Memorie (Bentivoglio)/Libro primo/Capitolo VIII

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Capitolo VIII

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Capitolo VIII.

Quale relazione mi fusse data intorno agli altri ordini di persone delle quali viene formata la corte.

Dalla relazione che io ebbi intorno al sacro collegio de’ cardinali passo ora a quella che mi fu data intorno alla prelatura, e altro piú commune ordine della corte.

Quanto alla prelatura, sempre si trova qualche numero considerabile di arcivescovi e di vescovi in Roma, o per esservi trattenuto alcuno di loro per servizio della sede apostolica o per occasione di visitare i sacri limini o per altre occorrenze particolari delle loro chiese. Io giunsi a Roma pochi dí prima dell’anno santo del 1600. Per questa solenne occasione del giubileo universale era concorso e concorreva da tutte le parti un gran numero di forastieri a goderlo qui nella propria cittá di Roma, a fine di potere con la prerogativa de’ luoghi santi participare tanto piú di quelle sacre indulgenze. Per questa cagione dunque oltre a quelle che ho accennate, si ritrovava allora nella corte maggior numero di vescovi che prima non soleva esservi. Procurerò che dopo tanti anni la memoria mi serva quanto piú mi sará possibile a dir qualche cosa d’alcuni piú conspicui tra loro, come nell’ordine de’ cardinali ho parlato de’ soggetti piú riguardevoli. Questi erano monsignor Caetano patriarca d’Alessandria, monsignor Calatagirona patriarca di Constantinopoli, monsignor di Torres arcivescovo di Monreale, monsignor Ferrerio arcivescovo di Urbino, monsignor Matteucci nuovo vescovo di Viterbo che era stato prima arcivescovo di Raguggi, monsignor Speziano vescovo di Cremona, monsignor Malaspina vescovo di San Severo, monsignor Cornaro vescovo di Padova, monsignor Bastone vescovo di Pavia, monsignor Graziani vescovo d’Amelia, e monsignor Burgi vescovo del Borgo san Sepolcro. [p. 84 modifica]

Poco dopo l’arrivo mio a Roma venne a morte il Cardinal Caetano e con quella occasione tornò subito alla corte monsignor patriarca suo fratello, ch’era nunzio in Spagna. Aveva egli con somma riputazione spesi in quella nunziatura alcuni anni, e con uguale opinione di valore alcuni altri prima nell’istesso carico appresso l’imperatore di Germania. Era gran prelato per doni particolari, che in lui concorrevano di nobiltá e d’aspetto e di lettere e d’esperienza e d’ogni altra qualitá che potesse rendere un prelato piú riguardevole, ed al cui merito fosse dovuta piú giustamente la porpora; e stimavasi per commun giudizio che se poco dopo egli non fosse morto, il papa ne l’avrebbe onorato.

Come nella dignitá cosí anco nel merito rendevasi grandemente conspicuo monsignor Calatagirona siciliano che il papa aveva creato nuovamente patriarca di Constantinopoli in ricognizione delle nobili e fruttuose fatiche da lui fatte nel maneggio e nell’intiero successo della pace conclusa fra le due corone dal cardinale di Fiorenza in Vervino. Nel tempo di quel trattato era egli generale de’ francescani osservanti, e aveva similmente sostenuto quell’officio con gran prudenza e riputazione. E veramente si era egli fatto conoscere non meno capace d’ogni maggior impiego ne’ maneggi del secolo, di quello che si fosse mostrato abile prima ne’ piú importanti e piú inviluppati del claustro.

Aveva impiego particolare nella corte allora monsignor di Torres arcivescovo di Monreale, prelato di gran lettere e che oltre alle sue proprie qualitá rappresentava quelle dell’arcivescovo di Monreale suo zio, il quale giá nell’aver trattata e conclusa in nome di Pio quinto alla corte di Spagna la lega memorabile contra il turco, aveva acquistato cosí gran merito che senza dubbio, s’egli fosse vissuto un poco piú lungamente, ne avrebbe riportato ancora il dovuto premio nel modo che poi questo nipote lo riportò da Paolo quinto con la dignitá del cardinalato.

Monsignor Ferrerio arcivescovo di Urbino era gentiluomo savonese, e dimorava ordinariamente in Roma per cagione [p. 85 modifica] di fastidiosi incontri avuti dal duca di Urbino. Era prelato di molto sapere e di molta stima, e dependente dalla corona di Francia, e perciò da Enrico quarto regnante allora riceveva dimostrazioni di grande onore e insieme di gran confidenza.

