Misteri di polizia/XXXII. Niccolò Tommaseo

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XXXII. Niccolò Tommaseo

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XXXI. La Società Letteraria XXXIII. Giuseppe Giusti

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CAPITOLO XXXII.

Niccolò Tommasèo.

Chi per lungo tempo trovò fieramente nemica la Polizia toscana fu Niccolò Tommasèo. Si stenterebbe a crederlo: pure fu così. Mentre il Guerrazzi, scrittore di libri che suonavano ruggiti di libertà, meno pochi mesi di confino e poche brevi detenzioni in carcere o in fortezza, se ne viveva tranquillamente a Livorno; mentre G. B. Niccolini poteva scrivere e far rappresentare in paese un teatro tragico informato a sentimenti d’indipendenza nazionale; mentre Giuseppe Giusti, sotto un velo trasparentissimo, poteva mettere alla gogna principi e ministri; Niccolò Tommasèo, benchè professante un cattolicismo, che il Guerrazzi, il Niccolini e il Giusti avversavano, ispirò sempre un sacro orrore ai governanti della Toscana, i quali non gli riaprirono le porte del Granducato, che quando credettero d’aver le prove che il lupo insieme al pelo aveva cambiato il vizio.

Naturalmente il Tommasèo, cattolico, ma repubblicano, come non aveva cambiato il pelo, così non aveva cambiato il vizio; e il quarantotto lo dimostrò.

Della parte presa dal Tommasèo alla redazione dell’Antologia, abbiamo già parlato; e forse la famosa parentesi da lui incastonata in un periodo dell’articolo sulla traduzione di Pausania, e sfuggita alla censura e alla Polizia, sarebbe stata dimenticata dal Governo toscano colla sua solita indolenza, se il Tommasèo, sospettando un patto fra la Polizia toscana e quella austriaca e diretto a consegnarlo al Governo cesareo, non avesse abbandonato clandestinamente Firenze. Difatti è inesatto quanto comunemente viene creduto, cioè, che il Tommasèo, in seguito alla soppressione del giornale del Vieusseux, fosse bandito dal Grandu[p. 264 modifica]cato. Venuto in Toscana nell’ottobre del 1827, egli si stabilì in Firenze; e come tutti i forestieri dimoranti nel Granducato, ottenne facilmente la carta di soggiorno, dapprima per due mesi, poi colla garanzia del Vieusseux, per sei mesi, sempre, alla scadenza, rinnovata. Avvenuta nel marzo del 1833 la soppressione dell’Antologia, al Tommasèo non fu ritirata la carta di soggiorno che gli era stata prorogata per l’appunto il 22 marzo, cioè, tre giorni prima del decreto di soppressione del giornale. Veramente il Governo avrebbe potuto subito ritirargliela, ma aspettò che scadesse per far sapere al Tommasèo, come d’allora in poi sarebbe stato impossibile accordargli una proroga. Difatti, risulta da una nota dello stesso Presidente del Buon Governo in data del 14 ottobre 1834, che il 12 ottobre 1833, cioè sette mesi dopo la soppressione dell’Antologia ed un mese dopo la scadenza della carta di soggiorno, il Tommasèo implorò una ultima proroga d’un mese allo scopo di poter sistemare i propri affari: e fu esaudito.

E scaduta la proroga di grazia, il Governo avrebbe chiuso gli occhi, come quasi ordinariamente in tali casi faceva, se il Tommasèo non avesse abbandonato clandestinamente la Toscana per rifugiarsi dapprima a Lucca, poi a Ginevra, dove cercò e conobbe il Mazzini, e infine a Parigi.

Furono precisamente i tentativi da lui inutilmente fatti per intendersi col Mazzini e gli scritti liberalissimi pubblicati in Francia, non che il decreto che lo proscriveva dall’impero austriaco, che resero ostile allo scrittore il Governo toscano. Quanto al sospetto sorto nell’animo del Tommasèo che i ministri del Granduca avessero già disposta l’estradizione di lui, esso non fu che un sospetto dello scrittore, e niente altro; nato, probabilmente, dalla stessa mitezza di modi adoperati verso di lui negli ultimi mesi del suo soggiorno a Firenze, e da esso interpretata come una specie di tranello preparatogli dal Fossombroni allo scopo di dar tempo alla cancelleria aulica e al ministro toscano d’ultimare le pratiche preparatorie alla consegna. Nel fatto, non si parlò mai d’estradizione; e se il Governo toscano tollerò che il Tommasèo, soppressa l’Antologia, restasse [p. 265 modifica]a Firenze, e spirata la carta di permanenza, vi soggiornasse ancora, fu perchè il ministro cesareo, dopo d’aver preso fuoco affinchè il Tommasèo fosse cacciato in bando, quando l’autore del Dizionario dei Sinonimi gli presentò il passaporto pel visto, trattenne quello e non accordò questo; e ciò non perchè, osservava la Presidenza del Buon Governo, si maturasse qualche cosa contro la libertà dello scrittore, ma perchè lo stesso ministro austriaco, smesse le prime furie, non sapeva più che pesci pigliare.

