Novelle (Bandello, 1853, IV)/Parte III/Novella LXIV

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Novella LXIV - Il marito d’una buona donna, senza cagione, diviene geloso di lei, e a caso da quella è ammazzato: alla quale è mozzo il capo
Parte III - Novella LXIII Parte III - Novella LXV

[p. 187 modifica]ciò che potesse avvenire, li narrò il modo col quale aveva ottenuta la casa del suo vicino. Il fatto, non so come, fu sentito dal padrone che la casa per téma degli spiriti aveva venduta, e fu da lui ad un suo avvocato esposto; di modo che la lite fu dedutta al parlamento di Parigi. In somma, per non vi tener piú in lungo, messer lo canonico, provato il suo delitto, fu preso e, senza aspettar tormenti, il tutto come era seguíto confessò. Fu giudicato che la casa tornasse in poter del primo padrone senza che restituisse gli aúti danari, e che il povero canonico fosse incarcerato e restasse prigione perpetuamente, con digiunare tre volte ogni settimana in pane ed acqua senza altro cibo. E cosí la sua malvagitá a misero fine miseramente lo condusse; ed appresso la malvagitá, l’essersi gloriato d’aver fatta la beffa al vicino de la casa fu l’ultima sua rovina. Si deve ciascuno guardare di non commetter misfatto alcuno, e poi che l’ha commesso, non lo publicare: perché per l’ordinario il troppo cicalare suole spesso esser di nocumento; ma il tacere, ove è il bisogno, fu sempre lodevol cosa.


Il Bandello al magnifico messer
Francesco Poggio lucchese


Fu dal nostro signore Iddio, dopo la creazione del mondo e di tutto ciò che in esso si contiene, creato l’uomo di terra, e de la sua costa fece Iddio la donna per compagna de l’uomo, e nel paradiso terrestre per modo matrimoniale fu tra lor dui celebrato il santo matrimonio. Il che ci dimostra, se noi non siamo piú che cechi, esser questo sagramento di molta eccellenza e grandissimo mistero. Ma perché io mi son messo a scrivervi, non per volervi esporre la Scrittura, ma per narrarvi un miserabil caso avvenuto tra marito e moglie, e forse causato per diffetto del marito, mi pare non disdicevole che io alquante parole dica d’alcune cose che deverebbe ogni buon marito usare con la moglie. E perché la prima cosa che deve esser tra il marito e la moglie io mi fo a credere che debbia esser l’unione e la tranquilla pace, deve il marito non esser ferino né aspro ne la conversazion sua in casa, perché se vorrá con fatti e con parole [p. 188 modifica]inasprire ed irritare la moglie, e d’ogni minimo fuscello garrirla e farle un gran romore in capo, la casa non sará casa ma terreno inferno, né mai vi abiterá pace. Bisogna dunque che l’uomo sia benigno ed umano, e talora si risenta con modestia ne le cose mal fatte; e a la moglie conviene saper tacere e pazientemente sofferire ciò che fa il suo marito. Ché in vero quella casa ove il marito non sa usare prudenza e la moglie è poco paziente, non è abitacolo di maritati ma uno spedale di pazzi, e a la fine converrá che tra simili congiunti in matrimonio segua il divorzio, o sempre viveranno come cani e gatti. Si vede per l’ordinario le donne esser di temperamento delicato e debole, e per questo è loro dato l’uomo che le governi, a ciò che egli sappia e debbia tolerare e coprire gentilmente la debolezza e diffetto de la donna, e con mansuetudine correggerla e non riprenderla in pubblico giá mai. Sono alcuni tanto indiscreti e sí stizzosi e bizzarri, e di tal maniera e modo in casa e fuori si diportano, che converrebbe che la moglie a sopportagli e servirgli fosse piú savia di Salomone e piú paziente che il pazientissimo Giob. Consideri ogni marito se la moglie che è saggia o pazza. Se per disgrazia ella è pazza, pensi pure di non la poter governare d’altra sorte che con la prigione onesta d’una camera. Se ella è savia, una volta sola che il marito le dica l’animo suo e le mostri come egli vuole che in casa e fuori si diporti, ella non mancherá di essere ubidiente e prudentemente governarsi. Ora per non mi distender piú in questa materia, a ciò che talvolta non mi fosse rimproverato il proverbio antico che si suol dire: «Chi non ha moglie ben la batte, e chi non ha figliuoli ben gli pasce», vi dico che io non ho mai avuto moglie a lato né sono per averla; ma che il mio parere è tale: che ciascuno che prende moglie deve sforzarsi d’esser amato da lei. Il che di leggero egli otterrá amando come si deve, unicamente la sua moglie, perché chi ama sará senza dubio amato, come ben disse Dante:


Amor che a nullo amato amar perdona.