Monsignor Matteucci gentiluomo da Fermo nella Marca era stato arcivescovo di Raguggi, e poi era divenuto vescovo di Viterbo. Pochi altri prelati avevano fatte piú fatiche di lui e per conseguenza acquistato piú merito. Prima in vari governi dello stato ecclesiastico nell’impiego di governatore nella corte di Roma, nella nunziatura di Venezia, nell’officio di commissario generale della gente ecclesiastica in Francia, e poi in Ungheria, e di poi nella spedizione di Ferrara; ma dall’altra parte egli aveva troppo del rozzo e troppo insieme del libero, e però per essersi reso poco aggiustato all’umore della corte ne aveva conseguito sempre concetto maggiore che applauso.

Ma e di concetto e insieme di applauso non poteva all’incontro ricevere dimostrazioni maggiori monsignor Speziano milanese, nato d’antica e nobile casa in quella cittá. Era egli vescovo di Cremona e aveva spesi molti anni esercitando l’officio di nunzio apostolico prima in Spagna e poi in Germania, e con tanta riputazione in quella corte e in questa che non si era potuto discernere dove egli quasi gareggiando fra se medesimo avesse voluto conseguirla maggiore. Onde per commune giudizio credevasi che per altre sue degne fatiche pur similmente fatte innanzi alle nunziature egli con l’onore della porpora fosse’ per conseguirne la meritata ricognizione; ma sotto Clemente riuscí fallace questo giudizio. Seppesi poi con sicurezza che Paolo quinto voleva promoverlo a tal dignitá fra i primi otto suoi cardinali, ma poco prima Speziano mancò e la sua morte levò a lui questo meritato onore, e al pontefice la sodisfazione con la quale nella sua persona insieme con l’altre allora l’avrebbe distribuito.

Per la medesima via delle nunziature aveva dopo molte fatiche riportato gran merito monsignor Malaspina vescovo di San Severo, prelato di casa tanto principale quanto è noto ad ognuno. Ultimamente egli era stato nunzio in Polonia, e con [p. 86 modifica] molta riputazione della sede apostolica e sua aveva esercitato alcuni anni quel carico, benché si fusse doluto molto il cardinale Caetano, che fu allora legato in quel regno, della troppa facilitá con la quale Malaspina aveva presupposto che da quel re e da quella republica de’ polacchi si fosse per discendere ad una lega con l’imperatore contra l’armi del turco. Onde non avendo ivi poi Caetano veduta corrispondere la disposizione presupposta, si querelava che il suo impiego non aveva potuto far nascere il beneficio aspettato, e qualcheduno ancora aveva creduto, che Malaspina presupponendo una legazione particolare per un sí importante maneggio, fosse entrato in ferma speranza d’essere con maggior brevitá di tempo e difficoltá minore d’opera ordinato egli stesso e onorato del cardinalato e della legazione insieme, nel modo ch’era succeduto al cardinale Morosino nunzio in Francia nel pontificato di Sisto quinto.

A monsignor Cornaro vescovo di Padova, e lo splendore della sua casa tanto principale in Venezia, e la nobiltá di quel vescovato che si può chiamare il primo di tutto il dominio veneto, davano luogo di stima grande in quell’ordine di prelati, e insieme di molta speranza ch’egli potesse da quel grado passare ad altri maggiori. Il ramo della sua casa e quello dell’abbate Federico chierico di camera erano differenti, se bene amendue discendevano da un medesimo tronco. Credevasi che nel conseguire l’onore della porpora questi due soggetti si sarebbono impediti l’un l’altro: il vescovo e per essere molto piú innanzi con gli anni, e in riguardo a quel vescovato insigne da lui molto ben governato, poteva sperare dalla sua parte la preferenza; all’incontro il chierico portava seco la memoria fresca del zio cardinale e la vacanza del clericato, e dal suo ramo veramente erano discesi quasi tutti i cardinali di quella casa. Egli doveva presto comparire in Roma, e librati bene tutti li rispetti la corte inclinava a sperare i favori di questo piú che di quello. L’esito poi mostrò che il vescovo dopo molti anni morí in quel medesimo grado e che il chierico poco dipoi fu promosso al cardinalato, benché [p. 87 modifica] vivente eziamdio il vescovo; quasi che in tutte l’altre antecedenti promozioni il chierico fusse stato sempre in aspettazione e per accidenti vari non se ne fusse poi veduto seguire l’effetto.

