Le caverne dei diamanti/13. Un duello mortale

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13. Un duello mortale

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13.

UN DUELLO MORTALE


Non vi era tempo da perdere. Se volevamo impedire la riorganizzazione dei reggimenti di Touala e che nuovi rinforzi gli giungessero, era necessario muovere prontamente su Loo ed assaltare il kraal reale, onde non perdere i frutti di quella vittoria.

Quantunque tutti fossero stanchi ed affamati, i reggimenti, sebbene così tremendamente mutilati, si misero tosto in colonna, dopo d'aver staccato numerosi reparti per curare i feriti.

Io ed il signor Falcone stavamo per metterci alla testa delle colonne, quando ci vennero ad avvertire che Good era stato trovato in fondo ad un burrone, seriamente ferito.

Temendo che il nostro disgraziato compagno fosse stato ridotto a mal partito, ci affrettammo a correre da lui e lo trovammo su di una specie di barella fatta con rami e foglie, che alcuni koukouana avevano improvvisata.

Good era pallidissimo, abbattuto, colle vesti lacere, il viso contuso e con una gamba ferita da un colpo d'ascia.

— Che cosa vi è accaduto?... — gli chiesi, premurosamente.

— Una brutta avventura in fede mia, che per poco mi mandava all'altro mondo — mi rispose egli, sorridendo. — Senza questa solida cotta d'acciaio che mi ha riparato, a quest'ora non sarei più fra il numero dei viventi.

— Raccontateci come è andata la faccenda — gli disse il genovese.

— Ve la spiego in due parole. Avevo appena abbattuto un capo nemico, un diavolo d'uomo che mi aveva dato un gran da fare e, credendolo morto, stava per scendere la collina, quando quel dannato si precipitò a tradimento su di me.

«Il volpone era più vivo di prima ed era ricorso a quell'astuzia per attaccarmi alle spalle.

«Preso alla sprovvista, non ebbi il tempo di difendermi, anzi ricevetti un colpo d'ascia che per fortuna mi colpì ad una gamba invece di fracassarmi la testa, poi una spinta furiosa che mi mandò a gambe levate a ruzzolare in fondo al burrone.

«Come sia ancora vivo io non lo so, ma credo che senza la cotta di maglia mi sarei fracassato lo stomaco.»

— Ed il koukouana, lo avete ucciso? — chiesi.

— Mai più — rispose Good. — Dopo d'avermi spinto nel burrone fuggì a rompicollo e probabilmente è ancora vivo, se però lo ritrovo siate certi che gli farò pagare il tradimento.

Poi cambiando tono, ci chiese:

— Dunque, siamo vincitori?

— Su tutta la linea — rispose il signor Falcone. — Fra mezz'ora noi avremo conquistato anche il kraal reale. Riposate tranquillo e non temete per noi.

Lo lasciammo, non volendo perdere l'occasione di prendere parte all'attacco del kraal e raggiungemmo Ignosi ed Infadou, i quali si erano posti alla testa dei loro reggimenti.

Le porte di Loo erano state fortemente occupate dalle truppe di Touala ed i ponti levatoi erano stati prontamente alzati, ma noi eravamo certi di non trovare molta resistenza, essendo quei negri completamente disorganizzati e demoralizzati dopo le sanguinose sconfitte.

Da un capo nemico caduto in nostro potere, apprendemmo che il feroce monarca si era trincerato nelle sue capanne, risoluto a resistere fino all'ultimo, ma che le sue truppe erano più disposte ad abbandonarlo che a difenderlo, considerando ormai ogni resistenza inutile. Ignosi, volendo evitare un nuovo spargimento di sangue, mandò degli araldi a ciascuna porta, promettendo ai difensori salva la vita se si arrendevano.

Delle acclamazioni fragorose ci avvertirono che gli araldi erano riusciti ad ottenere il loro scopo. Infatti poco dopo i cinque ponti levatoi venivano abbassati e noi entravamo in Loo con tutte le precauzioni immaginabili però, temendo un tradimento.

Le nostre paure erano infondate. Le truppe di Touala deposero le armi e s'affrettarono a fraternizzare coi nostri guerrieri, acclamando Ignosi re.