Dove poi è amore, se ben talora interviene alcun corruccio, il tutto in breve si compone e ne seguono poi le paci piú tranquille e piú dolci. Questo tanto ve n’ho io, Poggio mio onorato, voluto dire, non perché voi abbiate bisogno de le mie ammonizioni, ma per venir a la narrazione d’una novelletta occorsa per la poca benevoglienza che era tra marito e moglie. Voi la Dio mercé amate la consorte vostra Pantesilea, sorella [p. 189 modifica]del signor marchese del Monte, famiglia in Toscana nobilissima e dai reali de la Francia discesa, e da lei unicamente sète amato, e vivete insieme una vita lieta, pacifica e tranquillissima, di maniera che di voi si può con veritá dire che un sol’anima informi i vostri dui corpi. La novella fu narrata qui tra noi dal dottissimo Matteo Beroaldo, precettore del nostro gentilissimo signor Ettor Fregoso. Accettate dunque essa novella, al nome vostro dedicata, in minima ricompensa de le tante cortesie, che io da casa vostra in Linguadoca tante volte ho con tanta vostra umanitá ricevuto. Feliciti nostro signor Iddio tutti i vostri pensieri. State sano.Novella LXIV

Il marito d’una buona donna senza cagione divien geloso di lei
e a caso da quella è ammazzato, a la quale è mozzo il capo.