Monsignor Bastone era nato di buona famiglia nella terra di Bosco paese di Pio quinto, col quale esso Bastone ancora aveva qualche congiunzione di parentela. Godeva egli molti anni prima il vescovato di Pavia, che è uno de’ piú nobili che siano nello stato di Milano, e aveva sempre governata molto bene quella chiesa. Nel mio arrivo egli era di fresco tornato di Spagna dove il papa l’aveva spedito nunzio straordinario a congratularsi con Filippo terzo del suo matrimonio seguito in Ferrara con l’arciduchessa Margarita, come fu raccontato di sopra; onde per questo e per altri precedenti impieghi esso Bastone era in molta stima appresso la corte. Venivagli nondimeno opposto ch’egli fosse poco destro e poco maneggiabile, e che in materie difficili potesse piú rompere che radrizzare i negozi. Fu poi mandato da Paolo quinto per nunzio a Napoli, dove poi morí senza che fusse in aspettazione di cose maggiori.

Dotato all’incontro e di gran desteritá e di gran pieghevolezza, e d’ogni altra parte migliore per trattar negozi, era monsignor Graziani vescovo d’Amelia. Nella segretaria toscana e latina egli era grandemente stimato. In questa seconda lingua aveva composto l’istoria di Cipro in occasione della perdita che ne aveva fatta la republica di Venezia, e con tanta approvazione di tutti i piú rigidi censori in tal genere di componimenti che non poteva esser stata maggiore. Non molto prima egli era tornato dalla nunziatura di Venezia, nel quale impiego aveva conseguita e per la parte di Roma ogni lode e per quella di Venezia ogni applauso. Prelato che sarebbe stato degno di sostenere una segretaria pontificia nelle corrispondenze de’ prencipi, e degno insieme di riportarne poi cosí il premio come egli nell’esercitarla ne avrebbe mostrato a pieno il talento.

Monsignor Burgi nato in Modigliana, terra vicino al Borgo di san Sepolcro, della quale cittá egli era poi divenuto vescovo, [p. 88 modifica] fu conosciuto da me fin quando la prima volta il cardinale Aldobrandino venne a Ferrara. Egli in quel tempo era uno de’ suoi segretari, e de’ piú stimati per l’abilitá che da una parte in lui concorreva e per la sodisfazione che dall’altra il cardinale ne dimostrava. Con l’impiego di quella cittá uscito fuori di quel servizio non gli era poi nata l’occasione di rientrarvi; onde sempre piú gli andò mancando ogni speranza d’altri avanzamenti maggiori. Noi fummo poi grandi amici. Egli componeva molto bene in prosa toscana e latina; possedeva similmente la lingua greca e la sua conversazione non poteva essere piú amabile né piú erudita. Parevami un altro Quarengo, ed a lui era succeduto appunto il Burgi nella segretaria del sacro collegio; ma di piú il Quarengo era eccellente poeta latino e toscano, e senza dubio in tutto il rimanente l’erudizione di questo prevaleva di gran lunga alla letteratura di quello. E tanto basti intorno a questo ordine di prelatura.

Dopo i cardinali, il primo luogo fra tutti i prelati tocca al governatore di Roma, e poi all’auditore della camera e al tesoriere. Di questi dunque prima io doveva parlare, ma perché l’occasione mi fece entrare subito ne’ vescovi, però anticipatamente mi sono sbrigato da quelli.

Era governatore di Roma in quel tempo monsignor Taverna milanese di nobil casa, e che dopo alcuni governi da lui fatti nel dominio ecclesiastico aveva poi molto lodevolmente esercitata la collettoria della sede apostolica in Portogallo. In questo carico di governatore mostrava egli molta destrezza, particolarmente nel maneggiarlo e con sodisfazione del palazzo e con approvazione della corte; il che per la natura difficile dell’impiego non suole riuscire cosí facilmente, in modo che e per questo suo nuovo merito e per gli altri acquistati prima, egli fu creato poi cardinale nell’ultima numerosa promozione di diciotto che fece papa Clemente.

Auditore della camera nel medesimo tempo era monsignor Lanti nobile romano. Aveva egli prima esercitato l’officio di chierico nell’istessa camera, e sempre con laude di gran bontá [p. 89 modifica] e di gran rettitudine. L’istessa laude gli è attribuita nell’amministrazione di questo altro officio. E perché l’officio porta ordinariamente con sé il cardinalato, credevasi che nell’istessa promozione di diciotto fosse per entrare Lanti ancora, ma non vi entrò se bene in breve tardanza si differí il suo avvanzamento, perché Paolo quinto nella sua prima degli otto lo promosse.

