Memorie (Bentivoglio)/Libro secondo/Capitolo IV

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Capitolo IV

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Capitolo IV.

Vien continuato dal signor Cardinal Aldobrandino il suo viaggio di Francia, ma prima che altro si riferisca intorno alla sua negoziazione, mostrasi qual fosse la differenza che passava tra il re di Francia ed il duca di Savoia sopra il marchesato di Saluzzo.

Uscito che fu il cardinale Aldobrandino dalla Toscana, seguitò con ogni celeritá il suo viaggio per abboccarsi col duca di Savoia e poi trasferirsi alla sua negoziazione principale con il re di Francia. Ma perché s’intenda meglio tutto il successo di questa legazione, la quale veramente può giudicarsi per una delle piú memorabili che siano uscite dalla sede apostolica, io reputo necessario di riferire prima, con ogni chiarezza ma insieme con ogni brevitá, l’occasione della differenza che passava tra il re di Francia e il duca di Savoia sopra il marchesato di Saluzzo, al che io aggiungerò quanto piú brevemente sará possibile tutto quello che d’ordine del papa fu negoziato dal patriarca di Constantinopoli col re di Francia e il duca di Savoia, prima che il cardinale Aldobrandino partisse da Roma per l’accennata sua legazione. Ad osservare il principio il progresso ed il fine di questo maneggio che aveva tirati a sé gli occhi d’ognuno, io mi applicai specialmente allora con ogni piú viva industria e curiositá. Pareva che fosse mia gran ventura in quel mio primo anno di corte l’essere spettatore d’un sí alto successo, ed il poterne raccogliere un sí gran frutto per l’occasioni nelle quali fosse piaciuto a Dio in altri tempi di farmi passare dalla vita privata a qualche publico ministerio. Né rimasi ingannato da questa opinione, perché piú volte nelle mie nunziature di Fiandra e di Francia, ma particolarmente in Francia, quelle notizie mi riuscirono poi fruttuosissime in diversi affari di [p. 146 modifica] gran momento nei quali io ebbi occasione d’adoprarmi. Anche prima che il cardinale Aldobrandino partisse da Roma, la corte era piena di questa materia toccante il marchesato di Saluzzo, e come tutta la medesima corte era divisa in passioni cosí mostravasi tutta divisa parimente in discorsi. Altri parlavano in vantaggio del re di Francia ed altri in favore del duca di Savoia, col quale perché andavano uniti i parteggianti del re di Spagna la cui fazione era potentissima in Roma, perciò se il vincere la causa avesse dovuto consistere ne’ discorsi, da questa parte senza dubio si sarebbe riportata con poca difficoltá la vittoria. Frequentissime erano appresso il papa l’audienze de’ ministri publici, le quali erano piú straordinarie che ordinarie. Per la Francia il cardinale d’Ossat faceva le prime parti, e si trovava egli in grandissima riputazione per la sua lunga esperienza nella corte di Roma e per la singolare sua destrezza dottrina e capacitá. Né mancava il signor di Sillery di far le sue vigorosamente ancor’egli, poiché se bene era nuovo nella corte di Roma non era però nuovo nel maneggio de’ grandi affari, come io accennai di sopra, ed a lui s’appoggiava principalmente questo del marchesato. Era ambasciatore del duca il conte di Verrua venuto anch’egli a Roma di fresco, ma riputato pur similmente abilissimo ad ogni maneggio, ed aveva condotti seco due iurisconsulti de’ primi che avesse il duca in Turino. Sostenevasi egli principalmente con l’autoritá del duca di Sessa che giá molt’anni prima era ambasciatore del re di Spagna, e in somma riputazione appresso il papa e appresso tutti gli ordini della corte, non solo per la grandezza del prencipe ch’egli rappresentava ma pelle proprie qualitá che in lui risplendevano, come io giá accennai quando m’occorse a parlar di lui e della duchessa sua moglie. Da questi il papa era combattuto incessantemente, ciascuna delle parti sforzandosi di vantaggiar la sua causa appresso di lui per tutte le vie possibili, ma però senza riportarne mai se non, con gran sensi di pace, affettuosi consigli di padre e fervorosissime preghiere e ammonizioni di zelante giusto e commuti pastore. Affligevalo nondimeno [p. 147 modifica] incredibilmente il pericolo si manifesto che di nuovo quel miserabil fuoco di guerra potesse vedersi acceso, ch’egli non molto prima con sí gran beneficio della cristianitá e con tanto onore della santa sede e suo proprio aveva estinto. E veramente, considerandosi bene il negozio del marchesato, pareva quasi impossibile che la controversia fra il re e il duca potesse ricevere alcuna sorte d’aggiustamento. Mostravasi risolutissimo il re di Francia di voler in ogni modo rientrare in possesso del marchesato, e publicavano i suoi ministri ch’egli né per interesse né per riputazione averebbe mai consentito di restar come relegato di lá da’ monti, e senza quella porta che la Francia tanti anni aveva pacificamente goduta in Italia. All’incontro il duca di Savoia non meno risolutamente si dichiarava di non volere i francesi in casa né altro custode di quella porta che se medesimo, e questi erano sensi anche molto piú delli spagnuoli che propri suoi, in riguardo allo stato di Milano nel quale cadevano l’istesse considerazioni che nel Piemonte. Fra queste contrarietá sí tenaci come, dunque, poteva sperare il papa che riuscisse con felice esito questa legazione appoggiata massimamente al principal suo nipote, dal che per conseguenza veniva a nascere un impegno tanto maggiore della pontificai sua riputazione? Conosceva egli e considerava tutte queste difficultá, ma pieno di zelo apostolico non meno sperava di restarne superiore nell’occasione presente di quel che fosse rimasto in tante altre di gravissimi negozi passati, ch’egli aveva si felicemente condotto a fine, e perciò con la solita intrepidezza e constanza d’animo, e col solito ricorso a Dio in primo luogo, aveva voluto in ogni modo spedire il nipote a questo nuovo maneggio di pace, dicendo che se non bastasse lo spedirvi il nipote vi andarebbe egli stesso, e che l’impegnare l’autoritá apostolica in tali casi era farne Dio protettore, il quale saprebbe allora piú sostenerla che il secolo piú tentasse per altre vie d’abbassarla.