Ma, come abbiamo detto, il Tommasèo, interpretata sinistramente l’indecisione del ministro imperiale, lasciò senza passaporto la Toscana.

Ricoveratosi a Ginevra, cercò subito di mettersi in relazione col Mazzini, e l’ottenne.

Il Mazzini, colpito allora da un editto di sfratto dal cantone di Ginevra, se ne viveva nascosto in casa di un amico.

Qui il grande agitatore accolse il Tommasèo, a lui noto sopratutto per la parte avuta nella catastrofe che aveva colpito l’Antologia. Il genovese e il dalmata non si videro che una sola volta, ma con nessun frutto, senza che il primo potesse comprendere il cattolicismo soppannato di repubblicanismo del secondo, nè il secondo la repubblica con un Dio troppo campato fra le nuvole dell’altro. Il colloquio che ebbe luogo fra loro ci è narrato dallo stesso Mazzini in una lettera diretta alla sua tenera amica Giuditta Bellerio:

„Genéve, 2 avril 1834.

„Tu n’as donc pas reçu la lettre qui te parlait de mon entrevue avec Thomas (Tommasèo)....

· · · · · · · · · · · · ·

„Pour Thomas (Tommasèo) je ne l’aime pas..... Je [p. 266 modifica]crois qu’après deux heures de conversation, nous nous sommes séparés fort énnuyés l’un l’autre. Il m’a parlé de réligion et politique. Christianisme à la Manzoni. Le christianisme se meurt pour moi: le catholicisme est mort. Je le lui dis bonnement. Il s’en est fâchè-presqu’il voulut soutenir sa thése. Je le renvoyais à un an de séjour en France pour se convaincre, s’il était possible, de ranimer un cadavre. Il me domanda ce qui je voulais substituer. Je lui dis que il n’était pas mon rôle à moi, ni à un individu quelconque de le faire; mais bien au premier peuple qui vaudrait ou pourrait se constituer dans la pratique rèvelateur de la loi morale qui regit les destinées de l’humanité. Là finit notre discussion sur le point.... Je le crois sans idées bien arrêtées; enfin, j’avais plus d’estime de ses facultée avant, que après.„


Questa lettera conosciuta dal Gabinetto nero, mise la Polizia al corrente dei passi fatti dal Tommasèo, appena uscito di Toscana, per accostarsi a colui che in quei giorni, cioè, all’indomani della spedizione di Savoia, era ritenuto come il nemico più serio e più terribile dei troni della vecchia Europa. Passato a Parigi, lo scrittore dalmata non fu perduto di vista dalla Polizia, specie che parecchi ragguagli sull’amministrazione e sugli uomini di Stato della Toscana comparsi sui giornali francesi, si credeva che fossero farina del suo sacco. Infatti, il Commissario di Santa Croce, il 20 maggio 1834, scriveva alla Presidenza del Buon Governo: „Aumentano le ingiurie sui giornali francesi contro il Governo toscano. Io credo che sia l’opera di G. B. Vieusseux, del marchese Gino Capponi, e Cosimo Ridolfi e del famigerato greco (sic) Tommasèo, scomparso nei mesi decorsi improvvisamente dalla Toscana e stabilitosi a Parigi.„