Il tesorierato si ritrovava allora vacante, e perciò manca l’occasione di parlar qui intorno al prelato che si esercitasse in quel tempo in quella sorte d’officio.

Dopo i vescovi succedono i protonotari participanti, ma che sono giovani per ordinario e sono piú considerabili per l’aspettazione futura che per concetto presente. Non mi fu data perciò alcuna relazione particolare intorno alli soggetti che allora godevano questa sorte di prelatura.

Seguono poi due tribunali che sogliono essere l’uno e l’altro seminari di cardinali: l’uno è la rota e l’altro la camera; vien contesa la precedenza fra loro, ma perché gli auditori si trovano alle funzioni publiche e non quelli, io parlerò primieramente de’ rotali e poi de’ chierici.

Era decano della rota in quel tempo monsignor Serafino, nato in Italia ma originario di Francia. Non aveva la rota gran tempo innanzi avuto in essa prelato alcuno piú conspicuo di questo. Non lo nobilitava gran fatto il sangue, ma tanto la dottrina ed ogni altra piú riguardevole erudizione in materia di lettere che non poteva essere maggiore il merito della sua virtú, né maggiore l’opinione insieme che gliene fusse dovuto ogni piú rilevato premio. In Roma era egli stato amicissimo del papa, mentre erano stati colleghi l’uno e l’altro nel medesimo tribunale. Onde aggiuntosi questo rispetto agli altri, la corte aveva creduto che il papa anco senza gli offici del re di Francia fusse per onorare della porpora questo soggetto. Ma o sia che il principato muti i pensieri come muta la condizione o fosse stato per altre cagioni particolari, Serafino mai non era stato promosso. Risolvè nondimeno il papa di farne seguire l’effetto, e vi si dispose prima con onorar Serafino [p. 90 modifica] di una dignitá patriarcale, e poi aggiuntisi insieme gli offici del re di Francia nella medesima promozione di dieciotto lo creò cardinale. Sono famose particolarmente le sue decisioni, e portano tanto vantaggio sopra l’altre in tutti i communi fori come egli lo godeva sopra gli altri auditori nel suo proprio tribunale.

A lui succedé poi nel decanato monsignor Pegna spagnuolo, gran soggetto per dottrina bontá e rettitudine. Ma come questi auditori nazionali senza favore de’ loro prencipi non passano per l’ordinario da quel grado all’altro del cardinalato, perciò poi Pegna restò decano e morí, ma con fama onorevolissima, in quell’officio.

Tre altri auditori molto conspicui per le medesime qualitá si trovavano pur’anco allora in quel tribunale, cioè Pamfilio, Medino e Lodovisio, e tutti tre riuscirono cardinali, e quest’ultimo fu pur anco papa. Pamfilio e Medino erano ambedue nobili romani, il primo molto piú antico d’etá e molto prima anco dell’altro nel tribunale. Il papa l’aveva sempre stimato, e perciò volse ch’entrasse nella medesima promozione di dieciotto. Il secondo fu inviato nunzio in Spagna da Paolo quinto sul principio del pontificato e nella promozione prima degli otto lo creò cardinale. Alla medesima dignitá ne’ suoi ultimi anni l’istesso pontefice innalzò Ludovisio medesimamente dopo averlo fatto arcivescovo di Bologna, nella quale cittá egli da nobile e qualificato sangue era uscito. Questo poco ho voluto accennare qui intorno a questo soggetto riserbandomi a parlarne piú largamente in altre occasioni e massime intorno al pontificato di Lodovisio.

Oltre all’aver il papa voluto onorare la cittá di Ferrara devoluta alla santa sede con l’onore della porpora in persona di Bevilacqua, come io toccai di sopra, aveva anco di piú assegnato un luogo all’istessa cittá nel tribunale della rota di Roma, e l’aveva conceduto a monsignor Sacrato che prima era governatore di Fano, come pur s’accennò in altro luogo; e per soprabbondanza di benignitá aveva dato anco un luogo simile per un ferrarese fra gli avvocati concistoriali nella corte [p. 91 modifica] di Roma, nella qual corte per dimostrazione d’onore e di stima aveva parimente voluto che risedesse un ambasciatore per la medesima cittá di Ferrara nel modo istesso che in altri tempi era stato conceduto alla cittá di Bologna.

