Le Mille ed una Notti/Storia del Sultano di Hind

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Storia del Sultano di Hind

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Storia d'un Sultano dello Yemen e de' suoi tre Figliuoli Il Figlio del Pescatore

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STORIA

DEL SULTANO DI HIND.

«— C’era una volta nell’India un sultano, le cui ricchezze e la potenza poteano dirsi immense, ma al quale il cielo aveva negato di esser padre. Un giorno, divorato dalla noia e dal cordoglio, rivestitosi d’una pelliccia color di fuoco, si recò al consiglio. Il visir, spaventato alla vista di quell'abito di duolo, gli chiese per qual motivo lo avesse indossato. — Aimè!» rispose il sultano; «esso dipinge la tristezza del mio animo. — Recati nel gabinetto che racchiude i tuoi tesori,» riprese il ministro, «e contempla quelle ricchezze: forse lo splendore dell’oro e le lucide [p. 191 modifica] faville delle gemme potranno lusingarti i sensi e dissipare il tuo affanno. — Visir, non v’ha più felicità per me su questa terra, e l'Eterno solo deve occupare i miei pensieri. S'egli avesse voluto vedermi felice quaggiù, m’avrebbe concesso di divenir padre. —

«Appena pronunziate tali parole, un vecchio, che l'ascoltava, accostatosi, gli favellò di tal guisa: — Principe, io ereditai da’ miei antenati una ricetta, che procura la fecondità a chiunque l’usa, ed io ve l'offro di tutto cuore.» Accettò il sultano, ed in capo a qualche mese una delle donne del serraglio trovossi incinta, alla qual fausta notizia il sultano ordinò grandi allegrezze, e fe’ distribuire ai poveri molte elemosine. Finalmente la principessa mise alla luce un leggiadro bambino, ed il sultano ne fu sì lieto, che pose in serbo la metà dei suoi tesori per l’erede del trono. Intanto il bambolo fu consegnato alle cure delle migliori nutrici, e giunto al settimo anno, gli si diedero abili maestri per istruirlo nel Corano e nei vari rami dello scibile. Nè meno coltivata ne fu l’educazione fisica: all’età di dodici anni il principino sapeva montare a cavallo, tirar l’arco, e maneggiare la lancia, talchè poteva riguardarsi come il miglior scudiero del regno.

«Un giorno, trovandosi a caccia nei dintorni della capitale, vide comparire, aleggiando e roteando per l’aria, un uccello colle penne del più bel verde che avesse veduto. Scoccò il principe una freccia, ma non colse l’augello, che disparve. Il giovinetto gettava invano lo sguardo da tutti i lati nella speranza di scoprire la desiderata preda; l’uccello se n’era ito, ed il povero cacciatore, dopo averlo cercato indarno sino a sera, tornò tutto mesto alla reggia paterna. Colpiti i suoi genitori dall’aria triste sparsa sulla di lui persona, lo pregarono di confidar loro le sue pene, cosa ch’ei fece al momento istes[p. 192 modifica]so. — Caro fanciullo»» soggiunse allora il sultano, e l’Onnipossente ha creato esseri di mille diverse forme; senza dubbio v’hanno molti uccelli superiori d’assai a quello che tanto desideri. — Può darsi,» rispose il principe, «ma io non prenderò cibo se non abbia in mio potere quello che m’occupa tutto il pensiero.»

NOTTE DLXXXVII

— «Il giorno seguente tornò il giovinetto a caccia, e giunto nella pianura, al medesimo sito del dì prima, vide di nuovo l’uccello verde. Dopo averlo assai tempo tenuto di mira, gli scagliò un dardo; ma l’uccello, schivandolo, alzossi nell’aria. Spronò il principe a tutta possa il cavallo, ed inseguì la preda senza sostare sino al tramonto. Allora, fermatosi, estenuato dalla fatica, tornò alla città.