Ora vengo all’accennata mia narrativa. Avevano i marchesi di Saluzzo nei tempi a dietro come feudatari del Delfinato corsa per ordinario la fortuna del re di Francia, benché [p. 148 modifica] in diverse occasioni, secondo la diversitá de’ tempi, avessero ancora mostrato di riconoscere nella casa di Savoia la sovranitá dell’istesso feudo. Ma nel tempo del re Francesco primo, quando piú ardeva in Piemonte la guerra fra lui e l’imperatore Carlo quinto, essendo il marchese di Saluzzo d’allora, chiamato Francesco, passato improvisamente e con azione proditoria, come i francesi la nominavano, dal campo del re all’esercito dell’imperatore, gli aveva il re confiscato il feudo con dichiarazione ch’egli fosse caduto manifestamente in delitto di fellonia. Mancato poi senza figliuoli esso Francesco e del tutto estintasi ancora la successione della sua casa, avevano i re di Francia sempre goduto pacificamente il possesso del marchesato. E nella pace del millecinquecentocinquantanove fra le due corone in virtú della quale il duca di Savoia Emanuel Filiberto padre di Carlo era stato restituito al possesso della Savoia e quasi all’intiero possesso ancora del Piemonte, non aveva egli mossa pretensione alcuna sopra il feudo di Saluzzo incorporato di giá nella corona di Francia. In tanto erano succedute le turbolenze che in tanti modi e si miserabilmente agitavano quel regno, con la qual occasione il duca Emanuel Filiberto aveva con termini d’ogni miglior corrispondenza ricuperato dal re Enrico terzo tutto quello che rimaneva alla corona di Francia in Piemonte. Venuto poi egli a morte, e fatte ogni di maggiori le discordie civili che laceravano la Francia, successe negli stati il figliuolo Carlo nato di madama Margherita sorella dí Enrico secondo re di Francia, che aveva presa per moglie l’infanta Caterina secondogenita di Filippo secondo re di Spagna: onde cosí per queste come per altre simili splendidissime parentele che si aggiungevano a tante sublimi prerogative proprie della sua casa, tutto pieno di sangue regio e di spiriti in se stesso non meno regi, non poteva soffrire di non vedersi del tutto anche in regia condizione e fortuna; e da questi sensi tanto piú in lui s’accendevano gli spiriti per far ch’egli non solamente vi aspirasse col desiderio, ma perché dovesse procurar con tutti i mezzi possibili ancora di venire all’esecuzione. [p. 149 modifica]

