Le rime di M. Francesco Petrarca/Canzone XLI

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Sonetto CCXXIX Sonetto CCXXX

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CANZONE XLI.


A
Mor, se vuo’ ch’i’torni al giogo anticho,

Come par che tu mostri, un’altra prova
Meravigliosa et nova,


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     Per domar me, conventi vincer pria:
     5Il mio amato tesoro in terra trova,
     Che m’è nascosto, ond’io son sì mendico,
     E ’l cor saggio pudico,
     Ove suol’albergar la vita mia:
     Et s’egli è ver che tua potentia sia
     10Nel ciel sì grande, come si ragiona,
     E nell’abisso: (perchè qui fra noi
     Quel che tu vali, e puoi,
     Credo che ’l senta ogni gentil persona)
     Ritoglia a Morte quel ch’ella n’à tolto;
     15Et ripon le tue insegne nel bel volto.
Riponi entro ’l bel viso il vivo lume
     Ch’era mia scorta; e la soave fiamma
     Ch’anchor, lasso, m’infiamma
     Essendo spenta; or che fea dunque ardendo?
     20E’ non si vide mai cervo, nè damma
     Con tal desio cercar fonte, nè fiume;
     Qual’io il dolce costume
     Ond’ho già molto amaro; et più n’attendo;
     Se ben me stesso, e mia vaghezza intendo:
     25Che mi fa vaneggiar sol del pensero,
     E gir in parte ove la strada manca;
     E con la mente stanca
     Cosa seguir che mai giugner non spero.
     Or’al tuo richiamar venir non degno:
     30Che signoria non hai fuor del tuo regno.
Fammi sentir de quell’aura gentile
     Di fuor, siccome dentro ancor si sente;
     La qual’era possente
     Cantando d’acquetar gli sdegni e l’ire;
     35Di serenar la tempestosa mente,
     E sgombra d’ogni nebbia oscura, e vile,
     Ed alzava ’l mio stile
     Sovra di sè, dov’or non poria gire.
     Agguaglia la speranza col desire;

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     40E poi che l’alma è in sua ragion più forte;
     Rendi agli occhi, a gli orecchi il proprio obbietto;
     Senza ’l qual’, imperfetto
     È lor’oprar’, e ’l mio viver’è morte.
     Indarno or sopra me tua forza adopre;
     45Mentre ’l mio primo amor terra ricopre.
Fa ch’io riveggia il bel guardo ch’un Sole
     Fu sopra ’l ghiaccio, ond’io solea gir carco.
     Fa’ ch’io ti trovi al varco;
     Onde senza tornar passò ’l mio core.
     50Prendi i dorati strali, e prendi l’arco;
     E facciamisi udir, sì come sole,
     Col suon de le parole
     Nelle quali io ’mparai, che cosa è amore.
     Movi la lingua ov’erano a tutt’ore
     55Disposti gli ami ov’io fui preso, e l’esca
     Ch’i’ bramo sempre: e i tuoi lacci nascondi
     Fra i capei crespi, e biondi:
     Che ’l mio voler altrove non s’invesca.
     Spargi con le tue man le chiome al vento:
     60Ivi mi lega; e puomi far contento.
Dal laccio d’or non fia mai chi mi scioglia
     Negletto ad arte, e ’nnanellato ed irto;
     Nè dell’ardente spirto
     Della sua vista dolcemente acerba;
     65La qual dì, e notte, più che lauro, o mirto,
     Tenea in me verde l’amorosa voglia;
     Quando si veste, e spoglia
     Di fronde il bosco, e la campagna d’erba.
     Ma poi che Morte è stata sì superba,
     70Che spezzò ’l nodo ond’io temea scampare;
     Nè trovar puoi, quantunque gira il mondo,
     Di che ordischi ’l secondo,
     Che giova, Amor, tuo’ ingegni ritentare?
     Passata è la stagion: perduto hai l’arme
     75Di ch’io tremava omai che puoi tu farme?

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L’arme tue furon gli occhi, onde l’accese
     Saette uscivan d’invisibil foco,
     E ragion temean poco;
     Che contra ’l ciel non val difesa umana;
     80Il pensar’, e ’l tacer’; il riso, e ’l gioco;
     L’abito onesto, e ’l ragionar cortese;
     Le parole che ’ntese
     Avrian fatto gentil d’alma villana;
     L’angelica sembianza, umile, e piana,
     85Ch’or quinci, or quindi udia tanto lodarsi;
     E ’l sedere, e lo star, che spesso altrui
     Poser’in dubbio, a cui
     Devesse il pregio di più laude darsi.
     Con quest’arme vincevi ogni cor duro:
     90Or se tu disarmato; i’ son securo.
Gli animi ch’al tuo regno il cielo inchina,
     Leghi ora in uno, ed or’in altro modo;
     Ma me sol’ad un nodo
     Legar potei; chè ’l ciel di più non volse.
     95Quell’uno è rotto; e ’n libertà non godo:
     Ma piango, e grido: Ahi nobil pellegrina,
     Qual sentenza divina
     Me legò inanzi, e te prima disciolse?
     Dio, che sì tosto al mondo ti ritolse,
     100Nè mostrò tanta, e sì alta virtute
     Solo per infiammar nostro desio.
     Certo omai non tem’io,
     Amor, della tua man nove ferute.
     Indarno tendi l’arco: a voto scocchi:
     105Sua virtù cadde al chiuder de’ begli occhi.
Morte m’ha sciolto, Amor, d’ogni tua legge;
     Quella che fu mia Donna, al Cielo è gita.
     Lasciando trista, e libera mia vita.