Lettere (Campanella)/CV. Al cardinale nipote Antonio Barberini

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CV. Al cardinale nipote Antonio Barberini

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CV. Al cardinale nipote Antonio Barberini
CIV. Al medesimo CVI. A monsignor Niccolò Claudio Fabri di Peiresc
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CV

Al cardinale nipote Antonio Barberini

Dopo d' aver dette le ragioni che lo indussero a comporre e stampare il Centone, trova il modo di parlare de’ suoi nemici e di domandare e il favore della casa Barberini e sopra a tutto il sussidio stabilitogli dal papa.

          Eminentissimo e reverendissimo signore
               e padrone colendissimo,

Avviso a Vostra Eminenza, come protettore di Francia e della religione di san Domenico, che l’Alvarez spagnolo, mastro del padre generale e del padre Mostro, scrisse de mente divi Thomae, che Dio con eterno decreto, immutabile da lui e da noi, ha predestinato altri alla vita, altri reprobato alla morte, senza rispetto e previsione de’ nostri meriti e demeriti; ed ogni opera nostra è effetto della predestinazione e reprobazione, al qual Dio ci spinge senza poter noi resistere in sensu composito, e sempre è composito e mai non diviso. Talché fa’ bene o male, perché non puoi mutar sorte né il grado della sorte.

Io vedendo — secondo tutti filosofi, dico tutti, e secondo tutti legislatori — che questo decreto toglie la libertá, come pur dicono i padri gesuiti; e che tutti dottori antichi e san Tomaso nega questo decreto immutabile, e Dio sempre dice che se noi mutaremo vita, lui muterá sentenza, e non che se lui fará irrefragajbilmente che noi la mutassemo; e ch’il Capreolo francese, principe di tomisti, dice con san Tomaso che Dio non fa decreto immutabile sopra le cause libere se non dopo la prevision del final amor nostro o final impenitenza, presenti ai suoi per la coesistenza di tutte cause ed effetti, nell’eternitá, e che Dio non può saperle nel decreto perché si tôrrebbe la libertá, né nelle cause libere e contingenti prima che sian [p. 358 modifica]determinate, anzi né anche dopo la determinazione, come li gesuiti vònno, perché può mutarsi la determinazione secondo san Tomaso e ’l sacro concilio tridentino, e se non contra Lutero e Mahomet, assertori di tal decreto, ho fatto un centone ex verbis divi Thomae.

Dove mostro che Dio predestina tutti, come padre, facendoci tutti buoni a sua imagine, ma non tutti, come giudice, se non quelli che non cadeno col mal oprar finale dalla paterna gratia praedestinate et satagunt per buona opera certam facere electionem; e che non nascimur iudicati, com’essi vònno, ma iudicandi, come dice san Matteo — e cosí consolai l’anime di tutti, e levai i principi dalla tirannia ed i popoli dalla sedizione, sapendo ch’opera illorum sequuntur illos, facta Depo movente omnes non compellente; — o le opere di Cristo applicate per li sacramenti; e chi non l’ha per mancamento non suo, come i fanciulli non batizati, perdeno solo la beatitudine sopranaturale, non la naturale in Dio, come prova san Tomaso. E trovai nei suoi archivi questo tesoro onde si risponde con facilitá ad ogni argomento d’eretici che con la dottrina loro erano insolubili; e però il papa comandò non si predichi in publico, tanto è contro alla natura ed a Cristo che dice «infectis in tectis» quando è sua.

Anzi son usciti molti libri in Francia che provano che li dominicani son per Calvino; ed uno con cui disputai in casa delli signori Puteani stampò un’epistola dedicata al Cardinal Duca, che vol provare che li calvinisti e li tomisti non hanno discordia di dogmi, ed io feci veder il contrario: e per questo ho stampato quel libretto. Per tanto supplico a Vostra Eminenza, come protettor di Francia e di tomisti, che non mi lasci far torto in Roma dagli alvarezisti, ma mi si mandino le lor Censure per difendermi; e s’io non mostrerò con san Tomaso che le mie proposizioni son catolice e che le contrarie son eretiche, mi do per vinto e per bestia. Avverta Vostra Eminenza che non solo nelle cause di ribellioni e di tossico mi perseguitâro senza colpa con falsitá evidenti, ma ancora nelle censure che fecero contra i libri miei l’anno 1626 due [p. 359 modifica]volte, come lo scrivo a Sua Beatitudine, che lo sa, ricordandocelo; e cosí fecero nel libro astrologico, dove i censori poi determinâro per me, come sa Sua Beatitudine, e ’l padre maestro Marino; e peggio fanno adesso che son in Francia.

Vostra Eminenza non mi lasci far torto, ché la causa è di san Tomaso, non mia, e di tutta la santa chiesa che ritrova nell’archiviis di san Tomaso la difesa sicura di suoi dogmi d’onde gli eretici si vantano aver la vittoria. E certo disse il conte di Brassac a Nostro Signore che piú ugonotti ha fatto l’Alvarez che Calvino; ed or io lo provo con lui facendo frutto nella conversione. Del che scrivo al signor Cardinal Barberino per via d’un eretico convertito che vien in Roma. Di piú li dico di parte di un personaggio che se la pace si fa con le condizioni che vònno li nemici di Francia, o Francia cadesse, il sacco di Roma e quel di Mantua non averian piú soccorso. Aspetto la grazia di Vostra Eminenza per la defenza del vostro servo sempre leale piú ch’ogni altro, come vedrá a tempo suo. Tutto il dí combatto per la chiesa. Non mi levate la lemosina che Sua Beatitudine mi donò, perché la levate a Dio crocifisso etiam pro nobis e paziente, che v’ha dato tanto gratis ut detis non ingratis.

Io lo prego sempre per la casa Barberina della qual predico dovunque mi trovo.

Parigi, 22 settembre 1636.

Di V. E.
servo umilissimo e lealissimo
Tomaso Campanella.