Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Marco Calavrese

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Marco Calavrese

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VITA DI MARCO CALAVRESE PITTORE

Quando il mondo ha un lume in una scienza che sia grande, universalmente ne risplende ogni parte, e dove maggior fiamma e dove minore; e secondo i siti e l’arie sono i miracoli ancora maggiori e minori; e nel vero di continuo certi ingegni in certe provincie sono a certe cose atti, ch’altri non possono essere. Né per fatiche, che eglino durino, arrivano però mai al segno di grandissima eccellenza. Ma se quando noi veggiamo in qualche provincia nascere un frutto che usato non sia a nascerci, ce ne maravigliamo, tanto più d’uno ingegno buono possiamo rallegrarci, quando lo troviamo in un paese dove non nascano uomini di simile professione. Come fu Marco Calavrese pittore, il quale uscito della sua patria, elesse come ameno e pieno di dolcezza per sua abitazione Napoli, se bene indrizzato aveva il camino per venirsene a Roma et in quella ultimare il fine che si cava dallo studio della pittura. Ma sì gli fu dolce il canto della Serena, dilettandosi egli massimamente di sonare di liuto, e sì le molli onde del Sebeto lo liquefecero, che restò prigione col corpo di quel sito fin che rese lo spirito al cielo, et alla terra il mortale. Fece Marco infiniti lavori, in olio et in fresco, et in quella patria mostrò valere più di alcuno altro che tale arte in suo tempo esercitasse. Come ne fece fede quello che lavorò in Aversa, dieci miglia lontano da Napoli, e particularmente nella chiesa di Santo Agostino allo altar maggiore una tavola a olio, con grandissimo ornamento; e diversi quadri con istorie e figure lavorate, nelle quali figurò Santo Agostino disputare con gli eretici e di sopra e dalle bande storie di Cristo e santi in varie attitudini. Nella quale opera si vede una maniera molto continuata e che tira al buono delle cose della maniera moderna, et un bellissimo e pratico colorito in essa si comprende. Questa fu una delle sue tante fatiche che in quella città e per diversi luoghi del regno fece. Visse di continuo allegramente, e bellissimo tempo si diede. Però che non avendo emulazione, né contrasto degl’artefici nella pittura, fu da que’ signori sempre adorato, e delle cose sue si fece con bonissimi pagamenti sodisfare. Così, pervenuto a gli anni 56 di sua età, d’uno ordinario male finì la sua vita. Lasciò suo creato Giovanni Filippo Crescione pittor napolitano, il quale in compagnia di Lionardo Castellani suo cognato, fece molte pitture e tuttavia fanno: dei quali per esser vivi et in continuo essercizio, non accade far menzione alcuna. Furono le pitture di maestro Marco da lui lavorate dal 1508 fino al 1542. Fu compagno di Marco un altro calavrese, del quale non so il nome, il quale in Roma lavorò con Giovanni, da Udine lungo tempo e fece da per sé molte opere in Roma, e particolarmente facciate di chiaro scuro. Fece anche nella chiesa della Trinità la capella della Concezzione a fresco, con molta pratica e diligenza. Fu ne’ medesimi tempi Nicola, detto comunemente da ognuno maestro Cola dalla Matrice, il quale fece in Ascoli, in Calavria et a Norcia molte opere che sono notissime, che gl’acquistarono fama di maestro raro e del migliore che fusse mai stato in que’ paesi. E perché attese anco all’architettura, tutti gl’edificii che ne’ suoi tempi si fecero ad Ascoli et in tutta quella provincia, furono [p. 229 modifica]architettati da lui; il quale senza curarsi di veder Roma o mutar paese, si stette sempre in Ascoli vivendo un tempo allegramente con una sua moglie di buona et onorata famiglia e dotata di singolar virtù d’animo, come si vide quanto, al tempo di papa Paulo Terzo, si levarono in Ascoli le parti; perciò che fuggendo costei col marito, il quale era seguitato da molti soldati, più per cagione di lei, che bellissima giovane era, che per altro, ella si risolvé, non vedendo di potere in altro modo salvare a sé l’onore et al marito la vita, a precipitarsi da un’altissima balza in un fondo; il che fatto, pensarono tutti che ella si fusse, come fu invero, tutta stritolata non che percossa a morte; per che lasciato il marito senza fargli alcuna ingiuria, se ne tornarono in Ascoli. Morta dunque questa singolar donna, degna d’eterna lode, visse maestro Cola il rimanente della sua vita poco lieto. Non molto dopo, essendo il signor Alessandro Vitelli fatto signore della Matrice, condusse maestro Cola già vecchio a Città di Castello dove, in un suo palazzo, gli fece dipignere molte cose a fresco e molti altri lavori, le quali opere finite, tornò maestro Cola a finire la sua vita alla Matrice. Costui non arebbe fatto se non ragionevolmente, se egli avesse la sua arte esercitato in luoghi dove la concorrenza e l’emulazione l’avesse fatto attendere con più studio alla pittura, et esercitare il bello ingegno di cui si vide che era stato dalla natura dotato.