Leggenda eterna/Risveglio/A mio padre

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A mio padre

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Risveglio - Varo Risveglio - "O Morti!..."
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A MIO PADRE.


 
Vivo nella memoria, o amato, sempre
mi stai. Cercare ti rivedo, inchino
sul cembalo, dei dolci anni tuoi primi
le semplici canzoni, udite all’ombra
delle palme, e nei bei vesperi d’oro;
or le feste, le preci, il luminoso
sogno non mai dimenticato, io t’odo
dell’infanzia narrar, fiorita al sole
dell’Asia, là, tra i bianchi intercolonnï
della superba tua dimora, al vento
del tuo selvaggio mar, dentro le intatte
selve, o t’ascolto con solenni accenti

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parlar di Dio... Quanto t’ho amato, e quanto
t’amo, e quanto t’invoco!
                                  Ora è deserto
il porticato della villa, un tempo
tuo passeggio gradito, allor che il lume
del dì morendo s’acchetava ogni opra
ed intonava una campana l’Ave;
tu allor scoprivi la tua testa bianca,
quella tua testa bianca di profeta,
e ti si udiva mormorar sommesso
il saluto a Maria. Fermo, raccolto
poi rimanevi per lunga ora, innanzi
alla campagna addormentata, al vasto
sipario d’ombre che stendea la sera,
e guardavi lassù, lassù, perduto
in quell’immensa pace, in quell’immensa
innocenza del cielo...
                           Ancora io credo
d’esserti presso, e come un tempo ancora
veramente vederlo, aperto e fisso
quel tuo grande, ispirato occhio, a le stelle!
o babbo mio!

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                                   Poi con un gran sospiro
ti scotevi d’un tratto e ritornavi
accanto a noi tutto ridente in volto
e tutto care celie, al modo istesso
d’un, che il perdono guadagnar s’adopri
di qualche errore. Oh come allora, e sempre
di più t’amavo, e come il tuo gran core
intendevo, o mio santo! Eri fuggito
ben lontano da noi, da me, da tutte
le umane cose; il gran mistero, il forte
desiderio di Dio t’avean rapito
lassù lassù; scordato avevi il nostro
piccolo mondo, il nostro gran legame
umano. — Istanti! — e pur te ne sentivi
rimorder quasi, e a noi tornavi, acceso
di nova tenerezza e pronto a offrirci
un compenso d’affetto e di carezze
anche per quella breve ora d’obblio.
Così scrollando dal pensier l’assidua
brama del Cielo, eri divino, il bene
de’ tuoi, costante, anteponendo al grande
tuo segreto sospiro, al sogno eterno

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dello spirito tuo...
                             Come infelice
eri, se alcuno de’ tuoi cari, assorto,
crucciato, o solo, ti paresse, e come
ne richiedevi la cagion con dolce
premura! Sempre le parole avevi
pronte al conforto, e che ogni cosa muta,
tu ripetevi, e che i nebbiosi giorni
non duran sempre e dell’angoscia l’ore
dan luogo alle gioconde; e con allegri
motti, e bamboleggiando, ancora il riso
t’adopravi a chiamar sul renitente
labbro di chi soffria. Com’eri esperto
a indovinar sovra quel volto il primo
diradarsi dell’ombre, e come allora,
solo allora, anche il tuo brillava in festa!
Se ti venìa di qualche atroce caso
narrato, e fosse pur lunge ed ignoto
a te, l’oppresso dalla sorte, e buono
o tristo fosse, acutamente, come
d’un tuo dolore, d’un’angoscia tua
n’eri commosso; e concitato, e tutto

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acceso in volto ripetendo andavi:
meglio, o meglio Signor non esser nato,
e tanti strazi, e tanti obbrobri, e tante
viltà, Signore, ignorerei! — Pentito
poi di quelle parole e con dimessa
fronte, aggiungevi: — sia compiuto il vostro
voler, Signore!
                      Io ti rivedo, io sento
veracemente il concitato suono
della tua voce, e dentro il cor tremante
ancor la procellosa eco ne ascolto.
Certo non fuvvi alcun che a te venuto
domandando soccorso, insodisfatto
partisse! E con che industre animo, il modo
trovar sapevi di celar la santa
opera tua! Ben chiaro era il comando
divino pel tuo cor: — La destra ignori
quel che dà l’altra! — e sollevato e pago
come d’un ceppo alle tue membra sciolto,
vedevi il poverel girne contento.
Quando nel tempio tu pregavi, tutta
l’anima tua mandava lampi e vive

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scintille dai tuoi grandi occhi, bramosa
di metter l’ale, e rattenevi a stento
la voce, quasi bisognando il labbro
pregante, di cantar alto le lodi
che dal cor t’erompevano. Rammento
che dalla chiesa uscendo all’aria, al sole,
se talun la parola a te volgea,
eri com’un che si risvegli in novo
paese, e ancora non ben desto, invano
fatichi a indovinar l’occulto senso
di straniero linguaggio. Ora tu posi!
Di pompe schivo, lunge dall’urbano
fasto, in campestre cimitero, o buono,
dormir volesti. Non opaca volta
d’augusto mausoleo sul sasso incombe
del tuo riposo nè gli vieta il dolce
sguardo del cielo che lo veglia. Intorno
ha vivi fiori; nell’aprile il vento
su vi passa fragrante e pia vi cala
la luna tra notturne ombre, a baciarlo;
e gli astri, i sospirati astri, dei lunghi
tuoi sguardi e delle lunghe estasi tue

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memori, gli stan sopra e mandan lampi
e messaggi divini incontro all’alta
anima tua, che mai conscia e beata
così non fu, sè palpitar sentendo,
atomo vivo d’universo, in Dio.