«Siccome camminava lentamente, e la stanchezza e la fame aveangli esauste le forze, incontrò un uomo d’aspetto venerabile, il quale gli disse: — Principe, pare che tanto tu quanto il tuo cavallo siate oppressi di stanchezza; che cosa ha mai potuto ridurvi a tal condizione? — Padre,» il giovinetto rispose, «ho inseguito indarno un bell’uccello verde, che desidero moltissimo di possedere. — Figliuolo,» rispose il vecchio, «quand’anche lo inseguissi un intero anno, non riusciresti a raggiungerlo. Quell’uccello viene da una città del paese de’ Kaffi, ove sono giardini deliziosi, popolati d’uccelli consimili e di molte altre specie ancor più belle. Gli uni cantano in modo incantevole, gli altri parlano come gli uomini. Ma, oimè! tu non potrai mai penetrare in quel beato soggiorno; credi dunque a me, rinuncia al possedimento di quella bestiuola, e volgi l’animo ad [p. - modifica]

Il Palazzo di Vird-al-Ikmam nell’isola di Tukkalla.               Disp. XXVII. [p. - modifica]

Marcia d’una carovana.               Disp. XXVIII. [p. 193 modifica] altro oggetto, senza tormentarti per cosa che non potresti conseguire giammai. — Per Allah e la sua onnipotenza,» sclamò vivamente il giovinetto, «nulla potrà impedirmi di visitare il bel paese di cui mi parli.» E lasciato il saggio, proseguì la sua strada, piena la mente del paese dei Kaffi.

«Di ritorno alla reggia, il padre, vedendo il suo turbamento, volle sapere che cosa gli fosse accaduto, e quand’ebbe udito le sue inutili corse e gli avvisi del vecchio: — Figliuolo,» gli disse, «abbandona tal pazza chimera, e fa che più non ti tormenti, poichè chi brama una cosa impossibile, si consuma di cordoglio prima di poter ottenere l’oggetto degl’insensati suoi voti. Riprendi un po’ di calma, e non affannarti più oltre. — Ah padre!» rispose il principe; «dopo le parole del venerabile vecchio, l’anima mia arde vie maggiormente della brama di possedere quell’uccello. Un sol istante di riposo non godrò se non nel paese de’ Kaffi, e dopo aver visitati i giardini che racchiudono sì amabili creature. — Ahi! mio caro figlio, pensa quanto la tua assenza amareggerà tua madre e me, e per amor nostro rinunzia a quest’inutile viaggio.» Ma tutte le rimostranze del sultano non valsero a rimoverlo dalla sua risoluzione, e fu d’uopo lasciarlo partire. Il nostro avventuroso giovinetto camminò dunque un buon mese senza che nulla gli accadesse di notabile, sinchè, pervenuto in certo sito, gli si affacciarono tre diverse strade, dove ergevasi una piramide, ciascun lato della quale era rivolto ad una delle strade medesime. Sopra l’uno stava scritto: Via della salute; sul secondo: Via del pentimento; e sul terzo: Chiunque seguirà questa strada, non tornerà probabilmente più indietro. — Mi appiglierò a quest’ultima,» disse il principe; ed entratovi, camminò per venti giorni, dopo de’ quali giunse vicino ad una città deserta, i cui edifici cadevano in rovina. Non [p. 194 modifica] potendo il luogo somministrare veruna provvigione, ingiunse alla sua gente di uccidere cinque pecore del gregge seco loro condotto, e prepararle in varie fogge ad uso di vivanda. Ciò disposto, il principe fece 1e sue abluzioni, e sedè cogli altri primari ufficiali del seguito.

«Avevano appena cominciato il pasto, allorchè comparve dinanzi al giovane un genio di quelle ruine. — Ti saluto, sovrano del deserto,» gli disse il principe, inchinandosi con rispetto; «sii il ben venuto.» Ed aggiunse altre parole cortesi ed affettuose, nel proferire le quali, avvedendosi che i bei capelli del genio gli cadevano in disordine sul volto e giù per le spalle, prese un paio di cesoie e glieli tagliò; poi, datagli acqua per le sue abluzioni, gli offrì di partecipare alla mensa.

