Lepida et tristia/Il linguaggio delle pietre e dei pesci

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Il linguaggio delle pietre e dei pesci

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Il linguaggio delle pietre e dei pesci
Sotto la Madonnina del Duomo Antidotum impietatis

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IL LINGUAGGIO DELLE PIETRE E DEI PESCI



Dopo parecchi anni sono tornato a R*** e sono passato davanti alla casa dei nonni. Come mai mi venne in mente di rivedere quella casa dopo tanto tempo?

Ecco: è stato veramente così: poco prima ero passato per la Pescheria. La settimana che precedette la Pasqua era stata tutta un sereno: i barchetti avevano fatto una gran pesca, ed ora tutto quel pesce saltellava ancor vivo sui lastroni di marmo della detta pescheria fra i venditori che urlavano, le bilancie che sbatacchiavano, la folla festiva che urlava e passava, e che folla! Era la vigilia, e il pesce a così buon mercato! Quella scena allegra io l’aveva in verità veduta altre volte: anzi era quel pesce, erano quei volti, erano quelle arguzie plebee stesse che rivivevano dopo venti anni: il mare azzurro nella dolcezza pasquale, non era quello? e i barchetti che passeggiano per l’indaco del mare, colle vele rosse che [p. 110 modifica]brano monaci incapucciati, non erano gli stessi? e il pesce non era quello? e i marmi della pescheria? Chi distingue il mare, i pesci, i marmi anche dopo venti anni, anche dopo i secoli? Così è degli uomini: gli stessi! eternamente gli stessi!

Però nessuno mi riconosceva, e come a straniero i venditori mi offrivano la merce, e in così grottesco dialetto fatto italiano in omaggio al sembrare io straniero che ne ridevano anche i pesci.

E una donna mi gridò:

— Padroncino, signor conte, vuole uno storione? Cinque franchi: non ce l’ha neppure il figlio del Re uno storione così, oggi a tavola.

E allora mi ricordai la nonna dimenticata e Iddio solo lo sa il perchè mi sentii desiderio di lagrime: mi diceva la nonna quando io da piccino faceva lo schizzinoso per la minestra: «Cosa pretendete, bel cittino, uno storione arrosto?» e da allora mi rimase un gran rispetto per lo storione come di cosa rara e preziosa. Anche «l’erba voglio» mi venne in mente insieme allo storione. Diceva ancora la nonna: «Che cos’è questo «voglio?» Ma non sapete voi che l’«erba voglio» cresce solo nel giardino del papa?»

Ora l’«erba voglio» non la posso nè anche adesso cogliere e per me non germoglia in alcun prato e prevedo che non germoglierà mai; ma lo storione lo avrei potuto comperare per cinque lire. Cinque lire le avevo in tasca; però la nonna non c’era più: e allora mi venne il desiderio di rivedere la casa dei nonni. Ecco, dunque, come è stato. [p. 111 modifica]

Lasciai quella folla festiva e mi addentrai per una via dove l’ortica cresce. Ecco la casa dei nonni! Essa venne incontro alla mia vista perchè essa è rimasta lì davanti all’antico tempio — un tempio del quattrocento fatto di idee e di marmi, — era rimasta lì e non si era mossa. Mi venne dunque incontro.

Però che impressione di piccolezza! strana, fantastica impressione quasi! Anche il cancello di ferro su cui era la mia felicità pencolarmi, era lì uguale, ma come piccolo!

E dire che quando ero piccolo io, quella modesta casa mi pareva grande, tanto grande: come un tempio! Il celliere con le coppielle dell’uva e le mele allineate sulle assicelle mi pareva la provvista per tutta la vita! il giardinetto mi pareva un parco dove ci si stava cosi bene che il restante del mondo diventava superfluo! La casa mi pareva forte come un castello che mi avrebbe albergato e difeso per tutta la vita e contro ogni nemico! Come tutto ora era piccino, abbandonato! Però, chiudendo gli occhi, le rivedevo le stanze lassù, grandi grandi, lucide lucide, con pochi e bei mobili antichi presso le pareti. Guai un filo per terra! La nonna ce lo faceva cogliere! Anche il nonno ricordo! Mi ricordo che, poveretto! dopo avere consumato il suo patrimonio (vecchio egli era e mezzo colpito) aveva la debolezza di occultamente dimezzare le bottiglie del vino e riempirle d’acqua: forse si illudeva di vedere rintegrata la sostanza troppo liberalmente spesa come riempiva le bottiglie. Però egli conservava ancora la energia di protestare, e ne sento ancora la voce: «Io sono cristiano, cattolico, apostolico romano!» Io, bambino, non capivo quelle parole che anzi per me avevano un senso cabalistico...; però non le dimenticherò più. [p. 112 modifica]

La domenica era di rigore andare alla Messa, tutti, grandi e piccoli: nel tempio c’era il banco col nome della famiglia. Dopo messa, se era buon tempo, si facevano due passi: mi ricordo la nonna, magra, rigida, solenne, col gran scialle vivace di finissima indiana sulle spalle e il boa a gran giri. Per noi bambini quella passeggiata era un martirio. Guai non andare composti! La compostezza! e la nonna ce lo faceva capire con certe occhiate di sbieco che in casa si mutavano talvolta in solenni rabbuffi. «I figli dei signori — diceva — devono dare l’esempio della compostezza e del decoro in tutto!» Anche questo era un suo assioma. Dopo la passeggiata veniva il pranzo, a cui non mancava una certa solennità. Qui la nonna era molto larga e accondiscendente: dopo la minestra capiva che noi non potevamo più star buoni a tavola e che quel terribile «composti» doveva soggiacere a leggi inesorabili di vivacità infantile. Allora ci faceva distribuire i dolci e la frutta e ci licenziava. Bisognava però prima dire prosit e fare il segno della croce. Solo molti anni più tardi capii il senso etimologico di quella parola prosit, che vuol dire: «ti giovi!» Oh, buon augurio latino, esso non ha giovato a te, nonna, come non ha giovato a noi, come non ha giovato alla casa! E così non ha giovato la pietà, o nonna, e la compostezza che tu ci insegnasti! Non ha giovato e non gioverà.

Era anche per questo pensiero che io lagrimavo di sincere lagrime contemplando la casa degli avi.

La gente rara che passava, mi fissava come uno straniero che contempli le eroiche mine melanconiche del tempio vicino. Ed io era nato lì, in quella casa!

Mentre io contemplavo, entrò pel portone una fila di bimbi in abito festivo, con aranci, frasche di alloro e ciambelle in mano: dietro venivano i parenti. Certo erano i nuovi padroni della casa. Vita che rigermogliava! Passarono per il cancello dove io mi pencolava da fan[p. 113 modifica]ciullo e che si aprì anche per lasciar passare molte bare, le quali hanno sostato per breve momento nel tempio vicino e per sempre furono poi sepolte nel cimitero presso il mare.

In verità, in verità, benchè gli uomini si rassomiglino attraverso i secoli come i marmi e come i pesci, tuttavia l’anima deve pur vivere in qualche luogo, in qualche tempo; vero, nonna? Se no, meglio essere nati pesci del mare o pietre del monte!