Lezioni sulla Divina Commedia/Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57/Il Paradiso/Lezione XVII

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Il Paradiso - Lezione XVII

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Lezione XVII

[Innanzi a Dio sparizione della forma.]


Esaudita la preghiera di Bernardo, Dante si avvicina al fine de’ suoi desiderii, e prima ancora che Bernardo gli accenni sorridendo di guardare in su, il suo occhio fatto più vigoroso si ficca per lo raggio della luce che da sé è vera. È l’ultima apparizione della forma, o per dir meglio è il suo sparire. Questa forma, corpo nell’inferno, immagine nel purgatorio, evanescente in paradiso, qui svanisce, come un sogno dimenticato di cui rimane ancora il sentimento. Le impressioni di Dante innanzi a Dio sono parte sensazioni, parte sentimenti. La puntura che il suo occhio riceve da quella viva luce, la fissazione del suo sguardo in Dio è congiunta col sentimento della debolezza della parola e con un lirico entusiasmo:

                                         Ormai sará piú corta mia favella
Pure a quel ch’io ricordo, che d’infante,
Che bagni ancor la lingua alla mammella.
     

In questa rappresentazione vi è però alcun che di stanco, e invano cerchi quella freschezza di sentimento che egli provò alla vista della corte di paradiso. Questi sentimenti corrispondono a’ diversi gradi della visione di Dio. Non c’è poeta che abbia osato di descrivere Iddio: solo lo si fa parlare. Veder Dio e dargli figura e lineamenti, è distruggerlo. Dante pensa Dio, non lo vede. E però dice di averlo veduto ma di aver dimenticata la visione. Secondo i teologi Dio considerato dapprima in sé senza alcuna distinzione nella sua natura è lo specchio dell’universo; indi emerge in lui la distinzione delle tre persone, e da ultimo la sua congiunzione con l’uomo. Ora queste cose non sono mica rappresentabili; la forma qui sta come semplice paragone. L’universo è un gran libro squadernato, che s’interna [p. 319 modifica]nel profondo dell’essenza divina. La divinitá è raffigurata in tre giri di tre colori ed una contenenza:

                                         E l’un dall’altro come iri da iri,
Parea riflesso; e il terzo parea foco
Che quinci e quindi ugualmente si spiri.
     

Ben piú difficile era rappresentare la congiunzione dell’umano col divino. Dante si sforza e non trova, quando è aiutato dal fulgore della grazia:

                                         Ma non eran da ciò le proprie penne;
Se non che la mia mente fu percossa
Da un fulgore in che sua voglia venne.
     All’alta fantasia qui mancò possa.
     

Il fine della visione è raggiunto; il poeta dopo un lungo viaggio si congiunge con Dio; nel suo cuore entra la calma; i suoi desiderii sono tranquilli come una ruota mossa ugualmente:

                                    Ma giá volgeva il mio desiro e il velie,
Siccome ruota che ugualmente è mossa,
     L’amor che move il sole e l’altre stelle.