Intanto, gli scritti che il Tommasèo andava a mano a mano dando fuori, riuscivano ostici al Governo granducale. L’antico redattore dell’Antologia, col suo stile epigrammatico, faceva le sue vendette. Del libro: Opuscoli Inediti di frà Girolamo Savonarola. Italia, di cui già abbiamo parlato, il Fabbrini, segretario generale del Buon Governo, così [p. 267 modifica]scriveva il 19 dicembre 1835: „È comparso e circola con estrema riserva un libro intitolato: Opuscoli ecc. Imprimerie Pressant, Rue des Bons Enfans, Paris. Si sa da persona che ha potuto procurarsene un esemplare per venti lire, che questo libro è del noto Tommasèo ed è un complesso di ragioni, d’assurdi, di verità, di bestemmie, di bene e di male. È scritto con forza ed energia atte ad esaltare la mente e il cuore dell’incauta gioventù. Parlando del Governo di Roma, così si esprime: „Il papa le sacerdotali divise rigettando, si faccia cavaliere, consigliere; di monaco, re; capitani, uffiziali gli sieno i cardinali; caporali i vescovi ed il fumo dei fucili succeda alle nubi d’incenso; sieno mine le catacombe dei martiri.„ Parla d’Italia e di tutti i governi italiani con sommo disprezzo. Il capitolo sulla Toscana incomincia così: „Il nome di Leopoldo I, despota riformatore, il nome di Ferdinando III, uomo provato dalla sventura, indulgente per natura e per arte, la timida inerzia di Leopoldo II, stabilivano nelle durezze degli altri governi la fama del toscano di soave e di benigno.„ In altro capitolo dice: „I preti s’invochino raccomandatori d’onesta libertà, sostenitori del popolare coraggio... Preti indegni, la libertà tradiscono a Dio.... Preti ingannatori vendono Dio a libertà nemico.... Preti dall’autorità rattenuti o ingannati, le appariscenti ragioni al nostro desiderio contrastano; non ci perdiamo a zuffar coi primi, sterminiamo i secondi, gli ultimi disinganniamo, eccitiamo.„

Tutto ciò non metteva certamente sotto buona luce lo scrittore dalmata, quando questi, fidando forse di soverchio nella timida inerzia del Granduca e dei suoi ministri, nel 1839, implorò, essendo stato compreso nell’ammistia conceduta dal nuovo Imperatore d’Austria, che gli si permettesse di ritornare in Toscana, dalla quale, peraltro, mai era stato bandito. Il 21 febbraio, la Segreteria di Stato trasmetteva la domanda del Tommasèo al Presidente del Buon Governo perchè questi intorno alla medesima esprimesse il suo parere. Trasmessa dal Bologna al Commissario di Santa Croce per informazioni, ne riceveva il seguente rapporto riservatissimo in data del 13 marzo: „Il consaputo N. Tomma[p. 268 modifica]sèo, di Dalmazia, dottore in legge, fin dal 1827, si recò in Toscana e non ebbe appena fissato la sua dimora fra noi, che seppe offrire non equivoci contrassegni onde reputarlo un deciso ed infetto liberale ed un caldo partigiano della propaganda rivoluzionaria. S’associò subito al noto sig. G. P. Vieusseux, che divenne il suo amico del cuore ed era nel Gabinetto Letterario, che, nei pericolosi tempi testè andati, si tenevano del continuo tenebrose e temibili congreghe, di cui il Tommasèo poteva considerarsi l’anima. Stava altresì allora in corrispondenza coi primari liberali della capitale come coi più famigerati agitatori d’Italia, non escluso il celebre Mazzini.

„Il nome di Tommasèo deve essere.... assai conosciuto da codesto superiore Dicastero, per essersene dovuto occupare in epoca non remota, quando si andava prognosticando prossimo il trionfo delle odierne dottrine. Ed avendo ora raccolto altre notizie sopra di lui, mi sono dovuto persuadere e convincere che in questo Tommasèo bisogna assolutamente riguardare un soggetto dei più sediziosi e terribili, ed un accanito nemico dei governi costituiti, segnatamente d’Italia.... Era esso uno degli scrittori dell’Antologia. Trascorreva già molto tempo che questo foglio, deviando dal primitivo suo scopo, andava rendendosi un giorno più dell’altro insidioso, con disgusto ed apprensione del Governo, quando alla fine bisognò che se ne ordinasse la soppressione per due articoli.

„Ritornato all’estero, si diede subito a comporre e pubblicare scritti liberali ed opere altamente perniciose e rigurgitanti di massime affatto sovversive.... (Qui il Commissario passa in esame il libro: Opuscoli ecc. facendo sopratutto rilevare i termini offensivi con che il Tommasèo parla del Granduca e dei suoi ministri, e conchiude:) Insomma, io penso che il Tommasèo sia uno di quegli insigni e classici cospiratori, da non sentire resipiscenza e da non ricevere ravvedimento nè dal tempo nè dalle circostanze, e penso che aderendo alla di lui istanza non si farebbe che accogliere fra noi un essere dei più terribili.„