S`è molte fiate, signori miei, qui tra noi ragionato degli scandali che assai sovente accadono per la indebita gelosia che a l’uomo od a la donna s’appiglia. E devendovi ora narrare un pietoso caso, che non è molto a Roano avvenne, non mi par esser fuor di proposito che io del pestifero morbo de la gelosia alquanto vi ragioni. Ponno forse esser piú cagioni che inducono la persona ad ingelosire, ma per mio giudicio, qual egli si sia, credo che per l’ordinario siano due sorti d’uomini che diventino gelosi. Quelli che al nascer loro non ebbero il cielo molto favorevole e nacquero con debolissimo e sempre agghiacciato temperamento del corpo, non sará gran meraviglia che siano gelosi. Altri che averanno Venere per ascendente e nascono con tutte le membra loro forti e gagliarde, ed essendo di natura libidinosi e ne la giovinezza essendo stati violatori degli altrui letti, e non contentandosi mai d’una e di due donne, ma vogliono aver con tutte commerzio; questi tali, come si maritano, sono ordinariamente gelosi. I primi per la debolezza loro s’ingannano, perché credono che, non essendo forti a l’ufficio matrimoniale, la moglie debbia ricercar chi supplisca ai diffetti ed al poco valore che essi hanno; e però questa gelosia si vede abbracciata nei petti loro con inestirpabili radici. Né in minor errore sono i secondi, giudicando tutte le donne esser poco curiose de l’onore e che ciò che essi hanno con l’altrui donne fatto, che le donne loro facciano il medesimo con gli altri uomini. Ma se pensassero che per una o due che abbiano trovate arrendevoli agli appetiti loro, molto piú [p. 190 modifica]sono state quelle che hanno pregato indarno e non si sono lasciate corrompere, io porto ferma openione che non sarebbero sí facili ad aver cattiva openione de le donne ed ingelosire de le mogli. Deveriano pensare che né gli uomini né le donne sono d’un medesimo volere. Il dire che tutte le donne siano oneste e da bene, potria esser bugiardo per qualche particolare, e saria anche parola troppo presuntuosa. Non è anco lecito affermare che tutte siano disoneste, veggendosene per isperienza molte oneste e buone. E cosí, come tra gli uomini ce ne sono di buoni e di rei, il medesimo si può credere esser de le donne. Ma perché l’uomo è capo de la donna e gli appartiene il governo de la famiglia e de la casa, se egli per sorte s’abbatte in moglie leggera di cervello e che molto non si curi de l’onore, deve in questo caso il marito tener aperti gli occhi e levar via quelle occasioni che gli par che prestino la via a la donna d’esser meno che onesta, e mostrando di far ogni cosa eccetto ciò che ha ne l’animo, stia sempre vigilante e consideri minutamente tutti gli atti di quella. E veggendo che ella in effetto mostri qualche particolare affezione a chi si sia, non mostri né in parole né in atti a modo veruno accorgersene. Se ne sono visti di molti, che, dubitando che la moglie non fosse innamorata d’uno, hanno cominciato a borbottare per casa e poi averanno garrita essa moglie e dettole: – Tu non credi che io m’avveggia che tu ami il tale o il tale. Al sangue e al corpo, io farò e dirò! – Può esser di leggero che il marito talora s’inganni e che mai la donna a coloro non pensasse. Onde segue poi che ella metterá mente agli atti che quei tali faranno, e per le parole del marito a poco a poco ella s’accenderá d’un di loro, e il marito, non sel pensando, sará divenuto ruffiano de la moglie. Sí che guardisi di non biasimare mai a la presenza di lei persona de la quale dubiti quella esser invaghita. La donna, come ode che il marito vituperi alcuno, pensa che quel tale sia uomo di piú vertú d’esso marito e che egli per invidia o malevoglienza ne dica male e tema di lui; il che talora è cagione che ella deliberi di provare ciò che non deve. Ci sono alcune donne di sí fatta costuma e natura, che l’offesa di Dio e meno l’onore del mondo non istimano e vogliono tutto quello che vien loro in capo, e ancor che avessero il coltello a la gola, punto non si smoveranno dai loro disonesti appetiti. Con queste non so io che castigo si debbia né si possa usare, conoscendosi manifestamente che non temono pena, ancora che loro si desse la morte. Per questo io consiglierei che chi in tale diavolo incarnato s’abbatte, prenda gli occhi d’Argo e non dorma, ma con [p. 191 modifica]bel modo rimedii a tutte le azioni di quella. Il batter le mogli e con pugni e calci senza pettine carminarle, o buone o triste che siano, le mette in disperazione. Se son triste, vanno di mal in peggio e s’ostinano di voler fare tutto il contrario di quello che il marito vuole. Se elle sono buone, quando si veggiono a torto esser battute, è tanto e lo sdegno e il furore che entra loro in capo, che si deliberano di mandar i mariti in Cornovaglia. Ci sono di quelle che, o per natura o per creanza o per elezione, subito che conoscono la costuma del marito, e a conoscerla vi mettono ogni cura, a quella in tutto si sanno accomodare e si sforzano la volontá del marito far sua e voler tutto ciò ch’egli vuole. Per questo elle non faranno cosa che al marito dispiaccia giá mai. A queste non ha bisogno il marito di far molte prediche né di troppo ammonirle. Basta assai che egli le accenni il voler suo una volta sola. E chi s’abbatte in moglie di cotal ottima natura, se egli è uomo da bene e tratti quella come si conviene, si potrá veramente dire che costoro averanno la piú tranquilla e la piú beata vita che si possa nel matrimonio desiderare, perché beato e felice è quel letto ove non sono questioni. Ma bisogna anco che il marito pensi che la moglie non gli è mica data per fantesca né per ischiava, ma per consorte e per compagna. Onde le deve far buona compagnia in ogni tempo, vestirla da par sua, secondo le facultá che egli ha, e dargli quella onesta libertá che al grado suo conviene, ed avvertire di tener sempre il mezzo, perché la vertú consiste nel mezzo e gli estremi ordinariamente sogliono esser viziosi. Sovra il tutto poi, e questa fia l’ultima conchiusione, avvertisca con sommissima diligenza di non ingiuriar la moglie con amar altra donna che quella. Tutte l’altre ingiurie fatte loro costumano le mogli assai con prudenza tolerare; ma veder l’acqua, che il loro giardino deveria innaffiare, stillar altrove, questa è la scure che taglia lor il capo e che non vogliono a verun patto sopportare. Egli mi sovviene aver altre volte udito ad un amico dire che, intendendo una gran gentildonna che suo marito ardentemente amava la moglie d’un altro, che fuor di misura adirata, disse: – A la croce di Dio, se mio marito cercherá altro pertugio che il mio per suo fratello, io per mia sirocchia mi procaccerò d’altra caviglia che de la sua. – Vi dico adunque, signori miei, che in Roano fu a’ nostri dí una buona donna, la quale si maritò in un malvagio uomo, che era giocatore, bestemmiatore, geloso e pieno di molti altri vizii; il quale, oltra che tutto il dí buttava via il suo e ciò che la donna in casa recato aveva, si dilettava piú de le donne altrui che de la [p. 192 modifica]propria. Sopportava il tutto in pace la buona donna, la quale era da tutta la vicinanza molto amata, e ciascuno l’aveva compassione de la pessima vita che il marito le faceva fare. Il malvagio uomo, che vedeva la moglie da tutti i vicini e vicine esser amata ed accarezzata, entrò in tanto sospetto di lei e tanta gelosia, senza sospizione alcuna d’indicio vero, che cominciò a tenerla chiusa in casa e darle ogni dí de le busse e carminarla senza pettine molto stranamente; di modo che la povera donna, che era da bene, venne in grandissima disperazione, e l’amore, che al marito portava, convertí in fierissimo odio, non potendo sofferire che egli sí sconciamente a torto la battesse. Come il marito non era in casa, i vicini e le vicine la visitavano e seco a le finestre ragionavano, consolandola a la meglio che potevano. Come ho detto, tutti le volevano gran bene, perché era di buonissima natura, festevole e piacevole molto, che in compagnia sempre teneva allegra la brigata. Ora un giorno di verno, essendo venuto il marito a casa e veduta la moglie a la finestra, che con una vicina parlava, entrò in casa, ed avendo forse perduto al giuoco, o in còlera d’altro, prese la meschinella per i capegli e con calci e pugni la batté fuor di modo. Non molto dopoi si misero tutti dui come cani e gatti, borbottando, al fuoco. Frugava il malvagio con un affocato tizzone nel fuoco ed anco con la paletta vi frugava la moglie. Avvenne che un affocato carbone saltò sul petto a la donna, la qual, pensando che il marito a posta avesse quello gettatole, perduta la pazienza ed accecata da l’ira, alzò la paletta e sí gran percossa diede al marito su la nuca del capo, con sí gran forza, che il misero subito cadde morto. Ella di cosí inopinato caso smarrita, dolente oltra modo del commesso omicidio, poi che vide non ci esser altro rimedio, prese il corpo, ed avendo levato il suo letto dal luogo dove soleva stare, quivi fece una buca a la meglio che puoté, e dentro vi sepellí il morto marito e di terra lo ricoperse. Indi ritornò il letto al consueto luogo. E non si veggendo dai vicini il marito, fu domandata ove egli fosse andato. Ella a tutti diceva il marito esser andato a la guerra del Piemonte, che tra francesi e spagnuoli si faceva; il che era creduto da ciascuno, né piú innanzi si cercava. Avvenne che la casa a la donna, non so come, s’abbrusciò sin ai fondamenti; onde ella deliberò da Roano partirsi e andar a casa di suo fratello fuora di Roano tre leghe. I vicini, a cui troppo doleva perder la pratica de la donna, convennero in uno e si misero tra loro una taglia che bastasse a riedificar la [p. 193 modifica]casa; e cosí la ritennero. E lavorandosi dai muratori, gli impose che quivi ove era sepellito il morto, non cavassero; e questo tante volte e sí efficacemente gli imponeva, che uno di loro entrò in sospetto che alcuna cosa lá non fosse ascosa. Il perché, essendo la povera donna a messa, colui si mise a cavargli e poco andò sotto che trovò il corpo, che ancora a le fattezze e a’ panni fu conosciuto. Il che da la giustizia inteso, fu la donna sostenuta, la quale senza aspettar tormenti confessò il tutto come era seguito. Né le valse ad escusazione sua allegare la malignitá de la vita del marito e le percosse che ogni dí le dava, e provar per tutta la vicinanza ciò che diceva, ché il senato di Roano giudicò che fosse decapitata. Ella, udita la determinata sentenza, si dispose al morire divotamente e da buona cristiana. Poi adunque che si fu al sacerdote con grandissima contrizione confessata, con general compassione di tutti le fu publicamente mozzo il capo. Onde vedete a che malvagio fine la gelosia del marito e l’ira de la moglie l’uno e l’altra condusse.


Il Bandello al gentilissimo

messer Galeazzo Valle vicentino

La novella che questi dí fu narrata ne l’amenissimo giardino dei nostri signori Attellani del piacevolissimo soldato Uomobuono, che da tutti è chiamato Cristo da Cremona, ci fece assai ridere, sí perché ella ha in sé non poco di risibile, ed altresí perché il modo e i gesti che Uomobuono faceva, e il suo puro e nativo parlar cremonese ci incitavano forte al riso. E voi, tra gli altri che quivi si trovarono ad udirla, rideste la parte vostra assai saporitamente. Io, partito che fui dal giardino, subito la scrissi, e pensando a cui donar la devessi, voi subitamente mi occorreste, parendomi che udendola narrare se tanto e sí di core rideste, che descritta e al nome vostro intitolata non vi debbia dispiacere. Ché veramente cotesti animali sono di natura loro molto ridicoli e fanno mille atti piacevoli; ma talora sono malvagi e fastidiosi, come avvenne questi anni passati qui in Milano ad un povero contadino, che forse in vita sua non deveva aver veduto simie giá mai. Aveva il signor Antonio Landriano, che fu tesoriero de lo sfortunato duca Lodovico