Fra le terre piú considerabili del marchesato la piú forte e la piú importante era Carmagnola. Quivi da’ francesi veniva trattenuto il maggior presidio, quivi il maggior numero d’artigliarie con ogni altra piú abbondante provisione militare, e questa era come la piazza d’arme loro principale in tutto quel governo del marchesato. È distante Carmagnola da Turino tre ore sole di spedito viaggio; onde con tal vicinanza pareva al duca d’avere i francesi in casa, di udire continuamente il suono delle trombe e tamburri sotto Turino, e di portare in bocca un sí duro morso che gli facesse nella residenza sua propria ricevere le leggi in luogo di darle, e provar quasi piú la commune soggezione di vassallo che il vero proprio commando di prencipe assoluto. Al che s’aggiungeva il pericolo manifesto di vedere introdursi per quella parte del marchesato l’eresia di Francia in Italia, per dover aspettarsene prima nel Piemonte e poi nell’altre parti di questa nobilissima provincia dove risiede il capo universale della Chiesa, le medesime turbolenze e calamitá che ogni giorno piú orribilmente agitavano quel giá sí felice, sí potente e sí cattolico regno.

In Francia portava lo scettro allora il re Enrico terzo, ma con sí debole autoritá, che avendone usurpata una gran parte la fazione degli ugonotti, e un’altra non minore quella che similmente poteva chiamarsi fazione de’ cattolici, non riteneva egli quasi altro di re che la nuda apparenza e il nudo nome. Erano venute in mano agli ugonotti molte piazze importanti, con le quali avevano resa la lor fazione formidabile al re e alla contraria de’ cattolici, capo de’ quali, ma con autoritá quasi piú di re che di capo, era Enrico di Lorena duca di Guisa. Né si dubitava che egli, sotto specioso colore di servire alla Chiesa ed alla religione, con piú vero disegno non aspirasse di pervenire alla fortuna maggiore del regno per se medesimo; e nel successo delle baricate memorabili di Parigi era stato egli vicinissimo a giungervi, se avesse altre tanto saputo conoscere l’invito dell’occasione quanto l’occasione gli si era mostrata favorevole in presentarglielo.

Fra queste agitazioni del regno era cominciato l’anno [p. 150 modifica] millecinquecentoottantotto, nel quale fu presa risoluzione dal re di convocare a Bles gli stati generali, accioché in tal ragunanza, che rappresentarebbe il corpo intiero del regno, si potessero meglio trovar quei rimedi che si richiedevano alle tante sí gravi e sí pericolose infirmitá della Francia. Questo era il fine apparente; ma il vero disegno del re, come poi seguí, era per avere in mano con tal’occasione piú commodamente il duca di Guisa e non tardar piú a dargli la morte, stimando il re ch’egli con troppo giusta ragione potesse privar della vita chi voleva privar lui cosí ingiustamente del regno. Di ciò poteva il duca aver gran sospetto, ma troppo insuperbito di se medesimo del suo valore delle sue aderenze e della sua autoritá, e troppo gonfiato specialmente dalla fortuna, la quale secondo i soliti inganni ordiva la sua maggior caduta quando egli si aspettava la maggior sua esaltazione, stimava piú tosto suo gran vantaggio che il re venisse e ch’egli si trovasse in una tal ragunanza; sperava egli, e ne faceva ogni diligenza, di aver sí favorevoli li deputati dell’assemblea che l’autoritá del re sempre piú dovesse restarne abbattuta, e la sua all’incontro sempre maggiormente inalzata.