Ora tornando a Sacrato, quando io venni a Roma egli era di giá auditore di rota e si era introdotto nelle solite fatiche di quel tribunale. In esso poi continuò lungo tempo e sempre onoratamente, se bene con opinione d’essere stato uomo di fatica molto piú che d’ingegno. Fu poi ancor egli promosso da Gregorio decimo quinto al cardinalato; ma di lui similmente in altri luoghi nascerá occasione piú particolare che si tratti.

Dal tribunale della rota passo ora a quello della camera. Averò nondimeno da fermarvimi un poco, non mi ricordando se non di tre cherici che allora mi fussero rappresentati in qualitá riguardevoli. Questi erano monsignor Malvasia, monsignor Centurione e monsignor Barberino, tutti tre usciti di case nobili, di Bologna il primo, di Genova il secondo e di Fiorenza l’ultimo.

Malvasia era decano della camera e soggetto di molta stima per diversi impieghi dentro e fuori di Roma, ch’egli aveva con molta riputazione sostenuti, e specialmente quello di commissario apostolico della gente ecclesiastica in una delle spedizioni ch’erano state fatte in favore della lega cattolica in Francia.

Nel medesimo onorato concetto era medesimamente monsignor Centurione per varie fatiche da lui fatte molto lodevolmente in servizio della sede apostolica. Aggiungevasi in lui l’essere prelato molto ricco, e per le sue proprie commoditá e per quelle che godevano gli altri della sua casa; onde egli stava nella corte molto splendidamente e dava a conoscere che molto piú ancora averebbe fatto se alla dignitá della porpora egli fusse stato promosso, alla quale o per l’ostacolo della morte o per qualche altro accidente de’ tempi non potè giungere; benché, fatto presidente di Romagna e sopraintendente dell’acque di Bologna Ferrara e Romagna da Paolo [p. 92 modifica] quinto nel principio del pontificato, egli fusse entrato in ferma speranza di pervenirvi.

Ma se bene molto inferiore d’anni all’uno e all’altro di questi era però molto superiore a ciascheduno di essi nella riputazione ed aspettazione monsignor Barberino. Godeva ancor’egli commoditá molto larga di spendere e insieme era dotato d’un ingegno sí vivo e che lo rendeva sí abile specialmente alla poesia latina che le sue composizioni in tal genere correvano fin d’allora per le mani de’ piú eruditi con grandissimo applauso; onde per questi e per altri talenti giudicavasi dalla corte ch’egli fusse per salire molto presto agli avvanzamenti maggiori. Né riusci vana questa opinione, percioché egli poco dopo fu inviato dal papa nunzio straordinario in Francia; e poi fatto ordinario da Paolo quinto consegui ben tosto l’onore del cardinalato con diversi altri impieghi de’ piú onorevoli che possa dare la sede apostolica, e dopo Gregorio succedé nella pontificia dignitá nella quale dopo un corso di dieciotto anni tuttavia continua oggi felicemente a sedere. Ma perché in tante altre occasioni si stenderanno ampiamente queste memorie intorno alla sua persona, perciò qui solo basterá d’averne dato questo brevissimo cenno.

Dopo i chierici di camera seguono diverse altre sorti di prelature, che si comprano pur come i chiericati e che nel modo istesso hanno un prefisso numero, e nell’ultimo ordine de’ prelati succedono finalmente i referendari. Questo è inferiore ad ogni altro nella precedenza, ma è superiore nel numero non avendo limitazione alcuna, e si potrebbe eziandio chiamare superiore di qualitá perché in esso ordinariamente suole entrare tutta la gioventú piú nobile e piú fiorita d’Italia per introdursi a quel modo nel servizio della corte, e passare da un impiego all’altro o sia dentro o sia fuori di Roma; cosí pigliando da quel principio di mezzani progressi il salire poi, di mano in mano, all’avanzamento d’altre fortune maggiori.

Di tutti questi prelati inferiori il piú antico quando io venni a Roma era monsignor Ferrattino uscito di sangue molto onorato in Amelia, consumatissimo nelle signature in tutti i [p. 93 modifica] fori e in ogni maneggio piú grave e piú recondito delle materie legali; uomo che molto aveva dell’austero e poco del cortegiano, pieno giá di fatiche e d’anni, e insieme di riputazione e di merito, e che poi da Paolo nella sua prima promozione degli otto fu promosso al cardinalato, ma per onorare piú in lui la sepoltura che la persona, come aveva fatto Clemente in riguardo a Sasso.