Superate le cinte del kraal reale, vedemmo che gli ultimi fidi del monarca avevano preso rapidamente il largo, per non farsi inutilmente trucidare. Il recinto era completamente deserto ed un silenzio assoluto regnava dovunque, perfino nelle capanne reali.

— Che sia fuggito anche Touala? — chiese il signor Falcone, volgendosi verso Ignosi.

— Non credetelo — rispose il re. — Touala è troppo valoroso per volgere le spalle ai nemici.

— Si arrenderà a noi?...

— Sì, ma non colla speranza di sopravvivere.

— Lo ucciderai?...

— Quando un re viene vinto in guerra, lo si uccide — risposi Ignosi. — Tale è il nostro costume.

— E chi lo ucciderà?...

— L'uomo che avrà scelto per combatterlo.

— Non ti comprendo.

— Touala ha diritto di scegliere l'uomo che deve ucciderlo e combatterà con lui fino all'estremo delle sue forze.

— E se Touala riuscisse vincitore!...

— Dovrà sceglierne un secondo, un terzo, un quarto ecc. Potrebbe uccidere dieci combattenti, ma finirebbe per venire ucciso a sua volta. Non si può resistere infinitamente.

— E se scegliesse te?... — chiese il signor Falcone.

— Sarei costretto ad accettare la sfida, e ti assicuro che non esiterei a misurarmi coll'assassino di mio padre.

— Touala è forte come un gigante — diss'io. — Sarà un avversario pericoloso.

— Lo so, — mi rispose Ignosi, — ma io sono pronto a tentare la sorte.

— Se ti lascerò fare — disse il genovese, con aria misteriosa.

— Che cosa volete dire?... — chiese Ignosi.

— Lo si saprà più tardi. Ah!... Ecco Touala e la sua anima dannata!...

Il re vinto non stava che a pochi passi da noi. Si era seduto innanzi alla porta della capanna reale, all'ombra d'un nopale dal folto fogliame. Teneva il capo chino sul petto, aveva l'aria tetra e minacciosa, ed ai suoi piedi teneva le armi.

Accanto a lui, rannicchiata come una belva, stava la vecchia Gagoul.

Vedendo il fiero guerriero in quell'atteggiamento, un lampo di pietà mi traversò il cuore.

Tutti lo avevano abbandonato, perfino i suoi parenti, le sue donne, i suoi cortigiani. Le migliaia e migliaia di soldati che lo avevano obbedito e temuto fino a poche ore prima e che per lui s'erano valorosamente battuti, lo avevano pure lasciato solo, abbandonandolo al suo triste destino.

Solamente la vecchia strega, la sua anima dannata, gli era rimasta fedele nella disgrazia, pronta a dividere col padrone la sorte crudele che gli era riserbata.

Allorquando noi fummo presso di lui, la Gagoul si alzò d'un balzo vomitando su di noi un diluvio d'imprecazioni, minacciandoci di terribili pene nell'altra vita, ma nessuno si occupò di lei e la lasciammo urlare a suo comodo.

Il vinto re, vedendo Ignosi fermo a pochi passi, alzò il capo e fissando sul fortunato rivale uno sguardo tetro e feroce, come se avesse voluto col lampo degli occhi annichilirlo, gli disse con profonda amarezza:

— Salute al nuovo re!... Tu che hai mangiato il mio pane e che hai avuto da me ospitalità, hai contraccambiato col tradimento la mia generosità, aiutato dalle perfide arti magiche degli uomini bianchi. Quale sorte mi serbi tu?

— Quello che tu hai fatto subire a mio padre — rispose Ignosi, con accento severo.

— Sta bene, io sono pronto, perché Touala non ha paura della morte, ma sai che a me spetta per diritto di scegliere il mio antagonista e di perire combattendo.

— Io non voglio privarti del tuo diritto.

— Ti avverto che mi difenderò come un leone e che ho una sete feroce di sangue.

— Sia pure: è con me forse che vuoi misurarti?

— No — disse Touala, alzandosi di scatto.

Il suo sguardo feroce percorse le nostre file e per alcuni istanti si fissò su di me.

All'idea di tanto onore che ero ben lontano dall'ambire, mi sentii prendere da un brivido.

