Melmoth o l'uomo errante/Volume II/Capitolo V

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Volume II - Capitolo V

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Charles Robert Maturin - Melmoth o l'uomo errante (1820)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1842)
Volume II - Capitolo V
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CAPITOLO V.


Io vado convinto, che quantunque quel passaggio fosse stato più lungo di quello delle piramidi o delle catacombe, avrei continuato il mio cammino fino a tanto che la fame o la stanchezza non mi avessero obbligato a fermarmi. Fortunatamente io non aveva ivi alcun pericolo da temere; il pavimento era unito e le muraglie ricoperte di stuoie; io era nelle tenebre, ma la mia vita era in sicurezza; d’altronde io non [p. 92 modifica]desiderava che una cosa, di non ricadere cioè nelle mani della inquisizione: tutto il resto erami indifferente. Mi trovava in quella situazione di spirito, che riunisce i due estremi, del coraggio e della pusillanimità. Ad un tratto vidi un debole splendore di luce. Giusto cielo! Qual fu la mia gioia allo scorgerlo! Come affrettai il passo per avvicinarmi a quella! Nè tardai molto a discoprire, essa luce provenire dalle fenditure di una porta, che l’umidità aveva sufficientemente dilatate, perchè potessi vedere lo interno dell’appartamento. M’inginocchiai avanti ad una di quelle fessure, e vidi una gran sala, le cui pareti erano ricoperte di saia di color molto oscuro dal soffitto fino a quattro piedi di distanza dal pavimento. Il rimanente era fasciato di stuoie molto fitte, e senza dubbio per impedire l’effetto della sotterranea umidità. In mezzo della sala era una gran tavola coperta di un drappo nero, e su di essa una lucerna di ferro di una forma antica, ma singolare. Il lume di questa lucerna era stato quello, che [p. 93 modifica]aveva diretto il mio cammino, e mi aiutò pur anco a distinguere un mobiliamento, che parvemi molto strano. Vi erano delle carte geografiche, dei globi e parecchi istrumenti, dei quali mi era incognito l’uso, ma che, per quanto appresi dappoi, eran istrumenti di anatomia. Scorgevasi similmente una macchina elettrica, un curioso modello d’avorio d’un istrumento per dare la tortura, alcuni libri e molti rotoli di pergamena, sui quali si leggevano delle lettere rosse e gialle; finalmente intorno alle mura si vedevano posti con ordine quattro scheletri, e collocati dentro una specie di cataletti perpendicolari, che a quegli ossami spolpati facevano prendere delle positure animate, e sembravano essere gli abitanti di quello straordinario appartamento. Fra gli intervalli v’erano degli animali impagliati, e fra gli altri un coccodrillo e delle ossa gigantesche, che da principio credetti esser quelle di Sansone, ma che poscia seppi essere di un mammouth. Vi scorsi ancora delle corna di alce, che [p. 94 modifica]presi per quelle del demonio e finalmente degli aborti mostruosi di ogni specie.

Da un lato della tavola era assiso un vegliardo inviluppato in una larga e lunga veste; il capo era coperto di una berretta di velluto nero e gli occhiali tanto grandi, che gli coprivano quasi tutto il viso. Era egli occupato a svolgere alcune pergamene, e lo faceva con mano irrequieta e tremante. Ad un tratto dando di piglio ad un cranio, che era vicino a sè sul tavolino, e tenendolo fra le sue dita scolorate e scarne quanto il teschio, lo apostrofò nella più seria maniera. Io era sempre rimasto inginocchiato d’avanti alla porta, quando la mia respirazione tenuta lungo tempo repressa si schiuse contro mia voglia l’adito, con un prolungato gemito, che attirossi l’attenzione del personaggio seduto avanti alla tavola. Una vigilanza abituale suppliva in lui alla mancanza de’ sensi renduti cheti dalla età. Non gli bisognò che un istante per correre alla porta, aprirla ed afferrarmi per un braccio [p. 95 modifica]ancor vigoroso abbastanza, quantunque irrigidito dalla vecchiezza; io mi credetti fra le branche del nemico delle anime. Chiuse la porta e vi appose il chiavistello. Io era caduto in terra e al di sopra di me vidi una figura terribile, che con una voce di tuono: Chi sei tu? mi disse, che sei venuto a far qui? Io non sapeva cosa rispondere; rivolsi fiso e muto lo sguardo sugli scheletri e sul rimanente de’ mobili di quel luogo spaventoso.

