Lo schiavetto/Atto quinto/Scena I

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Atto quinto - Scena I

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Atto quinto Atto quinto - Scena II


Alberto e Fulgenzio

Alberto.
Signor Fulgenzio diasi pace, ché in somma le cose fatte con poco fondamento in breve ruvinano; per dirgliela, mia figliola confessa il merito suo, la sua virtù, la sua nobiltà, ma non lo vuole per consorte.
Fulgenzio.
Ben so il perché, ma basta.
Alberto.
Perché, di grazia?
Fulgenzio.
Non lo voglio già tacere. Perché è d’Orazio amante, e ora ch’egli è morto, sprezzatrice è fatta anch’ella della vita.
Alberto.
Veda signor Fulgenzio, già si sa ch’io stimava di dover dar mia figlia ad un uomo ricco, sì che perciò, e vostra signoria e il signor Orazio dovevano viver lontani da questa speranza, colpa della povertà loro; e s’io mi era indotto a darla al signor Fulgenzio, questo io faceva perché il principe mi prometteva gran cose. Ma ora, che in casa se n’è lavate le mani, anch’io ritorno nel mio primo pensiero; né speri giamai d’averla. Addio signor Fulgenzio, io vado a chiamar colui che piglia in nota le denunzie de’ morti. Mi perdoni se forse la risposta le pare acerba; addolciscasi co ’l sapere che ogni padre desidera più che può il maritar bene la sua figlia.
Fulgenzio.
O sfortunato Fulgenzio, privo d’ogni speranza di godere quanto di bello il Cielo concede a’ mortali, che in terra goder si possa! Ma a che disperi? non sai che quando fortuna al mortale mostra minaccioso il volto, che allora pensa il modo di farlo felice? Odi l’inganno ch’ella ti narra? Non va Alberto a trovar colui che piglia in consegna i morti? Sì non impose a Prudenza che non dovesse aprire ad altri uomo che a costui, caso che senza di Alberto venuto fosse? Sì pur, celato non t’è che questo tale da veruno della casa d’Alberto è conosciuto. Or via, amante coraggioso, fingi tu con abiti e barba mentita questo tale, prima che Alberto lo trovi e seco lo guidi. Vieni a questa casa, picchia, entrane; poscia retira Prudenza in parte segreta fingendo d’essere a parte de’ suoi amori, mercè d’aver ciò dettogli Orazio, e quando colà soletta l’avrai e che altri discorreranno sopra il morto giovine, tu cogli a forza da lei l’amorosa messe, che nel campo d’amore sovente raccoglie falciatore amante e accorto. O come già mi pare d’averti nel seno, dolcissimo cuor mio! Alle fraudi, a gl’inganni, a i bei furti d’amore!