Io non ero un poltrone, ma non mi garbava affatto misurarmi con quell'uomo dotato d'una forza erculea e reso feroce dalla sventura che lo aveva colpito; pure se mi avesse scelto non avrei potuto rifiutare senza perdere il prestigio che godeva fra i guerrieri koukouana. Già mi pareva di sentire il freddo ferro dell'ascia sul collo e di sentirmi ruzzolare la testa per terra, quando lo sguardo fosco del re si fissò con ostinazione sul signor Falcone.

— Tu hai ucciso mio figlio — gli disse — il mio unico figlio. Esci dai ranghi e vedremo se tu vincerai così facilmente me, come hai vinto il fanciullo.

— No — disse Ignosi. — Tu non combatterai coll'uomo bianco.

— Uso del mio diritto.

— Egli non appartiene alla nostra nazione.

— Ma ha combattuto contro di me. Se egli ha paura, non parliamone più — disse Touala con intenzione.

Il signor Falcone aveva compreso; il sangue gli montò alla testa a quell'ingiuria fatta al suo valore.

— Se tu credi che io abbia paura di te, selvaggio, — gridò con esasperazione, — t'inganni!

— Signor Falcone, — diss'io, — non arrischiate la vostra vita contro quell'idrofobo. Quell'uomo non ha bisogno di vedere se siete coraggioso, poichè egli sa ed al pari di lui lo sappiamo tutti che un valoroso come voi non sa che cosa sia la paura.

— Io mi batterò — ripete il genovese con voce risoluta. — Nessuno dirà mai che un italiano si è rifiutato di battersi.

— No, amico mio — disse Ignosi. — Se ti toccasse una disgrazia non mi consolerei mai più e ti piangerei troppo. Lascia che si batta con uno dei miei capi o che si misuri con me.

— Su questo punto io non cedo — riprese l'ostinato. — Io non ho paura di Touala e giacché ha detto che io ho paura lo ucciderò.

— Ebbene, fratello bianco — riprese Ignosi. — Tu ti batti per una buona causa e non sarai sfortunato. Touala, ecco il tuo avversario: egli ti aspetta per ucciderti.

L'ex-re si era rialzato di colpo afferrando le sue armi, le quali consistevano in un'ascia e in un largo e pesante coltello capace di troncare con un solo colpo la testa a un uomo.

Il genovese, del pari armato, si era messo in guardia, aspettando a piè fermo l'avversario.

I due combattenti si guardarono per alcuni istanti, tenendo alte le asce: poi Touala fece un passo innanzi, facendo un finto attacco.

Il genovese non si mosse.

— Bada! — grido l'ex-re. — Ti taglierò in due.

Un sorriso sdegnoso sfiorò le labbra del signor Falcone.

— Io credo che sarai tu che soccomberai — disse poi.

Ad un tratto lo vedemmo gettarsi innanzi con uno slancio da tigre e vibrare un colpo tale che avrebbe spaccato perfino una rupe, ma il gigantesco negro, con una mossa fulminea, evitò la botta.

Il genovese, trasportato dal troppo slancio, aveva perduto l'equilibrio per la forza del colpo. Credemmo che fosse perduto e un grido immenso di terrore echeggiò fra le nostre fila, vedendo Touala precipitarsi su di lui per spaccargli il cranio, prima che riprendesse l'appiombo.

L'ascia dell'africano scese rapida, ma il genovese aveva udito le nostre urla e con una mossa istintiva si era gettato da un lato, mentre alzava la propria arma per parare.

Quella manovra gli salvò la testa, però l'ascia dell'avversario, scivolando, lo colpì ad una spalla e vedemmo spruzzare un getto di sangue.

La ferita non doveva essere però grave poiché vedemmo il valoroso nostro compagno rimettersi in guardia, quindi dopo un momento d'attesa attaccare con novello ardore il negro, tempestando colpi disperati a destra ed a manca.

Tutti noi avevamo rotti i ranghi ed avevamo formato attorno ai due combattenti un vasto circolo, per non perdere il menomo particolare di quel duello mortale.