Come poteva prevedersi, il Bologna, sfrondato di tutto [p. 269 modifica]ciò che sapeva d’enfatico e di falso il rapporto del Commissario, lo faceva suo, e scriveva al Corsini opinando pel rigetto della istanza del Tommasèo e ciò: „Anche perchè il Governo granducale aveva stabilita la massima applicata di recente al marchese Giuseppe Arconati-Visconti di non ammettere in Toscana sudditi austriaci amnistiati, se prima non si fossero costituiti negli Stati di Sua Maestà Cesarea a prestarvi atto di sottomissione ed obbedienza, e quindi coll’assenso di quel governo e con regolare passaporto si portassero nel Granducato.„ Aggiungeva infine, che il Tommasèo era anche autore del Duca d’Atene, opera proibita con risoluzione ministeriale del 18 dicembre 1837. E don Neri Corsini, con biglietto del 25 marzo 1839, faceva conoscere al Buon Governo che manteneva l’ostracismo pronunziato contro l’autore del Dizionario dei Sinonimi. Cosicchè il Tommasèo, se volle rientrare in Toscana, gli fu giocoforza passare sotto le forche caudine dell’atto di sottomissione ed obbedienza imposto agli amnistiati delle provincie Lombardo-Venete e ritornare negli Stati di Sua Maestà Cesarea. Difatti, egli chiese di rientrare nel regno Lombardo-Veneto, e, con passaporto vistato dall’ambasciatore austriaco a Parigi, lasciò la Francia; e condottosi da Marsiglia a Livorno, da questa, il 9 settembre 1839, mosse per Venezia. Da Firenze, intanto, fin dal 10 agosto era stato ordinato al Governatore di Livorno che non frapponesse ostacoli allo sbarco del Tommasèo. L’anno seguente il nostro scrittore rinnovò la sua istanza. Come rilevasi da una nota del 26 giugno 1840, il ministro degli affari interni scriveva al Presidente del Buon Governo: „Il noto N. Tommasèo, suddito austriaco, rimpatriato in virtù dell’atto d’amnistia del 6 settembre 1838, ha esposto al proprio Governo il desiderio di trasferirsi in Toscana, dove dice essere richiamato da interessi e viste di letteratura. Il Governo Cesareo, attestando che il Tommasèo dopo il suo rimpatriamento si è condotto con saviezza, occupandosi di oggetti letterari e senza dare il menomo motivo di lagnanza, si è dimostrato disposto a rilasciargli un passaporto per la Toscana, sempre che gli consti che la di lui ammissione in questi domi[p. 270 modifica]nî non fosse per incontrare difficoltà. Questa comunicazione del Governo austriaco equivale in sostanza ad un ufficio in favore del Tommasèo ed io sono incaricato a pregare la S. V. Ill.ma, a farmi sapere se, in vista di esso, si possa accordare al detto soggetto la grazia che implora.„

Finalmente, questa volta, il Governo non si opponeva al ritorno dell’illustre scrittore in Toscana, e il Bologna lo capì; ma egli, miscellanea di poliziotto e di gesuita, alla vigilia dell’ingresso del Tommasèo nel Granducato, volle recitargli il memento homo, quasi per ricordargli che se si stendeva un velo sul passato, il velo non era tanto fitto da nascondere certo tutte le marachelle dello scrittore liberale che aveva vergato le pagine degli Opuscoli e del Duca d’Atene, come si rileva dalla seguente nota che il 28 giugno di quell’anno stesso dirigeva al Corsini:

„Colla mia informativa del 14 maggio 1839 avendo espresso i motivi pei quali m’indussi a proporre il ritorno in Toscana di N. Tommasèo, reputo opportuno rassegnarne copia alla S. V. non avendo al presente ragione di recedere da quanto ebbi luogo in detta circostanza di rilevare, e vi unisco copia del Capitolo VI dell’opera Italia (Opuscoli ecc.) in cui non può senza tremito leggersi quanto l’animo veramente sfrenato dello scrittore potè a sua vergogna osare di versarvi.... Facendo il dovuto conto di quanto viene asserito dalla I. Legazione Austriaca intorno al Tommasèo dopo il suo ritorno in patria, mi permetterei d’osservare che ciò che me lo fanno apprendere come pericoloso fra noi, sono principalmente le di lui massime e i di lui principî sovversivi di cui interessa, per quanto è possibile, impedire la propagazione e da cui niente può meglio garantirne che la di lui lontananza; sono la sua pertinacia e irremovibilità dalle stesse massime e principî, come ben lo dimostra la sua Opera più recente: Il Duca d’Atene; sono infine le relazioni che tiene in Firenze con persone che simpatizzano con lui nei principî, nelle tendenze e nello scopo d’un progresso non conservatore, ma distruttore dell’ordine legale esistente..... Perlochè io crederei remissivamente che le attuali istanze del Tommasèo non potessero essere accolte, almeno ove [p. 271 modifica]non si trattasse di temporaneo e non lungo termine ed in linea di semplice salvacondotto.„

