Le cose perdute

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Giuseppe Gioachino Belli

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Er codisce novo Li parafurmini (1832)
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832

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LE COSE PERDUTE

     Ebbè?, pperchè tte sei perzo1 l’anello
De tu’ cugnata fai tanto fracasso!
Eh ddi’ er zarmo cqui abbita,2 fratello,
Che sse venne stampato a ssan Tomasso.

     Nun ce sò ccazzi,3 cristo!, è un zarmo cuello
Che ttra li sarmi der Zignore è ll’asso:4
Che ssi mmagaraddio perdi er ciarvello,
Lo troveressi in culo a Ssatanasso.

     In caso poi de furto, Pippo mio,
Stenni una gabboletta risponziva,
O ffa’ ffà5 lla garafa da un giudio:

     Indove, appena scerto6 fume sbafa,7
Comparisce la faccia viva viva
Der ladro propio immezzo a la garafa.


Terni, 11 novembre 1832

Note

  1. Perduto.
  2. “Qui habitat in adiutorio Altissimi...„. Psal. XC.
  3. Non v’ha dubbio o difficoltà.
  4. È il primo; metafora presa dal giuoco della briscola.
  5. Fa’ fare.
  6. Certo (la c striscicata).
  7. Svapora.