A queste varie qualitá di prelati si possono aggiungere i camerieri del papa. Questi sono parte segreti e parte d’onore. Sogliono i primi essere della fameglia vecchia de’ papi quando erano cardinali, ed i secondi entrano dopo il pontificato a servire. Quelli ordinariamente sono pochi, ma di quelli ancora papa Clemente ne aveva assai buon numero e di famiglie molto qualificate, e fra loro ve n’erano similmente di nazione alemanna spagnuola polacca e fiamenga. Com’egli nella legazione con Alessandrino e poi nella sua medesima aveva veduta la maggior parte d’Europa, aveva perciò questa gloria ancora di vedersi attorno nel suo piú familiare servizio soggetti dell’accennate nazioni. Fra i soggetti de’ camerieri d’onore il cui numero è sempre molto largo, trovavasi allora una fioritissima nobiltá italiana e delle prenominate nazioni e d’altre di lá da’ monti. De’ camerieri italiani ne riuscirono poi in altri tempi tre cardinali, cioè Tiberio Muti nobile romano, Antonio Caetano nipote del cardinale Enrico nominato di sopra, ed io, benché il mio luogo fosse tra’ camerieri segreti, come giá dissi al principio. Degli alemanni nell’ultima promozione di tredici cardinali aveva di giá creato cardinale Dietristain ch’era suo cameriere segreto ancora e nobilissimo di Moravia; ed in altri tempi conseguirono la medesima dignitá il conte di Zolloren pur nobilissimo di Svevia, e Marquemont gentiluomo francese che prima era stato auditore di rota e poi arcivescovo di Lione.

In tutti gli ordini delle persone sudette dovevano senza dubio trovarsene in quel tempo diverse altre di merito e di stima, e delle quali per conseguenza io potrei qui fare qualche menzione particolare, ma confesso che dopo quaranta anni di [p. 94 modifica] tempo scorso non resta per l’una parte tanta memoria in me che basti per tale effetto; né dall’altra tanto nome che possa risvegliarla piú di quello che sino ad ora ha fatto: ancorché sono tanti i soggetti che io ho rappresentati e qui e di sopra in grado conspicuo di virtú e d’onore che un numero anco minore sarebbe bastato e basterebbe per eccitar a servire nella corte di Roma, a seguire i medesimi esempi ed a sperarne l’istessa recognizione. Che se bene tutte non sono né possono essere della porpora, nondimeno si devono stimare grandemente ancora tante nobili prelature nella corte di Roma e tanti principali governi nello stato ecclesiastico, e tante riguardevoli nunziature che in tutte le corti de’ prencipi obbedienti alla Chiesa, che vuol dire ne’ piú luminosi teatri della cristianitá, fanno godere il primo luogo e tante altre maggiori prerogative fra i ministri publici a quei della sede apostolica.

Restarebbe che io ora passassi al piú commune ordine della corte e che io facessi menzione di quei soggetti che in essa allora vi trovai di qualche stima particolare, o per considerazione di lettere o per altre abilitá di quei talenti che sogliono aprire piú di ordinario le strade in Roma per fare i passaggi da quest’ordine inferiore agli altri superiori nel modo che fu accennato di sopra. Ma perché il numero di tali soggetti era grande, e senza dubio la memoria non mi servirebbe a poter far menzione di tutti, perciò tralasciando ora qui di parlarne, mi serbarò a farlo quando mi nascerá l’occasione di vedere alcuno di essi o favorito dalla virtú o contrariato dalla fortuna. Queste sono le due lottatrici, come pur accennai, le quali pugnano insieme di continuo in questa scena d’onore facendo ogni sforzo per esaltare o deprimere scambievolmente ora quelli e ora questi secondo le occasioni che dall’una parte e dall’altra se ne presentano: benché non si possa mettere in dubio che la virtú prevaglia sempre nel numero de’ suoi seguaci aggranditi, e che dall’altra parte si vergogni ancora sempre la fortuna del poco applauso che ricevono sempre i suoi con l’aura e col favore di lei solamente esaltati. Grande è in effetto la guerra che in ogni luogo, [p. 95 modifica] in ogni tempo, e specialmente nella corte di Roma queste due potenze fanno tra loro, e nondimeno all’incontro si vede che non sono mai tanto nemiche l’una dell’altra che non si uniscano insieme spesso ancora nel favorire molti soggetti, i quali né la virtú sola senza il favore della fortuna né la sola fortuna senza l’aiuto della virtú avrebbono potuto alle maggiori grandezze intieramente condurre.