E pensare che allora in Toscana molti credevano e fra questi forse lo stesso Tommasèo1 che il Bologna, uomo pio, nemico di misure violenti, più d’una volta temperasse colla sua bontà i provvedimenti non sempre miti di qualche ministro! Il capo della Polizia coi suoi modi da gesuita era arrivato sino ad ingannare i suoi avversarî e a crearsi una riputazione che le sue azioni smentivano, come meglio sarà dimostrato quando tratteremo della consegna di Pietro Renzi alle autorità pontificie.

Il 4 luglio il Ministro degli affari esteri scriveva alla Presidenza del Buon Governo che „avuto riguardo alle testimonianze del Governo Cesareo sulla buona condotta tenuta dal noto letterato Niccolò Tommasèo, era stato superiormente approvato, che fosse permesso al detto Tommasèo di rientrare in Toscana. Devo altresì prevenirla che, come meramente provvisoria dovrà riguardarsi l’anzidetta riammissione del Tommasèo, il quale dovrà fare le pratiche consuete per ottenere una carta di soggiorno, giunto che sia a Firenze; e questa, limitata dapprima a soli tre mesi, potrà poi essere ritirata o rinnovata per più o minor tempo a seconda dei riscontri ch’Ella avrà della sua condotta.„

Il Tommasèo venne a Firenze, e come era da attendersi fu spiato dalla Polizia; la quale, peraltro, non ebbe da fare censura alcuna sulla condotta politica dello scrittore. Il Tommasèo era realmente venuto in Toscana per ragione di studî.

Intorno ad un altro soggiorno fatto dal Tommasèo in Toscana, troviamo che la Direzione Generale di Polizia delle Provincie Venete, in data 6 luglio 1846, scriveva al Buon Governo: „Che aveva accordato un permesso di tre mesi al signor Niccolò Tommasèo per la Toscana. Lo scopo da lui annunziato sarebbe quello degli studi prediletti di lingua italiana. Ma siccome i rapporti suoi con varî letterati im[p. 272 modifica]bevuti delle massime del moderno liberalismo e specialmente con codesto signor Gino Capponi, che, come si pretende, ha testè mostrato spiccate tendenze antipolitiche, non ponno lasciare tranquilla l’Autorità sul conto del Tommasèo, il quale malgrado la riserva impostasi nelle sue relazioni, serba però costantemente nell’animo principî contrari all’attuale ordine di cose, e tenta innestarli nelle sue opere, così si resterebbe grati a codesto onorevole Dicastero se facesse eseguire una rigorosa vigilanza sul detto Tommasèo.„

L’11 luglio il nostro scrittore arrivò a Firenze e non fece un passo, da quel giorno in poi, che non fosse seguito da qualche confidente di Palazzo Nonfinito. Però, anche questa volta la Polizia non potè nulla scoprire. Un rapporto del 1 settembre 1846 riferisce che il Tommasèo faceva vita ritirata e studiosa. Non vedeva che il Vieusseux, il Capponi, il Capei, il Niccolini, l’abate Pedani e qualchedun’altro; ed aggiungeva: „Dacchè il Governo Austriaco l’ha perdonato, assicurasi essersi egli ricreduto delle sue prime aberrazioni politiche, poichè in fatto di moralità sia rigidissimo.„

E in un rapporto del 16 dello stesso mese si legge: „Qui il Tommasèo si occupa dell’Archivio Storico Italiano; esso cibasi di magro il venerdì e il sabato, ond’è riputato ortodosso, e da alcuni liberali quale emissario famoso, e come tale lo escludono dal loro consorzio. Ai giorni passati, mentre egli trovavasi nella Tipografia Galileiana, il noto Montucchielli, ivi impiegato, si espresse con diversi di quei manifattori loro indicandolo: — „Quegli era una volta un leale Italiano, ora ostenta bigottismo. Vigliacco!„ —

Ma, come si sa, il bigottismo non impedì al Tommasèo, due anni dopo, di mostrarsi italiano.


Note

  1. La Polizia attribuiva al Tommasèo un articolo del Temps dove intorno al Bologna si portava il giudizio espresso nel testo.