Venuto il re a Bles e ragunatavi la generale assemblea, non si erano quasi fatte le prime aperture de’ negozi che dovevano trattarvisi, quando ecco giungere inaspettatamente un rapido avviso, che dal duca di Savoia con repentino assalto erano state mosse l’armi contro il marchesato di Saluzzo, e che l’invaderlo e l’occuparlo era seguito in un medesimo punto. Succeduta l’azione, il duca procurò subito d’onestarla, e con quel senso che poteva essere piú plausibile a colorirla, scrisse in Francia e publicò in ogni altra parte ch’egli a ciò si era mosso per non lasciar introdurre l’eresia di Francia in Piemonte e nel resto d’Italia, che troppo ogni di cresceva in quel regno la potenza e l’ardir degli ugonotti, che troppo specialmente essi prevalevano in Delfinato, e che quando cessasse il pericolo egli rimetterebbe le cose ne’ primi termini. A tal nuova rimase attonito il re e non meno attonita l’assemblea. Era il duca di Savoia primo cugino del re. Fra l’uno e l’altro [p. 151 modifica] passava una piena pace, e di giá la Francia godeva un lungo e pacifico possesso del marchesato. Dalla qualitá del pretesto veniva resa tanto piú strana eziandio la qualitá dell’azione, perché non ostante la vicinanza del Delfinato sapevasi ch’era netto in ogni parte il marchesato dall’eresia, che tutti i governatori erano stati sempre cattolici come anche tutti i presidi, e che negli editti del regno a favor della libertá di conscienza restava chiaramente eccettuato il paese di qua da’ monti. In maniera che non si può esprimere quanta fosse l’indignazione che il re mostrò, e che mostrò l’assemblea medesimamente per un tale e sí inaspettato successo. Volevano i piú ben affetti verso il publico onore e benefizio del regno che, lasciate da parte le discordie presenti, subito si voltassero tutte le sue forze alla recuperazione del marchesato ed a farsi pentire il duca di Savoia di un’azione sí ingiusta e sí temeraria, ma presto s’intepidí quel primo impeto e risorsero piú che mai le domestiche dissensioni. Erano strettissime le corrispondenze che il duca di Guisa manteneva col re di Spagna, e sapevasi ch’egli molto strettamente ancora s’intendeva col duca di Savoia, onde il re venne in ferma credenza che Guisa fosse stato partecipe di tutta questa azione di Savoia e che Savoia non l’averebbe pensata non che eseguita senza il calor di Spagna, e senza queste occulte corrispondenze di Francia. Fermatosi dunque il re tanto piú ne’ suoi primi sensi contro il duca di Guisa, risolvè di non tardare piú a levargli la vita, e nelle proprie camere e quasi sugli occhi propri lo fece ammazzare da alcune delle sue guardie.

Restò l’assemblea maravigliosamente commossa da questo altro pur sí grande sí strano e sí inaspettato successo che quasi al medesimo tempo nasceva nel cuor della Francia, e nondimeno il re con molte vive ragioni averebbe potuto sperar di giustificarlo o per lo meno d’addolcirlo, se contento di questa morte non avesse il giorno dopo con troppo grand’empietá e fierezza fatta succedere l’altra del cardinale di Guisa fratello del duca, e insieme la prigionia del cardinale di Borbone, prencipe venerabile non solo per la medesima dignitá del [p. 152 modifica] cardinalato, ma ancora per la prerogativa particolare che gli dava il suo regio sangue la sua canizie la sua bontá e la candidezza delle sue azioni. Al medesimo tempo il re fece pur’anche imprigionare l’arcivescovo di Lione prencipe di Francia, soggetto insigne per altre molte sue qualitá riguardevoli, e che era per l’ordine ecclesiastico il principal deputato nell’assemblea. Furono ricevute in essa con sommo orrore queste seconde esecuzioni sí fiere contro persone ecclesiastiche sí eminenti, e queste fecero tanto piú crescere l’orrore della prima contro il duca di Guisa, prencipe di valor singolare, amato incredibilmente e riverito da tutti li cattolici e per commun lor opinione riputato il principal rifugio e sostegno loro.

