Le rime di M. Francesco Petrarca/Sonetto LXXXII

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Sonetto LXXXI Sonetto LXXXIII

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SONETTO LXXXII.


V
Inse Annibàl, e non seppe usar poi

     Ben la vittoriosa sua ventura:
     Però, signor mio caro, aggiate cura,
     4Che similmente non avvegna a voi.
L’orsa, rabbiosa per gli orsacchi suoi,
     Che trovaron di Maggio aspra pastura,
     Rode sè dentro, e i denti, e l’unghie endura,
     8Per vendicar suoi danni sopra noi.
Mentre ’l novo dolor dunque l’accora,
     Non riponete l’onorata spada,
     11Anzi seguite là dove vi chiama
Vostra fortuna dritto per la strada
     Che vi può dar dopo la morte ancora
     14Mille e mill'anni al mondo onore, e fama.