«Accettò il genio, e contento dell’affabilità del principe, gli disse: — La tua venuta in questi luoghi mi sarà cagione di morte; ma fammi sapere lo scopo del tuo viaggio.» Il giovane gli raccontò quant’eragli accaduto alla caccia, e la risoluzione presa di penetrare nel regno de’ Kaffi. Udito che l’ebbe il genio: — Figlio di sultano,» soggiunse, inaccessibile è quel paese per te, nè tu vi sapresti pervenire, poichè la sua lontananza da qui esigerebbe al viaggiatore più infaticabile trecento anni di cammino. Come puoi dunque sperare di giungervi e sopratutto di tornarne? Ma, o figlio, il vecchio proveribio dice che il bene ha da essere pagato col bene, col male il male, e niuno è più crudele o più benefico dell’abitator del deserto. Siccome tu mi trattasti generosamente, la tua bontà ti sarà ricambiata. Lascia qui i tuoi seguaci ed i bagagli e partiamo soli assieme.» Subito il principe separossi dalla sua comitiva, ed il genio, turategli le orecchie, se lo prese sugli omeri e partì colla velocità del lampo. [p. 195 modifica]

«Dopo parecchie ore di rapidissimo volo, discesero a terra, ed il principe trovossi nel regno de’ Kaffi, presso al giardino delle sue brame, dove, percorsi tutti i luoghi all’intorno, ei vide boschetti ombrosi, odoriferi albereti, ruscelli serpeggianti in mezzo a praterie smaltate di fiori, ed uccelli bellissimi che empivano l’aere di melodiosi canti.— Ecco l’oggetto delle tue ricerche,» gli disse il buon genio; «entra nel giardino.» Ed immantinenti, lasciata la guida, e passando per la porta, che trovavasi aperta, entrò, e vagando qua e là per tutti i lati, scorse in breve, appese ai rami degli arboscelli, varie gabbie, entro le quali stavano in gran numero leggiadrissimi uccelli di varie specie, ed ogni gabbia ne conteneva due.

«Impossessatosi il principe d’una di quelle gabbie, vi chiuse sei di que’ graziosi animaletti, e disponevasi a lasciare il giardino colla conquista, quando sulla porta incontrò un soldato, il quale si mise a gridare a tutta gola: — Al ladro! al ladro!» Accorse molte guardie alla voce di costui, precipitaronsi sul principe, lo pigliarono, e legategli le mani, lo condussero davanti al sultano, al quale denunziarono il delitto dello straniero. - Giovane,» disse il re, volgendosi al principe, «chi ti ha potuto indurre a violare così la mia proprietà?» Il principe taceva. — Giovane insensato,» sclamò allora il sultano, «tu meriti la morte; tuttavia acconsento a dirti grazie e lasciarti quegli uccelli che hanno suscitato i colpevoli tuoi desiderii, se sai recarmi dall’isola Nera alcuni de’ suoi grappoli d’uve composti di smeraldi e diamanti; aggiungerò anzi in tal caso sei altri uccelli a quelli che già prendesti» Sì dicendo, lo fece mettere in libertà, ed il giovane principe volò a trovare il vecchio genio per informarlo dell’infelice esito della sua avventura. — Facile è l’impresa,» rispose questi; «monta sulle mie spalle. — [p. 196 modifica]«Dopo due ore di volo, il genio calò, ed il principe trovossi nell’isola Nera. Tosto si diresse verso il giardino nel quale trovavansi i maravigliosi grappoli, ma un mostro spaventoso gli mosse incontro. Il principe, con istupenda agilità, sguainata la spada, lo percosse con tanta destrezza, che il mostro cadde morto a’ suoi piedi, con orribili ululati. La figlia del sultano, avendo veduta dalle finestre dell’harem il combattimento, colpita dalla leggiadria e dal coraggio del principe, sclamò: — No, giovane eroe, nulla può opporsi al tuo valore, nè resistere alle tue attrattive!» Ma nè la vide il gagliardo, nè giunse ad udire l’elogio.»