Fermati, disse l’incognito; se tu sei realmente spossato ed hai bisogno di rifocillarti, bevi di questa tazza: il licore che in lei si contiene ti farà tanto giovamento, come se fosse il più esquisito vino; desso sarà acqua per le tue viscere, ed olio per le tue ossa. E mentre diceva così mi offrì da bere, che io ricusai con indicibile orrore, temendo che contenesse qualche magica bevanda. In mezzo al timore dal quale io era oppresso invocai il Salvatore e tutti i santi, segnandomi ad ogni frase, che io proferiva, e gli dissi: No, [p. 96 modifica]tentatore, conserva le tue infernali bevande per gli spiriti tuoi inservienti o per te. Non sono, se non pochi istanti, che sono sfuggito dalle mani della inquisizione, ed amerei mille volte ritornarvi, che diventare tua vittima. La tua tenerezza è quella, che mi fa più spavento. Mentre io gli diceva così, il vecchio mi considerava con uno sguardo placido, ma di sorpresa; lo che fu cagione, che io arrossissi del mio terrore, prima ancora che avessi terminato di tutto esprimerlo.

E che? mi disse egli alla fine, sei tu il giovane Nazareo, che ha cercato un asilo nella casa del nostro fratello Salomone, il figlio di Hilkiah, che porta il nome di Fernando Nunez presso gli abitanti di questa terra di cattività? Io ti stava attendendo questa sera; sapeva, che tu verresti a mangiare il mio pane, a dissetarti alla mia tazza, ed a servirmi in qualità di segretario; perchè il nostro fratello Salomone mi ha fatto un grande elogio de’ tuoi talenti. Io lo guardava pieno di stupore, ed [p. 97 modifica]allora per la prima volta mi risovvenni, che Salomone era sul punto di farmi conoscere un luogo di ritirata sicuro e segreto, e quantunque non potessi fare a meno di tremare guardando intorno all’appartamento singolare, in cui mi trovava, sentii nulladimeno rinascere in me un poco di speranza. Siedi, mi soggiunse egli vedendo che io era prossimo a soccombere per la fatica ed il terrore. Siedi, mangia un pezzo di pane e bevi un poco di vino: riconforta il tuo corpo perchè di te potrebbe dirsi, che sei sfuggito ai lacci dell’uccellatore o alle freccie del cacciatore.

Obbedii senza sapere ciò che mi facessi; aveva realmente bisogno di ciò, che egli mi offriva, e già già stava per istender la mano, quando un sentimento di ripugnanza e di orrore sormontò il bisogno. Rigettai gli alimenti, che avevami egli offerti, indicando col dito gli oggetti da’ quali eramo attorniati, ed ai quali fu da me attribuito il disgusto, che provava. Egli per brevi istanti girò gli occhi intorno a sè, maravigliato, che [p. 98 modifica]oggetti, i quali erano a lui cotanto famigliari, potessero essere ributtanti per un estraneo, quindi scuotendo il capo, mi disse:

Sei uno sciocco; ma tu sei un Nazareo e ti compiango. Mangia, di grazia, e sii persuaso, che coteste figure non ti faranno alcun male. Coteste ossa prive di vita non possono nè misurare nè toglierti i tuoi alimenti. Io presi dunque il pane, che egli non cessava di offrirmi, e bevetti a lunghi sorsi del suo vino, che la sete cagionatami dallo spavento dall’ansietà mi faceva tracannare, come se fosse stata acqua pura. Ciò non pertanto non cessava di segnarmi tratto tratto, e di pregare Iddio, che questo cibo e questa bevanda non si convertisse in un funesto e diabolico veleno. L’ebreo Adonia mi contemplava con una compassione ed un disprezzo ognor crescenti. E, che è che ti arreca tanto spavento? soggiunsemi; se io possedessi il potere, che a’ tuoi confratelli nella fede mi viene attribuito, invece di apprestarti degli alimenti, non potrei io [p. 99 modifica]offrir te medesimo in olocausto al demonio? Tu sei nelle mie mani, e frattanto io non ho nè il potere nè la volontà di farti del male. Tu che sei sfuggito da tanti pericoli, come mai devi temere nel considerare i mobili che addobbano la camera di un dottore solitario? In questo appartamento io ho passati sessant’anni della mia vita, e tu fremi nel doverlo visitare per un momento! Mangia, mangia; gli alimenti, che ti offro non sono già avvelenati; bevi: in questa tazza non vi è nessun filtro. Mangia e bevi senza timore nella caverna di Adonia l’ebreo. Se tu avessi osato rifugiarti presso i tuoi, io non ti avrei giammai veduto in questo luogo. Hai tu finito? aggiunse, ed io gli risposi con un cenno di capo. — Hai tu bevuto nella tazza, che io ti ho offerta? La mia sete rispose in vece mia e gli restituì il vaso. Egli sorrise ma il sorriso della decrepita età, il sorriso d’una bocca, sulla quale è trascorso più di un secolo, ha una espressione ributtante ed increscevole; non è certamente il [p. 100 modifica]sorriso del piacere. Io fremetti involontariamente quando l’ebreo Adonia aggiunse: Giacchè hai mangiato, e bevuto, egli è ben giusto, che ti riposi. Vieni a coricarti; il tuo letto sarà forse più duro di quello, che tu avevi nella prigione, ma sarà più sicuro. I tuoi avversarii e nemici qui non ti potranno rinvenire.

