Le rime di M. Francesco Petrarca/Canzone XXXIX

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Sonetto CCXXV Sonetto CCXXVI

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CANZONE XXXIX.


I’
Vo pensando, e nel pensier m’assale

     Una pietà sì forte di me stesso,
     Che mi conduce spesso
     Ad altro lagrimar ch’i’ non soleva:
     5Che vedendo ogni giorno il fin più presso,
     Mille fïate ho chieste a Dio quell’ale
     Con le quai del mortale
     Carcer nostr'intelletto al Ciel si leva:
     Ma infin'a qui niente mi rileva
     10Prego, o sospiro, o lagrimar ch’io faccia:
     E così per ragion convien che sia:
     Che chi possendo star, cadde tra via,
     Degno, che mal suo grado a terra giaccia.
     Quelle pietose braccia

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     15In ch’io mi fido, veggio aperte ancora;
     Ma temenza m’accora
     Per gli altrui esempj; e del mio stato tremo;
     Ch’altri mi sprona, e son forse a l’estremo.
L’un penser parla con la mente, e dice:
     20Che pur'agogni? onde soccorso attendi?
     Misera, non intendi,
     Con quanto tuo disnore il tempo passa?
     Prendi partito accortamente, prendi;
     E del cor tuo divelli ogni radice
     25Del piacer che felice
     Nol pò mai fare, e respirar nol lassa.
     Se già è gran tempo fastidita, e lassa
     Se di quel falso dolce fugitivo
     Che ’l mondo traditor può dare altrui;
     30A che ripon’più la speranza in lui,
     Che d’ogni pace, e di fermezza è privo?
     Mentre che ’l corpo è vivo
     Hai tu ’l freno in balia de’ pensier tuoi.
     Deh stringilo or che puoi;
     35Che dubbioso è ’l tardar, come tu sai:
     E ’l cominciar non fia per tempo omai.
Già sai tu ben, quanta dolcezza porse
     Agli occhi tuoi la vista di colei
     La qual'anco vorrei
     40Ch’a nascer fosse per più nostra pace.
     Ben ti ricordi (e ricordar te ’n dei)
     Dell’imagine sua; quand’ella corse
     Al cor, là dove forse
     Non potea fiammma intrar per altrui face.
     45Ella l’accese; e se l’ardor fallace
     Durò molt’anni in aspettando un giorno
     Che per nostra salute unqua non vene,
     Or ti solleva a più beata spene,
     Mirando ’l ciel, che ti si volve intorno,
     50Immortal', ed addorno:

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     Che dove del mal suo quaggiù sì lieta
     Vostra vaghezza acqueta
     Un mover d’occhio, un ragionar', un canto,
     Quanto fia quel piacer, se questo è tanto?
55Dall’altra parte un pensier dolce e agro,
     Con faticosa, e dilettevol salma
     Sedendosi entro l’alma
     Preme ’l cor di desio, di speme il pasce;
     Che sol per fama glorïosa, ed alma
     60Non sente quand’io agghiaccio, o quand’io flagro
     S’i’ son pallido, o magro;
     E s’io l’occido, più forte rinasce.
     Questo d’allor ch’i’ m’addormiva in fasce,
     Venuto è di dì in dì crescendo meco,
     65E temo ch’un sepolcro ambeduo chiuda.
     Poi che fia l’alma de le membra ignuda
     Non può questo desio più venir seco.
     Ma se ’l Latino, e ’l Greco
     Parlan di me dopo la morte, è un vento:
     70Ond’io, perchè pavento
     Adunar sempre quel ch’un’ora sgombre,
     Vorre’ il ver abbracciar, lassando l’ombre.
Ma quell’altro voler di ch’i’son pieno,
     Quanti press’a lui nascon par ch’adugge;
     75E parte il tempo fugge,
     Che scrivendo d’altrui, di me non calme:
     E ’l lume de’ begli occhi che mi strugge
     Soavemente al suo caldo sereno,
     Mi ritien con un freno
     80Contra cui nullo ingegno, o forza valme.
     Che giova dunque perchè tutta spalme
     La mia barchetta, poi che ’nfra li scogli
     È ritenuta ancor da ta’ duo nodi?
     Tu, che dagli altri, che ’n diversi modi
     85Legano ’l mondo, in tutto mi disciogli,
     Signor mio, che non togli

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     Omai dal volto mio questa vergogna?
     Ch’a guisa d’uom che sogna,
     Aver la Morte innanzi gli occhi parme,
     90E vorrei far difesa, e non ho l’arme.
Quel ch’i’ fo veggio, e non m’inganna il vero
     Mal conosciuto; anzi mi sforza Amore,
     Che la strada d’onore
     95Mai nol lassa seguir, chi troppo il crede;
     E sento ad or ad or venirmi al core
     Un leggiadro disegno aspro, e severo;
     Ch’ogni occulto pensero
     Tira in mezzo la fronte, ov’altri ’l vede:
     100Che mortal cosa amar con tanta fede,
     Quanta a Dio sol per debito convensi,
     Più si disdice a chi più pregio brama.
     E questo ad alta voce anco richiama
     La ragione sviata dietro ai sensi;
     105Ma perchè l’oda, e pensi
     Tornare; il mal costume oltre la spigne:
     E agli occhi depigne
     Quella che sol per farmi morir nacque,
     Perch’a me troppo, e a sè stessa, piacque.
110Nè so, che spatio mi si desse il Cielo
     Quando novellamente io venni in terra
     A soffrir l’aspra guerra
     Che ’ncontra me medesmo seppi ordire:
     Nè posso il giorno che la vita serra,
     115Antiveder per lo corporeo velo;
     Ma variarsi il pelo
     Veggio, e dentro cangiarsi ogni desire.
     Or ch’i’ mi credo al tempo del partire
     Esser vicino, o non molto da lunge;
     120Come chi’l perder face accorto, e saggio;
     Vo ripensando ov’io lassa’ il viaggio
     De la man destra, ch’a buon porto aggiunge:
     E dall’un lato punge

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     Vergogna, e duol, che ’ndietro mi rivolve;
     125Dall’altro non m’assolve
     Un piacer per usanza in me sì forte,
     Ch’a patteggiar n’ardisce con la Morte.
Canzon, qui sono; ed ho ’l cor via più freddo,
     Della paura, che gelata neve,
     130Sentendomi perir senz’alcun dubbio:
     Che pur deliberando, ho volto al subbio
     Gran parte omai de la mia tela breve;
     Nè mai peso fu greve,
     Quanto quel ch’i’ sostengo in tale stato;
     135Chè con la Morte a lato
     Cerco del viver mio novo consiglio;
     E veggio ’l meglio, e al peggior m’appiglio.