NOTTE DLXXXVIII

«Vinto il mostro, il nostro eroe inoltrossi verso il giardino, di cui trovò la porta aperta, ed entrando, vide una moltitudine d’alberi artificiali carichi di pietre preziose. Uno fra gli altri ne osservò che somigliava ad un tralcio di vite, ed i cui frutti erano diamanti e smeraldi. Ne avea già colti sei, e stava per uscir dal giardino, allorchè, incontrato da una guardia, gettò questa il grido d’allarme, e subito accorsi i compagni, si arrestò il ladro e fu condotto davanti al sultano, al quale dissero: — Sire abbiam trovato questo giovane che stava rubando i frutti del giardino delle gemme.

«Irritato il sultano, era per farlo morire, allorchè una turba di popolò entrò nella sala gridando: — Buona nuova pel nostro sovrano! — E quale?» chiese [p. 197 modifica] il re. — Abbian trovato morto l’orribile mostro che ogni anno divorava i figli e le figliuole nostre.»

Tanto fu il giubilò del sultano per quel fausto avvenimento, che, sospesa l’esecuzione, sclamò: — Mi sia subito presentato il valoroso che uccise il mostro; giuro per colui che m’investi del regno, di dargli in matrimonio mia figlia, con tutto ciò che possa desiderare, foss’anche la metà dell’impero.—

«Bandita la proclamazione del sultano, più giovani presentaronsi, che tutti pretendevano di aver riportata l’insigne vittoria, ed in diverse fogge raccontavano il combattimento: il che fece sorridere il principe. — È cosa assai strana,» disse il sultano, «che un reo, in posizione sì disperata, sia tanto incurante per sorridere.» Mentre il monarca rifletteva su quell’avvenimento, venne un eunuco del serraglio a pregarlo di recarsi dalla figliuola, la quale aveva qualche cosa d’importante da comunicargli. Egli, subito alzatosi, lasciò la sala dell’udienza.

«Entrando il monarca nella camera della figlia, le chiese per qual motivo lo avesse mandato a chiamare con tanta fretta. - Brami tu» quella rispose,» conoscere chi uccise il mostro, e ricompensarne la bravura? — Per quel Dio che ha creato sudditi e sovrani,» sclamò il sultano, «mia prima offerta, se giungo a scoprirlo sarà di dartelo in consorte, qualunque sia la sua condizione ed il paese che l’ha veduto nascere. — Il vincitore del mostro,» ripigliò la fanciulla, «è quel giovane che, entrato nel giardino delle gemme, volea portarne via alcuni frutti, e che tu sei in procinto di mettere a morte.

«A quei detti, il sultano, tornato al consiglio, e volto al principe, gli disse: — Giovane, lo ti faccio grazia. Ma sei proprio tu che ci liberasti dal mostro? — Sì,» l’accusato rispose. Il monarca volea immediatamente far venire il cadì onde stipulare il [p. 198 modifica] matrimonio, ma il giovane lo trattenne dicendo: — Ho prima da consultare un amico; permettete che mi ritiri: tornerò in breve.» Il sultano acconsentì, ed il principe, andato a trovare il suo buon genio, l’informò dell’occorso, e dell’offerta fattagli dal sultano. — Accettala,» rispose la sua guida, «sotto la condizione che, se sposi sua figlia, ti sarà permesso di condurla nel tuo regno.» Infatti, egli propose quella condizioue che fu accettata, e si celebrarono colla massima magnificenza le nozze, dopo le quali, rimasto un mese e tre giorni nel palazzo reale, si dispose a partirne colla moglie per tornare ne’ propri stati.