Anche Good si era fatto trasportare al kraal ed aveva preso posto accanto a me. Era pallidissimo temendo per l'amico; anzi si sarebbe detto che non respirava quasi più.

Vedendolo incalzare vigorosamente il gigante, malgrado la ferita sanguinante, si mise a gridargli:

— Avanti, mio bravo amico! Non lasciategli tempo di riprendere fiato! Giù un buon colpo!

Il signor Falcone non aveva bisogno di quegli incoraggiamenti. Continuava ad incalzare il negro costringendolo a rompere e ad indietreggiare, minacciando sempre di vibrargli il colpo mortale.

Touala, dinanzi a tanta furia, cominciava a perdere la sua fiducia e la sua calma. Parava continuamente senza trovare il tempo di rispondere, tanto rapidamente cadevano i colpi.

D'improvviso lo vedemmo barcollare, poi lo udimmo mandare un urlo di rabbia. L'ascia del genovese aveva spezzata di colpo la maglia d'acciaio e lo aveva colpito sopra il petto, producendogli uno squarcio sanguinoso.

Un grido di gioia echeggiò fra i ranghi dei soldati; ma quel grido si convertì subito in un urlo di terrore.

L'ascia del genovese, percossa da un colpo dell'ex-re, era caduta in terra, spezzata in due.

— Gran Dio! — esclamai, impallidendo. — È perduto!...

Chiusi gli occhi per non vedere il mio povero compagno col cranio spaccato.

Quando li riaprii, con mia grande gioia vidi il valoroso italiano aggrappato a Touala.

I due avversari, entrambi robustissimi, caddero ben presto a terra, rotolandosi fra le erbe. Ora era il signor Falcone che teneva sotto Touala, ora era questi che pressava addosso a quello.

Il primo era inerme ed il secondo invece erasi armato del pesante coltellaccio, ma non poteva fame uso nella posizione in cui si trovava.

Mi avvicinai ad Ignosi, dicendogli:

— Io non posso permettere che Touala uccida il signor Falcone — e così dicendo armai il fucile.

— No — mi diss'egli. — Le nostre leggi non permettono alcun intervento in queste lotte.

— Il mio amico è in pericolo.

— Egli è forte e valoroso.

— Non vedi che è inerme?

— No: guarda!...

Guardai i due avversari. Il genovese in quel momento balzava in piedi tenendo in pugno la formidabile arma dell'ex-re. Con un ultimo sforzo era riuscito a strappargliela.

Touala d'un balzo si era pure alzato, raccogliendo da terra l'ascia che poco fa gli era sfuggita.

Il sangue scorreva lungo le armature dei due campioni, entrambi però infiammati dall'ardore della lotta pareva che non sentissero alcun dolore.

L'africano, impaziente di finirla, vibrò un ultimo colpo sul petto del genovese, però la maglia d'acciaio, contro l'aspettazione generale, resistette meravigliosamente. Il nostro amico a sua volta caricò a fondo e vedemmo la larga e pesante lama del suo coltello piombare, colla rapidità del lampo, sul collo del competitore.

Un immenso grido di trionfo s'alzò da tutte le parti.

La testa di Touala, spiccata nettamente dal busto, abbandonò le larghe spalle su cui posava e venne a rotolare ai piedi di Ignosi.

Il corpo rimase ritto per qualche secondo, in atto ancora minaccioso, mentre il sangue sgorgava a torrenti dalle arterie recise, poi il colosso piombò a terra con un sordo rumore, mentre la sua collana d'oro sbalzava da un lato.

Nel medesimo istante il valoroso italiano spossato dalla fatica e dalla perdita del sangue, cadeva svenuto, fra le braccia di Ignosi.

Venti mani amiche lo adagiarono dolcemente al suolo, mentre Infadou gli spruzzava dell'acqua sul volto.

Il valoroso riaprì gli occhi e tese la mano, raccogliendo la collana d'oro caduta dalla testa di Touala, e dicendo a Ignosi:

— Prendi questo segno del supremo potere, re legittimo dei koukouana.

Ignosi la prese, se la mise sulla fronte e posando un piede sul petto del defunto re, gridò:

— Mio padre è vendicato!

Le orde dei guerrieri proruppero in grido immenso:

— Tu sei il nostro re!