cittadini. In questi ultimi anni però vi è stato un intenso lavoro di valorizzazione delle testimonianze di Mutina e nel pensiero diffuso è meno distante l’idea che sepolti sotto alcuni metri dalla città attuale vi siano i resti ben conservati di un’altra città, con le sue strade, le sue case i suoi monumenti.

Una consapevolezza cresciuta grazie alle varie iniziative prodotte dal Museo e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici, dalla mostra su Mutina nel 1989, al Cd Rom presentato nel 2001, alle varie iniziative divulgative e didattiche organizzate in questi anni, ed oggi alla realizzazione di questo nuovo Lapidario. Forse solo ora possiamo sperare che si comincino a creare quelle condizioni che un giorno, non troppo lontano, permetteranno di indagare scientificamente i resti archeologici custoditi nel sottosuolo della città e di portare alla luce almeno una piccola parte di Mutina. Forse dopo centoventi anni dal lontano e accorato appello di Crespellani non tutto è perduto.