Quando ebbe terminato di parlare mi condusse per passaggi tanto lunghi ed intralciati, che dessi confermarono al mio spirito l’opinione, che io aveva (secondo quello, che tu aveva sentito dire) in proposito delle strade sotterranee, per mezzo delle quali le rispettive case degli ebrei di Madrid comunicavano insieme. Dormii in quella notte, o piuttosto in quel giorno, perchè il sole era già spuntato dall’oriente; dormii, dissi, sopra di un letto a cigna in una piccolissima camera, ma elevata, e di cui le pareti, come tutte le parti di quella straordinaria dimora, erano guarnite di stuoie fino alla metà. Una sola finestra stretta e serrata da una inferriata dava ingresso alla luce del [p. 101 modifica]sole e al grato suono delle campane, siccome pure al più grato frastuono della natura umana desta ed in moto intorno di me, mi assopii e continuai a dormire un sonno profondo e non interrotto da alcun sogno sino alla fine del giorno circa, o per servirmi della frase di Adonia, fino a tanto che le ombre della sera non ebbero ricoperta la faccia della terra. Allorchè mi destai lo vidi seduto accanto al mio letto: Levati, mi disse, mangia e bevi, affinchè tu possa ritornare in forze. Nel mentre che proferiva queste parole mi accennò col dito una piccola tavola imbandita di vivande leggiere ed accomodate con la più grande semplicità. Ciò non per tanto giudicò di doversi scusare del lusso, che aveva spiegato. Per quello che riguarda la mia persona, aggiunse, io non mangio la carne di nessun’animale, eccettuate le feste e le neomenie, e pur ciò non ostante gli anni della mia vita ascendono a cento sette, sessanta de’ quali gli ho passati nel luogo, in cui mi vedi. E raro che io salga ai piani superiori [p. 102 modifica]di questa casa meno che nelle occasioni, che ti ho testè rammemorate, o quando voglio aprir la mia finestra dalla parte di Oriente, onde pregare Iddio, e raccomandargli di ritrarre la sua mano dalla testa di Giacobbe e di far cessare la cattività di Sionne. La luce de’ cieli non penetra più negli occhi miei, e la voce dell’uomo è divenuta una voce straniera al mio udito. Alcuna volta solamente ascolto le lamentazioni dei miei fratelli, che piangono sulle disgrazie d’Israello. Frattanto la corda argentina, non si è ancora disciolta nè ridotta in pezzi la tazza d’oro; e quantunque meno penetrante divenga il mio occhio, le mie forze non sono peranco abbattute.

Nel tempo che egli parlava io lo stava attentamente considerando, ed ammirai il suo aspetto maestoso, che mi offriva quasi il modello degli antichi patriarchi. Dopo una breve pausa proseguì. Hai tu mangiato? ti sei ristorato? alzati dunque e mi seguì. Discendemmo in quella direi quasi caverna, e mi accorsi che la lucerna [p. 103 modifica]non si estingueva giammai. Adonia accennandomi con la mano le pergamene sparse sulla tavola mi disse: E in ciò, che abbisogno del tuo soccorso. Più della metà di una vita prolungata al di là deʼ limiti accordati ai mortali fu da me consacrata a raccogliere e trascrivere questi manoscritti; ma gli occhi miei cominciano ad oscurarsi, ed ho bisogno di esser aiutato dall’occhio più veggente e dalla mano più sollecita e pronta della giovinezza, ed è questa la ragione per cui mio fratello avendomi renduto certo, che tu maneggiavi la penna con la celerità di uno scriba che inoltre avevi bisogno di un luogo di rifugio, ho acconsentito, che tu venissi a stare sotto il mio tetto e mangiassi delle cose che tu hai vedute o di quelle di cui potrà venirti talento, eccettuate quelle che vengono proibite dalla legge e dai profeti, che inoltre tu ricevessi da me uno stipendio, come mio servo.

