Molti son que' che lodan povertade

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Giotto

XIV secolo Indice:Le Rime di Cino da Pistoia.djvu canzoni Letteratura Molti son que’ che lodan povertade Intestazione 27 agosto 2016 100% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Rime scelte di poeti del secolo XIV


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     Molti son que’ che lodan povertade;
E ta’ dicon che fa stato perfetto,
S’egli è approvato e eletto,
Quello osservando, nulla cosa avendo.
5A ciò inducon certa autoritade,
Che l’osservar sarebbe troppo stretto;
E pigliando quel detto,
Duro estremo mi par, s’i’ ben comprendo
E però no ’l commendo;
10Chè rade volte stremo è senza vizio;
Ed a ben far difizio
Si vuol sì provveder dal fondamento,
Che per crollar di vento
O d’altra cosa così ben si regga
15Che non convenga poi si ricorregga.
     Di quella povertà ch’è contro a voglia
Non è da dubitar ch’è tutta ria;
Che di peccare è via,
Facendo ispesso a giudici far fallo,
20E d’onor donne e damigelle spoglia,
E fa far furto forza e villanìa
E ispesso usar bugìa,
E ciascun priva d’onorato istallo;
E, in piccolo intervallo,
25Mancando roba, par che manchi senno:
S’avesse rotto Brenno

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O qual vuol sia, che povertà lo giunga,
Tosto ciascun fa punga
Di non voler che incontro gli si faccia,
30Che pur pensando già si turba in faccia.
     Di quella povertà ch’eletta pare
Si può veder per chiara esperïenza,
Che senza usar fallenza
S’osserva o no, non sì come si conta.
35E l’osservanza non è da lodare,
Perchè nè discrezion nè conoscenza
O alcuna valenza
Di costumi o virtudi le s’affronta.
Certo parmi grand’onta
40Chiamar virtute quel che spegne il bene;
E molto mal s’avviene
Cosa bestial preporre alle vertute,
Le qua’ donan salute
Ad ogni savio intendimento accetta:
45E chi più vale, in ciò più si diletta.
     Tu potresti qui fare un argomento:
— Il Signor nostro molto la commenda. —
Guarda che ben l’intenda;
Chè sue parole son molto profonde,
50E talor hanno doppio intendimento,
E vuol che ’l salutifero si prenda:
Però ’l tuo viso sbenda,
E guarda ’l ver che dentro vi s’asconde.
Tu vedrai che risponde
55La sua parola alla sua santa vita,
Ch’è podestà compita
Di sovvenir altrui a tempo e loco;
Che però ’l suo aver poco
Si fu per noi scampar dall’avarizia
60E non per darci via d’usar malizia.
     Noi veggiam pur col senso molto spesso
Chi più tal vita lode manca in pace
E sempre studia e face
Come da essa si possa partire:
65Se onori o grande istato gli è concesso,
Forte l’afferra qual lupo rapace;

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E ben si contrafface,
Pure che possa suo voler compire;
E sassi sì coprire
70Che ’l peggior lupo par miglior agnello
Sotto il falso mantello:
Onde per tale ingegno è guasto ’l mondo,
Se tosto non va a fondo
L’ipocrisïa che non lascia parte
75Aver nel mondo senza usar sua arte.
     Canzon, va’; e se trovi de’ giurguffi,
Mòstrati lor, sì che tu li converti:
Se pure stessono erti,
Sïe gagliarda, che sotto li attuffi.

(Dal volume II delle Poesie italiane inedite di dugento autori, raccolte da Francesco Trucchi (Prato, Guasti, 1846); che estrasse questa canzone dal cod. 47, plut. 90 laurenz., e la ragguagliò sul ricc. 1717.)