Memorie storiche della città e del territorio di Trento/Parte seconda/Capo XVIII

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C A P O XVIII.
Memorie Storiche dall’anno 1756
fino all’anno 1763.

Abbiamo detto, che dopo la rinunzia del Coadjutore Principe di Firmian fu eletto in suo successore Francesco Felice de’ Conti Alberti de Enno. Egli nacque in Trento li 4 Ottobre 1701. Dopo aver fatti i primi suoi studj in patria, e poi apprese le scienze ecclesiastiche in Roma divenne l’anno 1724 Canonico della Cattedrale di Trento, ed eletto fu li 6 Marzo 1756 alla dignità suddetta di Coadjutore ed Amministratore plenipotenziario cum futura successione, e ne prese il possesso lo stesso anno 1756 li 25 Ottobre. I voti degli elettori erano da principio divisi, de’ quali non pochi stavano in favore del Cardinale Cristoforo Migazzi Arcivescovo di Vienna, ch’era pure Canonico di Trento, e che avrebbe di buon grado aggiunta alle altre sue dignità anche quella di Vescovo e Principe della sua patria; ma la pluralità dei suffragi essendosi già dichiarata per Francesco Felice, tutti in fine si unirono ad eleggerlo concordemente, e la sua elezione fu [p. 175 modifica]accompagnata dall’applauso di tutta la città, e da non poche dimostrazioni della pubblica gioja. Essendo morto li 7 Settembre 1758 il Vescovo Principe Dominico Antonio, e venuto perciò il caso della futura successione Francesco Felice divenne, senza che altre formalità vi abbisognassero, Vescovo Principe di Trento, e fu investito delle Regalie del suo Principato li 27 Settembre 1759 dall’Imperatore Francesco I. Egli accolse li 18 Settembre 1760 nel Castello di sua residenza in Trento, e trattò con isplendido apparato la Reale Infanta di Parma Isabella, che recavasi in Vienna come sposa del Reale Arciduca Giuseppe poscia Re ed Imperator dei Romani.

Francesco Felice approvò tutte le sagge leggi e costituzioni del suo antecessore Principe di Firmian, e le fece da tutti religiosamente osservare; se non che egli sciolse ed abolì il concistoro ecclesiastico, che il suo antecessore aveva eretto, del quale non eravi mai stato ne’ passati tempi l’uso in Trento, e vi ristabilì la consueta carica di Vicario generale negli affari ecclesiastici. Egli era peritissimo delle cose patrie, e compilò di sua mano e distese, mentre era Canonico, un’ampio repertorio di tutte le carte e di tutti i documenti esistenti nell’Archivio capitolare. Egli dimostrò in ogni occasione la più grande fermezza d’animo ed un invitto coraggio nel difendere e sostenere i diritti della sua dignità, sia come Vescovo, sia come Principe; ma [p. 176 modifica]fu troppo breve il suo regno, perchè non durò che soli sei anni essendo morto li 31 Dicembre 1762 nella età solo d’anni sessant’uno. Egli veniva tacciato di grettezza e di spilorceria; ma convien osservare a sua lode, ch’egli non mirò mai all’arricchimento di sua famiglia, ma unicamente al vantaggio e bene dello Stato, e che nel breve periodo di sei anni egli pagò una considerabile somma di debiti, di cui era aggravata la Camera o Mensa episcopale, ed ornò con una nuova facciata il vecchio Castello del Buon-Consiglio.