Dovrò confessarvelo, signore? per quanto triste fosse la mia situazione, non potei a meno di arrossire all’idea [p. 104 modifica]di vedere un cristiano, un pari del regno di Spagna, stipendiato in qualità di segretario di Adonia. Egli proseguì: e quando la mia carriera sarà compiuta, io verrò accolto nel seno de’ miei padri; e forse, aggiunse con una voce, cui il dolore rendeva dolce, solenne e tremula, forse nel seno della felicità rincontrerò quelli, che ho lasciati nel tempo dell’angustia: te, Zaccanà, il figlio delle mie reni, e te, Lia, la sposa del mio cuore. (Queste ultime parole furono dirette a due degli scheletri posti nella camera.) Sì, nel cospetto del Dio dei nostri padri si riuniranno i redenti di Sionne, e si riuniranno, come quelli, che non deggiono più separarsi per tutti i secoli de’ secoli.

A queste parole chiuse gli occhi, alzò le mani e sembrò assorto in una preghiera mentale. Cotesto atteggiamento operò vivamente sopra di me, e fu allora che con un vivo interesse gli dimandai notizia di Salomone, il quale per cagion mia erasi trovato esposto alla perquisizione degli inquisitori. Sii tranquillo, mi rispose [p. 105 modifica]Adonia, il nostro fratello Salomone non corre alcun rischio della vita e nessuno impadronirassi delle sue sostanze. Se i nostri avversarii sono potenti, noi non lo siamo meno per le nostre ricchezze e la nostra prudenza. Dessi non iscopriranno giammai le traccie de’ tuoi passi, e se tu vuoi darmi ascolto e seguire i miei consigli, la tua esistenza medesima sulla faccia della terra rimarrà loro eternamente celata. Io non poteva parlare, ma l’espressione di una muta inquietudine, che si dipingeva sul mio volto, parlava bastantemente per me.

Ieri sera, proseguiva a dirmi Adonia, tu facesti meco uso di certe parole che non mi sono rimaste assolutamente presenti alla mente, ma il suono delle quali cagionò una sensazione straordinaria al mio orecchio. Mi dicesti, a quanto mi sembra, di essere stato tentato da un ente, il quale avrebbe voluto, che tu rinunziassi all’onnipotente, che è ugualmente l’oggetto delle adorazioni tanto dei cristiani, che degli ebrei, e che tu avevi dichiarato, che quando [p. 106 modifica]anche il rogo fosse acceso per arderti, tu avresti sputato in faccia al tentatore e calpestata la sua offerta. Sì, gli risposi, l’ho detto e lo avrei fatto. Adonia si soffermò alquanto, come per riflettere se quello che io diceva fosse uno slancio di passione, ovvero la prova di una grande energia d’animo. Finalmente parve, che facesse di me un giudizio favorevole, quantunque le persone avanzate in età siano ordinariamente inchinevoli a riguardare i contrassegni di emozione con una dimostrazione di debolezza, piuttosto che di sincerità. Posciachè la cosa è così, mi soggiunse dopo una lunga e solenne pausa, tu conoscerai un segreto, che tanti anni è stato un peso insopportabile allo spirito di Adonia. Io mi sono affaticato fino da’ primi anni della mia giovinezza; ma il momento della mia liberazione si avvicina a gran passi. Ne’ giorni della mia infanzia si divulgò una voce, ed era, che una creatura misteriosa e straordinaria era stata inviata sulla terra per tentare gli ebrei, i cristiani e perfino i seguaci [p. 107 modifica]di Maometto, il cui nome è maladetto nella bocca de’ nostri fratelli; che questi doveva far loro delle offerte di liberazione ne’ momenti di una qualche disgrazia che fosse apparentemente senza rimedio, a condizione che facessero ciò, che io non oso ripetere neppure in questa solitudine ove non havvi che tu solo, che mi possa ascoltare. Tu fremi.... Tanto meglio; così almeno veggo che sei sincero nella tua credenza quantunque opposta alla mia. Io ascoltai con avidità questa voce, e tale era la perversità del mio spirito, che desiderava di rincontrare, che dico? di combattere lo spirito maligno in tutta la sua possanza. Siccome i nostri padri nel deserto, io rigettava il pane degli angioli e non aspirava che alle vivande proibite, le vivande de’ maliardi ed indovini dell’Egitto. La mia presunzione fu, ahimè! crudelmente punita; sono rimasto privo dell’amata compagna, del figlio, degli amici: con una esistenza prolungata al di là del termine prefisso ordinariamente dalla natura, e non avendo, che te [p. 108 modifica]solo al mondo per porne in iscritto gli avvenimenti. Non istarò presentemente a fartene un circonstanziato racconto; solo mi limiterò a dirti, che i due scheletri, che vedi da questa parte (e mi accennò la parte destra della sala) furono un tempo ricoperti di una carne incomparabilmente più fresca della tua; dessi sono quelli della mia consorte e del figlio mio, de’ quali non è questo il tempo da farti conoscere la storia. Tu devi all’incontro leggere e raccontare quella degli altri due. Di ritorno dal mio paese cui assisi su questa lucerna, presi in mano la mia penna, e feci voto di non permettere, che questa lucerna si estinguesse, di non abbandonar questo luogo fino a tanto che questa istoria non fosse tutta registrata in un libro. Non sarà necessario, che io ti dica quante persecuzioni dovetti sostenere ed in qual modo riuscii ad evitarle. Ti basti il sapere, che i miei nemici videro i miei manoscritti, ne li poterono di cifrare. Allora giurai di non mai dichiararne il contenuto, che ad uno [p. 109 modifica]de’ loro, che essi avessero perseguitato come me, e pregai il Dio d’Israello di farmene rincontrar uno: le mie preci sono state esaudite, dacchè tu ti trovi qui in mia compagnia.