Dunque, rottasi piú tosto che finitasi l’assemblea, non tardarono molto a sopravenire quegli orribili movimenti per tutto il regno che produssero la lega memorabile de’ cattolici, e che si tirarono ben tosto dietro in sí tragica forma l’atroce e miserabil morte del re medesimo. Dopo lui era chiamato alla successione Enrico quarto re di Navarra come primo prencipe del sangue, ma che per essere capo e fautore degli ugonotti aveva contrari generalmente per tutto il regno i cattolici. Intanto s’era fatta potentissima la lega loro dentro il regno, e di fuori veniva anche favorita con gli aiuti della sede apostolica, ma principalmente con le forze del re di Spagna. Né stava ozioso il duca di Savoia dalla sua parte: anzi valendosi della congiuntura non solamente egli non pensava a restituire il marchesato di Saluzzo, ma spintosi con l’armi nella Provenza faceva in essa altri nuovi progressi, come anco procurava di fargli nel Delfinato e nel Lionese, provincie le piú vicine alla sua propria di Savoia. In tante e sí grandi opposizioni interne ed esterne, mostrava un animo invitto il re di Navarra, ma finalmente egli conobbe che a superarle non vi era altro rimedio che il dichiararsi cattolico, e ciò fu eseguito da lui prima in Francia e poi nella debita forma in faccia del sommo pontefice e del sacro collegio de’ cardinali, che voleva dire sugli occhi di tutta la Chiesa, ricevendone una piena assoluzione apostolica, ed in quel piú solenne modo che poteva [p. 153 modifica] richiedere un sí alto e sí memorabile successo. Nel giorno decimo settimo d’agosto dell’anno millecinquecentonovantacinque seguí tal’azione, giorno senza dubio de’ piú felici che la cristianitá mai godesse, poiché riuniva sí grande e sí poderoso regno con la Chiesa con la santa sede e con gli altri membri del corpo universale cattolico: giorno pur’anche di somma gloria al pontefice Clemente, il quale seppe con tanto zelo con tanta prudenza e con sí magnanimo cuore superare le difficoltá che in tante maniere una tal riunione aveva incontrate; ma giorno che renderá chiarissima per ogni tempo in particolare la memoria di due soggetti cosí eminenti in dottrina e virtú cosí benemeriti della Chiesa come furono Ossat e Peron, i quali facendo offici di regi procuratori, con somma fede vigilanza e destrezza maneggiarono e conclusero al fine un sí arduo e importante negozio, riportandone in ricompensa poi l’uno e l’altro per mano dell’istesso pontefice, benché in vari tempi, la dignitá del cardinalato.

Ma benché, dopo essersi dal re tanto solennemente professata la fede cattolica, egli avesse poi con somma gloria e felicitá domate le fazioni interne del regno, non poteva ancora, però, egli sedere con piena quiete e stabilitá nel soglio reale per l’impedimento che gliene davano l’armi esterne del re di Spagna. E per questo medesimo rispetto non poteva applicarsi alla ricuperazione del marchesato di Saluzzo, ed a ben risentirsi contro il duca di Savoia come era il suo principale desiderio e disegno. Procuravasi dal pontefice in questo mezzo con sommo ardore che, sí come era seguita per le sue mani con tanta felicitá la riunione del re di Francia con la sede apostolica, cosí potesse felicemente ancora succedere col mezzo suo quello che per benefizio della cristianitá si doveva desiderare che fra le due corone si stabilisse. A tale effetto aveva egli spedito in Francia con titolo di legato il cardinale di Fiorenza, il quale era poi venuto a Vervino, terra neutrale fra le due frontiere di Francia e di Fiandra, e quivi si erano ridotti parimente appresso di lui li deputati dell’una e l’altra parte. Col re di Spagna facevano come una causa medesima [p. 154 modifica] l’arciduca Alberto per gl’interessi di Fiandra e il duca di Savoia per quelli del marchesato; ma quanto si mostrava l’arciduca disposto a restituire Cales e tutte l’altre piazze che li spagnuoli avevano levate alla Francia in quelle agitazioni del regno, altretanto mostravasi alieno il duca di Savoia dalla restituzione del marchesato in qualsivoglia forma che sopra ciò gli si proponesse. Non si fermava egli piú in quella sola ragione ch’aveva riguardo a non lasciar introdurre l’eresia di Francia nel Piemonte e nel resto d’Italia, ma con molte altre egli era uscito fuori manifestamente a pretendere che il marchesato per giustizia gli appartenesse. Di ciò mostravano somma indignazione li deputati francesi, e non meno anch’essi risolutamente dichiaravano che il re loro mai non sarebbe condesceso alla pace se prima, con la restituzione del marchesato, non si riducessero le cose ne’ primi termini. Riusciva quasi inestricabile questo nodo, e piú volte per tali cagioni si tenne rotto il trattato. Ma perché i due re inclinavano ugualmente alla pace, e il legato per gli ordini strettissimi che aveva dal papa faceva ogni possibile sforzo per superare le difficultá, convennesi finalmente che intorno alla differenza del marchesato si facesse un compromesso nel papa, il quale dentro allo spazio d’un anno dovesse per giustizia intieramente deciderla e terminarla. Con questo ripiego fu conclusa la pace. E questa, in ristretto, era la differenza che passava tra il re di Francia e il duca di Savoia sopra il marchesato di Saluzzo, quando il negozio venne in mano del papa.