Noi non dobbiam qui tacere due memorabili avvenimenti, che seguirono durante il suo governo, e ne’ quali egli dimostrò luminosamente quel fermo animo, che abbiam sopra accennato, e che all’alta sua dignità convenivasi. L’anno 1760 era uscito alla pubblica luce un opuscolo senza nome d’autore portante il titolo di Lettera seconda d’un Giornalista d'Italia ad un Giornalista oltramontano. In questa Lettera veniva offeso in varie guise il nome e l’onore del Cardinale Cristoforo Madruzzo, ed adducevasi l’autorità di Natale de’ Conti, dal quale nelle sue storie il Cardinal Cristoforo venne chiamato: Vir rei militaris et probabilium rationum ignarus, nimis simplex, nimisque facilis ad oblata quœque credenda, appoggiato alle quali l’anonimo autor della lettera, ch’era l’Abbate Girolamo Tartarotti, osò dire, che il Cardinal Cristoforo Madruzzo era un [p. 177 modifica]Midollonaccio. All’autorità di Natale de' Conti, che forse mai non vide, nè conobbe il Cardinal Cristoforo Madruzzo, si oppongono diametralmente le testimonianze dei più illustri personaggi e degli autori più insigni di quel secolo, tra le quali noi addurremo in primo luogo quella del celebre Presidente de Thou chiamato in latino Thuanus, il quale comunemente fu riguardato come il principe degli storici dell’età sua. Questi nel libro 65 della sua storia pag. 255 così scrive di lui: «Ultimum vitæ diem clausit Christophorus Madruccius, cujus sæpius in libris superioribus facta mentio est, summis negotiis sub Carolo V. Cæsare et Philippo ejus filio in Germania et Italia præpositus, liberalitate, comitate, litterarum ac litteratorum amore, ingenii denique candore cum paucis comparandus. Quod citra fucum earum, quas in eo celebramus, virtutum incorrupti testes, benignitatemque tanti viri sæpius, dum Romæ in Pauli Foscii omni laude dignissimi comitatu essemus, experti scribimus.» Nel volume terzo delle Notizie istorico-critiche della Chiesa di Trento veggonsi raccolte ben molte lettere tratte dall’Archivio Episcopale, ove trovavansi in originale, prima che quell’Archivio per le rivoluzioni politiche venisse altrove trasportato, dirette al nostro Cardinal Cristoforo Madruzzo, tra le quali notabili sono quelle dell’allora Cardinale S. Carlo Borromeo, del Cardinal Farnese, del [p. 178 modifica]Marchese Luigi Gonzaga, di Leandro Alberti, da cui vien chiamato maximis ingenii virtutibus ornatus, et ingeniorum ac doctorum hominum cultor maximus, del celebre Andrea Mattioli, il quale tra le altre doti del Cardinale loda la sua prudenza, il maturo consiglio, la prontezza dell’ingegno, la facondia del parlare, e la cognizione delle scienze. Nel citato libro leggonsi ancora sonetti e versi, in cui si presagiva al Cardinal Cristoforo il Sommo Pontificato, più lettere del celebre Cardinal Sadoletto piene della più profonda stima verso il Cardinal Cristoforo, nelle quali il chiama doctissimuns, omnique dignitate et prudentia ornatissimum. Nell’altro libro intitolato Monumenta Ecclesiæ Tridentinæ pag. 203 e segg. una raccolta copiosissima si legge di scrittori d’ogni genere, che nelle loro opere italiane e latine fecero i più grandi encomj del sapere, dell’ingegno e delle altre luminose virtù, delle quali il Cardinal Cristoforo Madruzzo era adorno; ma una raccolta ancora più ampia ne fece il Padre Lazzaro de Gasperi Domenicano nativo di Levico in un suo libro intitolato Difesa del Cardinale Cristoforo Madruccio contro Natale de' Conti uscito alla luce in Venezia l’anno 1763 dal negozio Zatta, nel quale oltre le lettere del Cardinal Sadoletto, quelle ancora rapportansi del Cardinale Reginaldo Polo, da cui apparisce la stima grandissima e l’amicizia, che da questo pure professavasi al Cardinale Cristoforo [p. 179 modifica]Madruzzo. Qual conto dunque dovrà farsi delle parole di Natale de' Conti, che niuna prova e niuna testimonianza adduce di ciò che temerariamente asserisce? Troppo è noto, quanto sia facile, che uno scrittore si lasci trasportare dalla brama di piacere a’ suoi leggitori con pungere e motteggiare anche i personaggi più illustri. Dice Tacito: «Obtrectatio et livor pronis auribus accipiuntur, quíppe adulationi fædum crimen servitutis, malignitati falsa species libertatis inest.»

Dalle cose fin qui dette bastantemente apparisce, quanto a torto l’Abbate Tartarotti abbia osato chiamare col nome di Midollonaccio il Cardinale Cristoforo Madruzzo. Aggiungasi a tutto questo, che il nostro Cardinale godeva la stima nel più alto grado dell’Imperator Carlo V., e del Re Filippo suo figlio avvedutissimi conoscitori delle persone e del loro merito: che a lui fu affidata in difficili tempi l’importantissima carica di Governator di Milano: ch’egli godeva eziandio la più grande stima dei Sommi Pontefici, de’ quali fu più volte Legato a latere, e che morì Legato della Marca d’Ancona: che in fine egli fu incontrastabilmente e pel sapere e per le più eminenti doti uno de’ più insigni ed esimi personaggi del suo secolo. Nella mentovata Lettera d’un Giornalista d’Italia l’Abbate Tartarotti molte altre cose disse, e sparse qua e là in dispregio della città di Trento, e non è maraviglia, se, allorchè questa [p. 180 modifica]Lettera comparve alla luce, ella movesse l’indegnazione della città tutta, e del suo Principe Francesco Felice. Esaminato e discusso l’affare nell’Eccelso Consiglio aulico si pronunziò da questo tribunale un decreto ordinante, che il libro o la lettera, di cui parliamo, debba essere pubblicamente abbruciata per mano del carnefice. In conseguenza di questo decreto fu innalzato nella piazza del Duomo un gran palco, su cui salito il carnefice, e preso per mano il libro, e strappando da esso tutte le pagine ad una ad una tutte le consegnò alle fiamme gettandole nel rogo, che a quest’oggetto ivi era acceso, tra le acclamazioni e gli applausi del popolo, che in folla era accorso a questo nuovo spettacolo.