Nell’ascoltare questo discorso sentii riempiermi lo spirito d’un terrore inesplicabile. Io andava meco stesso considerando ora l’oratore spossato dagli anni, ora il doloroso incarico, che impormi voleva. Non era dunque sufficiente che dovessi portare l’orribil segreto rinchiuso nel mio cuore? Faceva ancora d’uopo agitare e smuovere le ceneri di altri infelici per disperderle e diffonderle? Finalmente mi risolvetti a gettar l’occhio su’ manoscritti. Adonia me li presentò, e mi fece osservare, che erano in lingua spagnuola, ma scritti con caratteri greci, e mi istigò a mettermi tosto all’opera. La mia ripugnanza per un tale incarico era somma, e sembravami di aggiungere un altro anello alla catena, per mezzo della quale una invincibil mano mi trascinava quasi alla mia perdita, e che io andassi a diventare lo [p. 110 modifica]storico della mia propria condanna. E perchè io svolgeva le pagine con una mano tremante, Adonia preso da una soprannaturale emozione esclamò. Figlio della polvere, cosa è che ti fa tremare? Se tu sei stato tentato, lo furono eglino ancora; se tu hai resistito, eglino resistettero, come te; se eglino gustano oggi il riposo, lo gusterai un giorno ancor tu. Tu non hai sofferto un solo dolore o di spirito o di corpo, che eglino non abbian sofferto lungo tempo prima che tu vedessi la luce del giorno. Giovane inesperto, la tua mano trema nel toccare queste pagine, che non sei degno di maneggiare; eppure bisogna che io ti dia un tale incarico, conciossiachè abbia bisogno di te. Malaugurato vincolo della necessità, che riunisce due spiriti tanto poco l’uno per l’altro formati!

Intanto ch’egli favellava io non aveva cessato un istante dallo svolgere il volume. Ebbene! proseguì Adonia, la tua mano esita ancora a trascrivere la storia di quelli, il cui destino si trova al tuo riunito con [p. 111 modifica]una sì prodigiosa, sì invisibile, sì indissolubile catena? Osserva; quantunque essi non abbiano più lingua, ti parlano con una eloquenza più valevole e forte, che se fossero in vita tuttora. Eglino stendono verso di te le loro scarne braccia, ed il loro silenzio medesimo tacitamente ti si raccomanda e t’implora. Non voler chiuder loro le orecchia; prendi la penna e scrivi.

Feci quanto mi disse, ma non mi fu possibile di scrivere una parola. Adonia in un momento di trasporto tolse con violenza uno scheletro dal luogo in cui era collocato, e me lo pose innanzi facendogli questa apostrofe: Orsù, raccontagli tu stesso la tua storia; forse ti presterà fede e scriverà sotto la tua dettatura... La notte era procellosa, e quantunque noi fossimo quasi nel centro della terra, il fragore del vento penetrava insino a noi, ed era simile alla voce di quei, che più non sono. Io fissai involontariamente gli occhi sul manoscritto, che doveva copiare; presi la penna, e non l’abbandonai, se non quando ebbi terminato il lavoro.