Lettere al padre/1633/120

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Lettera 120

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1633 - 119 1633 - 121

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San Matteo, 23 novembre 1633

Amatissimo Signor Padre.

Sabato sera mi fu resa l’ultima di V. S. insieme con una della signora Ambasciatrice di Roma, piena di affettuosi ringraziamenti del cristallo, e di condoglianza mediante la privazione che per ancora V. S. ha di potersene venire a casa sua. E veramente ch’Ella dimostra d’esser quella gentilissima signora che V. S. più volte mi ha dipinta. Non mando la lettera perché sto in forse se devo riscrivergli, ma prima aspetterò di sentir che risposta abbia V. S. di Roma.

Non lascio di far diligenza per trovar le pere che V. S. desidera, e credo che farò qualcosa. Ma perché intendo che quest’anno le frutte non durano, non so se sarà meglio che, quando io le abbia, le mandi e non aspetti il suo ritorno, che potrebbe indugiar qualche settimana a seguire, o almeno il desiderio me ne fa temere.

Il signor Geri ci ha fatto parte di tutte le frutte dell’orto, delle quali ve ne sono state poche e poco buone, per quanto ho inteso da Geppo che andava a corle; e particolarmente delle melagrane la maggior parte è stata la nostra; ma, come li dico, stentate e poche.

Domenica prossima cominciamo l’Avvento, onde se V. S. ci manderà i biricuocoli ci saranno grati per far colazione la sera, ma basteranno di quelli più dozzinali, come quelli che mandò alle vicine, le quali dice la Piera che insieme con lei ringraziano V. S. e se li raccomandano; ed il simile facciamo noi tutte pregando Nostro Signore che la feliciti.

sua figliuola Affezionatissima

S. M. Celeste.

V. S. volti carta.

Mercoledì sera vicino alle 24 ore, dopo che avevo scritto la prossima faccia, comparve qui Giovanni e mi recò le lettere di V. S. Al signor Geri non fu possibile di mandarle prima che la mattina seguente, come feci di buon’ora. Ebbi ancora il paniere entro 12 tordi: gli altri 4, che avrebbero compito il numero che V. S. mi scrive, bisogna che qualche graziosa gattina se gli sia tolti per assaggiarli avanti a noi, perché non v’erano, e il panno che li copriva aveva una gran buca. Manco male che le starne e le accieggie erano nel fondo, delle quali una e due tordi donai all’ammalata che ne fece grande allegrezza, e ringrazia V. S. Un’altra, e medesimamente due tordi, ho mandati al signor Rondinelli, e il restante ci siamo godute insieme con le amiche.

E ho avuto gran gusto di scompartire il tutto fra molte persone, perché cose buscate con tanta diligenza e fatica è stato bene che siano partecipate da parecchi, e perché i tordi arrivarono assai stracchi, è bisognato cuocerli in guazzetto, e io tutto il giorno sono stata lor dietro, sì che per una volta mi son data alla gola davvero.

La nuova che V. S. mi dà della venuta di quelle Signore mi è stata tanto grata, che, dopo quella del ritorno di V. S., sto per dir che non potrei aver la migliore; perché essendo io tanto affezionata a quella, con la quale abbiamo tanto obbligo, desidero sommamente di conoscerla di vista. È ben vero che alquanto mi disturba il sentir ch’esse m’abbiano in tanto buon concetto, essendo sicura che non riuscirò in voce quale mi dimostro per lettera. E V. S. sa che nel cicalare, o per dir meglio, nel discorrere io non sono da nulla; ma non mi curo per questo di scapitar qualche poco appresso di persone tanto benigne che mi compatiranno, purché io contragga servitù con la mia cara signora. Andrò intanto pensando a qualche regalo da povera monaca.

Avrò caro che V. S. vegga di farmi aver i cedrati, perché io non saprei dove gli buscare, e mi sovviene che il signor Aggiunti gliene mandò parecchi bellissimi l’anno passato, sì che V. S. potrà tentare anco adesso, e io poi mi metterò a bottega a far i morselletti, con mio grandissimo gusto d’impiegarmi in questo poco per servizio di Monsignor illustrissimo, e mi pregio grandemente di sentir che questi siano anteposti da Sua Signoria a tutte l’altre confetture. Saluto di nuovo V. S. e li prego felicità.

sua figliuola Affezionatissima

S. M. Celeste.