«Al momento della partenza, il suocero gli fece dono di cento di quei grappoli composti di smeraldi e diamanti. Quindi il nostro eroe recossi, unitamente alla consorte, presso al genio, il quale, fattili salire sulle spalle e preso il voto, discese due ore dopo nelle vicinanze della capitale dell’isola de’ Kaffi. Il principe allora, presi quattro de’ suoi frutti, corse alla reggia, e li presentò al sultano, il quale, tutto maravigliato, sclamò: — Non c’è da dubitarne: questo giovane straniero è protetto dal cielo o da qualche possente genio; altrimenti come avrebb’egli potuto fare in men di tre mesi un viaggio di trecento anni? Descrivimi, te ne prego,» chiese, volgendosi al principe, «descrivimi questa famosa isola dei Neri, e non risparmiarmi nessuna particolarità.» Avendo egli soddisfatto alla di lui domanda, il sultano soggiunse: — Nobile straniero, tu puoi con tutta fiducia chiedermi tutto che desideri. — Non bramo che di portar meco i miei uccelli. — Sono tuoi, ma degnati ascoltarmi. Ogni anno, in un giorno fisso, e quel giorno fatale è giunto, vedesi piombare dall’alto di quel monte un enorme avvoltoio che lacera uomini, donne e fanciulli: combatti per noi, liberaci da quel mostro, e saranno tua ricompensa la mano ed il cuore di mia figlia. — [p. 199 modifica]

«Stimò il giovane di dover consultare il genio, il quale l'indusse a tentare l’onorevole e perigliosa impresa. Comparso intanto l’avvoltoio, il genio si slanciò nell’aria, attaccò il feroce animale, e dopo ostinato combattimento postolo a brani, discese verso il protetto, e gli disse: — Va ad avvertire il sultano della morte del suo crudele nemico.» Molto stentò questi a credere alla fausta novella, ed uscito dal palazzo per andar a contemplare il mostro disteso al suolo, pieno di gratitudine, volle che il matrimonio fosse in quella sera celebrato. Aladdin, felice nelle braccia della seconda sua sposa, rimase un mese intiero presso allo suocero, indi gli manifestò il proprio desiderio di rimpatriare; laonde il sultano, colmatolo di presenti, gli donò parecchie gabbie piene di quei rarissimi uccelli, e colle più tenere carezze volse ai coniugi il doloroso addio.

«Il genio, ripreso sulle spalle il principe colle due consorti, colle gioie e le gabbie, sollevossi nell’aria, scendendo poche ore dopo vicino alla città deserta, dove il giovane aveva lasciato le tende, il seguito ed i bestiami. Lo attendevano i suoi colla più viva impazienza, ed il buon genio, appena l’ebbe deposto a terra, gli disse: — Amico mio, tu mi rendesti al certo, venendo qui, un gran servigio; ma devo pur chiederti un altro favore. — E quale? — Che non ti allontani da questo luogo prima di aver lavata, preparata e deposta la mia salma nel sepolcro.» Non aveva ancor finite queste parole, che, messo un lungo gemito, l'anima sua separossi dalla spoglia mortale. Il giovane, afflitto e dolente, pagò tributo di copiose lagrime alla memoria del benefattore, adempì scrupolosamente a tutti gli offici impostigli dalle di lui ultime volontà, indi si ripose in cammino, e dopo tre giorni giunto al piede della piramide dalle tre iscrizioni, vi trovò ad attendervelo il [p. 200 modifica]vecchio suo padre. Gettaronsi nelle braccia l’un dell’altro, e soddisfatto a quel primo bisogno della reciproca tenerezza, il principe narrò al genitore le maravigliose sue avventure. Ripresa in fine la via della capitale, vi furono accolti dagli abitanti in mezzo ad universalì applausi ed ai voti più sinceri per la loro prosperità. — «Piacque al sultano quel racconto, ed ingiunse al secondo di que’ suoi beneficali di narrargli qualche altra novella, cui quegli tosto si accinse in cotal sensi: