Novelle (Bandello, 1910)/Parte III/Novella XXXIII

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Novella XXXIII - Un vecchio innamorato è cagione della morte sua e del proprio figliuolo per gelosia di una femina

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Novella XXXIII - Un vecchio innamorato è cagione della morte sua e del proprio figliuolo per gelosia di una femina
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IL BANDELLO

a l’illustre e valoroso signore

il signor

roberto sanseverino conte di gaiazzo

salute


Vedesi di continovo per lunga isperienza che ne la natura umana ogni etá ha i suoi diporti e piaceri ove s’essercita, e ciò che a l’etá infantile e fanciullesca sta bene a fare e diletta i riguardanti, sarebbe di biasimo ad un giovine che in quello si volesse essercitare. Medesimamente la giovinezza ha i suoi giuochi e passatempi, e il giovine può fare di molte cose, e non meriterá castigo né riprensione, che se un vecchio e attempato far le volesse, sarebbe meritevolmente da tutti beffato. Lo innamorarsi e far il galante con le donne pare che a’ giovini convenga, in tanto che se si vede un giovine che viva senza amare, si dirá che egli non è uomo e che tiene del selvaggio e malinconico. Per Io contrario, quando l’uomo si truova in etá matura, il voler fare l’innamorato troppo se gli disdice, e spesso è cagione che il misero vecchio impazzisca e divenga favola del volgo. Di rado anco avviene che qualche scandalo non ne nasca, perciò che, non avendo il vecchio le debite forze che in amore si ricercano, egli diventa sospettoso e muore mille volte il di, combattuto dal freddo verme di gelosia, che spesso poi gli fa fare mille errori, come non è guari che ad uno sfortunato vecchio a Monza avvenne, nel tempo che l’illustrissimo signor Giano Maria Fregoso governator generale de lo essercito veneziano si fortificò a Cassano su l’Adda. Voi sapete che tutto il di Cesare Piola veniva in campo, stando ne la sua villa d’Inzago che era assai vicina. Egli un giorno narrò una gran pazzia [p. 330 modifica]33° PARTI! TERZA che in quei di ad un vecchio innamorato avvenne di fare, che nel vero fu grandissima e può benissimo ammaestrare, chi la saperà, di non cascare in simili errori. Ed avendo io quanto egli disse scritto e al numero de le mie novelle ridutto, essa novella al nome vostro ho dedicata. Non vi spiacerà di leggerla e ricordarvi che dal vostro Bandello è proceduta, la cui famiglia Bandella al nome Sanseverino fu sempre affezionatissima. State sano. NOVELLA XXXIII Un vecchio innamorato è cagione de la morte sua e del proprio figliuolo per gelosia d'una femina. Essendo voi, signori, tutto ’1 di su le mortali scaramucce con gli spagnuoli, e qui non si sentendo ognora altro che — A l’arme! a l’arme! — e tamburi e trombe cd il romore tremendo de l’artegliarie, credo io che a poco altro s’attenda che a guerreggiare e spiare ciò che fa il nemico, che cosi vuole il devere. Nondimeno egli non si disdirà talora, quando le debite provigioni si sono fatte, darsi qualche trastullo e dar un poco d’alleggiamento a l'affaticate membra. E perché l’eccellentissimo signor Giano Maria Fregoso vostro govemator generale ora m’ha domandato se io ho niente di nuovo, m’è caduto ne l’animo di narrarvi un pietoso accidente, che non son ancora quindici giorni a Monza è accaduto. Era in Monza un gentiluomo nostro milanese, che per le presenti guerre uscito di Milano, come molti fanno, avendo gran parte de le sue possessioni vicine a Monza, quivi abitava. Egli era vedovo e de la moglie aveva dui figliuoli, uno di sette anni e il maggiore di circa dicenove. E trovandosi senza moglie, ancor che passasse sessanta anni, non avendo rispetto a la vecchiaia, molto piti propinqua a la morte che a la vita, s’innamorò d’una assai appariscente contadinella, figliuola d’un suo massaro, e per danari dal padre l’ebbe e in casa la teneva, prendendo di lei, quando gli piaceva, amoroso piacere. Il figliuol maggiore di leggero s’accorse del fatto, ed ancora che il disonesto vivere del padre gli dispiacesse, [p. 331 modifica]NOVELLA XXXIII 33> tuttavia non ardiva in cosa alcuna contristarlo. Era la contadi- nella più baldanzosa che non se le conveniva, ed avendo già provato con che corno gli uomini vadano a caccia e sentendo che il vecchio a la lena non reggeva e che di rado poteva cacciare, cosa che a lei punto non piaceva perché averebbe voluto di continuo stare in essercizio, pose gli occhi a dosso al giovine, a ciò che dove il padre mancava, il figliuolo supplisse. Era il giovine assai bello, e a lei pareva pure che fosse di miglior lena che il padre non era, il quale più tosto la invitava al piacer de la caccia che non le sodisfaceva. I! perché più di giorno in giorno sovra di lui facendo disegno, di lui senza misura s’accese. Avvenne un di che, essendo il vecchio fuor di casa, la contadinella, impaziente de l'amore che al giovine portava, il quale alora si vedeva innanzi, parendole d'aver commodità per far quanto ne l'animo le cadeva, a lui s'accostò e in presenza d'una fantesca sua parente, che in casa aveva fatto venire e a cui ella teneva molta credenza, aperse lutto il suo core, pregandolo molto affettuosamente che di lei volesse aver compassione. La fantesca medesimamente a compiacerle lo essortava. Egli, udendo cosi scelerata domanda, con un mal viso a lei rivolto, le disse la maggior villania che a ribalda femina dir si potesse, minacciandole poi tutte due che, se mai più di tal poltroneria gli parlavano, egli il tutto direbbe al padre. E con questo si parti di casa, lasciando le due triste femine poco consolate. Ma per questa repulsa non cessò la libidinosa e malvagia femina di stimolarlo: ogni volta che agio n'aveva, con lacrime e focosi sospiri lo pregava e ripregava che di lei volesse aver compassione. Il giovine, che era da bene e costumato, mai non le volle prestar udienza, ed ancor che la minacciasse d'accusarla al padre, non però lo faceva per non dargli affanno, ma sforzavasi quanto gli era possibile di non lasciarsi trovar solo. Ella, poi che tante e tante volte si vide sprezzata, cangiò l'amore in odio crudelissimo, e con la ribalda fante consegliatasi ed ordinato seco quanto voleva che al vecchio si dicesse, attese un di che il vecchio a casa se ne veniva, e con gli occhi di lacrime pregni, mostrandosi tutta di mala voglia, in camera in compagnia de la fante [p. 332 modifica]332 PARTE TERZA se ne stava. Venuto il messere a casa e di lungo in camera entrato, trovò la sua femina tutta di mala voglia e la fante che pareva che volesse piangere. Egli, che più che se stesso amava la giovane, veggendola cosi malinconica, amorevolmente le domandò che cosa ella avesse. La malvagia e traditora giovane, ordita una sua lunga favola, gli diede ad intendere che più e più fiate il giovine di lui figliuolo l’aveva richiesta d'amore, ma che ella mai non aveva voluto consentirgli, ma sempre l’aveva sgridato, e che non era mezz’ora che avendola trovata sola in camera l’aveva voluta sforzare, ma che sovragiungendo la fante egli s’era partito. La scelerata fante il tutto con lagrime confermò. Udendo il vecchio questa favola cosi ben ordita, si trovò il più disperato uomo del mondo e montò in tanta còlerà che quasi non vedeva punto di lume; e da estrema gelosia assalito, si sentiva morire e, farneticando, diceva le maggior pappolate del mondo. Mentre che queste cose in camera si tramavano, avvenne che il figliuolo, del quale si parlava, a casa ritornò e, salita la scala, si pose con un’altra donna di casa sovra un « pontile », come noi chiamiamo, a ragionare. Il che sentendo il padre, che ne la camera al pontile, o sia loggia, vicina era, tutto di mal talento contra il figliuolo inanimato e da la còlerà e gelosia messo fuori di sé, udendo tuttavia quelle due streghe che mille ciancie gli davano ad intendere, dato di mano ad una spada che al capo del letto teneva, con quella in mano ignuda, bravando e mugghiando come un toro, se n’usci dicendo: — Ove sei tu, ribaldo? al corpo di Dio, che tu non me ne farai mai più nessuna! Questa sarà pur l’ultima, traditore che tu sei! — Il povero figliuolo, non sapendo che cosa fosse questa, rivolto inverso il padre disse: — Oimè, messer, che vuol dir questo? che romore ci è? — A cui l’insensato vecchio furibondamente rispose: — Ahi ribaldo, tu lo saperai bene si, traditore, disleale che tu sei ! — Il dir le parole e il menargli un gran colpo al diritto de la testa fu tutto uno. Il misero e sfortunato giovine, veggendo la tagliente spada che sibilando sovra il capo gli scendeva, volle, per ¡schifare il mortai colpo, ritirarsi indietro, e non ricordandosi d’esser sovra la loggia, che parapetto non aveva ed era assai [p. 333 modifica]NOVELLA XXXIII 333 alta, cadde a l’indietro ri versone col capo avanti e percosse suso un selce, che in terra grossissimo era, e di modo fu grande la percossa che il capo tutto se gli aperse e il cerebro n’usci fuori. Onde il misero giovine incontinente mori. Il crudelissimo non padre ma nemico tuttavia con.la spada in mano gridando: — Ribaldo, tu non fuggirai oggi da le mie mani! — con molta fretta, pensando il figliuolo esser saltato giù, si pose a smontar le scale. Ma come egli vide il disgraziato suo figliuolo col capo tutto fracassato e lo sparso cerebro che ancora palpitava, fu da si veemente dolore sovrapreso, che subito l’ira s'ammorzò e la gelosia se ne fuggi via, entrandogli in petto la tenerezza de l'amor paterno, che gli occhi accecati gli allumò e gli fece vedere di quanta ferina sceleraggine egli era stato cagione. Onde, tardi pentito d’aver prestato Torecchie a la malvagia e scelera- tissima femina, da nuovo furore arrabbiato e d’estrema disperazione colmo, ruggendo come un fiero lione ed ad alta voce chiamando il nemico de l'umana natura, rivolse in sé la fulminea spada e, con quella passandosi per mezzo il core, sovra il morto ed ancora caldo figliuolo, miseramente esalando l’anima e nel suo e del figliuolo sangue ravvolgendosi, subito mori. La ribalda femina che al basso dietro al vecchio era scesa, veggendo si crudele ed inaudito spettacolo e da la propria scelerata conscienza stimolata, dubitando de la giustizia, come si può presumere, levatosi da cintola alcune chiavi che v’aveva, e quelle ad una donna di casa, che quivi amaramente piangeva, gettate, andò di fatto, e in uno profondissimo pozzo che nel cortile era, con il capo innanzi si gittò e là dentro si soffocò. Tal fine ebbe la malvagia e rea femina, degna di morte più crudele e d’essere da' cani a brano a brano lacerata. Il podestà poi, fatta del caso diligentissima inquisizione e severo essamine, trovando che la ribalda fantesca era complice del tutto, quella vituperosamente fece morire, facendola in quattro quarti, tagliatole prima la testa, squartare, le cui membra fuor di Monza a le forche appese, le quali chi quindi passa manifestamente ve