L’Abbate Tartarotti trovavasi allora gravemente infermo, e morì pure poco dopo; ma si ebbe cura, ch’ei non venisse punto a sapere ciò che contro di lui erasi fatto in Trento. Allorchè scrisse e pubblicò quel libro, egli era di mal umore contro Trento per varie cagioni, ch’è inutile il qui riferire, e diede con esso una prova della debolezza umana, nè mancano già esempi d’altri scrittori per altro commendevolissimi, che cedendo al risentimento dell’animo ascoltarono più le voci della passione che quelle del vero.

Morì il Tartarotti in Roveredo nel mese di Maggio 1761 nell’età di soli anni cinquantacinque. Il Consiglio civico della sua patria gli decretò dopo morte solenni pubblici [p. 181 modifica]funerali, e sepolcrale lapide rappresentante a basso rilievo la di lui effigie con iscrizione, e nel tempo stesso fu pure resa pubblica colle stampe una raccolta di varj componimenti poetici recitati in una pubblica adunanza a di lui lode insieme con una bella ed eloquente orazion funebre composta dal ch. Abbate Gio. Battista Graser Roveretano, pubblico professore allora di Etica nell’Università d’Innsbruck. Il busto di Tartarotti fu posto nella chiesa parrocchiale di S. Marco, e l’iscrizione scolpitavi al disotto era la seguente:


D. O. M.
Hieronymo . Tartarotto
Francisci . Ant . F.
Serbato
Poetæ . Philologo . Ac . Critices
Cultori . Eximio
Vario . Scriptionis . Genere
Multisque . Editis . Operibus
Magni . Cum . Ingenii . Tum . Eruditionis
Laude . Apud . Literatos . Nominis
Civi . Suo
Ex . S . C . Roboretani . P . P.
An . Ær . Vul . CIƆ IƆCC LXI
V . A . LV . M . IV . XVI . Ob . XVII . Kal . Jun.

Pervenuta di tutto questo la notizia al Principe Vescovo Francesco Felice, ei fè sapere ai Provveditori ed al Consiglio civico di Roveredo, che non potea permettere nella chiesa [p. 182 modifica]parrocchiale il busto di Tartarotti postovi senza la sua autorità ed il suo consenso, e che perciò se non fosse di là levato prontamente, egli avrebbe sottoposta quella chiesa all’Interdetto. I Provveditori ed il Consiglio civico risposero, che tutto quello ch’essi avevan fatto, era stato prima approvato dalla suprema autorità del Governo rappresentante sua Maestà l’Imperatrice Regina, e che perciò non potean risolversi a fare ciò che veniva lor dimandato. Francesco Felice proferì allora contro la chiesa parrocchiale di S. Marco il solenne decreto dell’Interdetto, e l’Arciprete ed il Clero di Roveredo eseguendo gli ordini del loro Vescovo dopo averli in un giorno di festa annunziati dal pulpito al popolo trasportarono processionalmente il sacro Tabernacolo in altra chiesa, e chiusero le porte di quella di S. Marco, affinchè niuno potesse più entrarvi. Questa solenne funzione commosse da principio gravemente il popolo, ma ne fu sedata ogni sommossa col rappresentargli, che la chiesa verrebbe ben presto riaperta, e tolto ogni Interdetto. L’Imperiale Regia Corte di Vienna dopo essere stata dal Consiglio civico di Roveredo informata di questo avvenimento ordinò, che sieno poste in sequestro tutte le rendite, che il Principe Vescovo di Trento possedeva nel territorio austriaco con significargli, che questo sequestro non sarebbe levato, se non dopo ch’egli avesse levato l’Interdetto contro la chiesa parrocchiale [p. 183 modifica]di Roveredo. In tale stato di cose Francesco Felice spedì alla Corte di Vienna come suo Inviato Monsignor Passi suo Suffraganeo e Preposito della Cattedrale, che agli altri pregi, di cui era adorno, univa pur quello d’una somma destrezza e sagacità nel maneggio dei pubblici affari. Monsignor Passi recatosi in Vienna presentò a sua Maestà l’Imperatrice Regina Maria Teresa una rispettosa memoria, in cui erano esposte le ragioni, per le quali il Principe Vescovo di Trento erasi veduto costretto dai doveri più sacri dell’episcopale suo ministero a lanciare contro la chiesa parrocchiale di Roveredo l’Interdetto, di cui trattavasi. Dopo essere stato in Vienna nuovamente discusso quest’affare quell’immortale Sovrana ordinò, che il busto di Tartarotti sia levato dalla chiesa, in cui ritrovavasi, e trasportato colla iscrizione appostavi nel Palazzo pretorio di Roveredo, ed ivi in conveniente luogo collocato: che ciò fatto il Principe Vescovo liberi la chiesa parrocchiale dall’Interdetto, e vengano poi al medesimo restituite, tolto ogni sequestro, le rendite, ch’ei possedeva nel territorio austriaco. Tale fu l’esito di questo memorabile avvenimento, il quale, se fu un compiuto trionfo pel Vescovo Principe Francesco Felice, fu però ad un tempo stesso pienamente onorevole per la città pure di Roveredo.