Novelle orientali/XIII. L'Uomo di corte virtuoso

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XIII. L'Uomo di corte virtuoso

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XIII. L'Uomo di corte virtuoso
XII. Bella risposta data da un Visir ad un Sultano, il quale si era mirato attentamente allo specchio XIV. Modo ingegnoso usato da un Visir per liberare il suo signore, il quale per la poca sua prudenza, era stato fatto prigione
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XIII.


L'Uomo di corte virtuoso.


Il Califfo Maadi, della stirpe degli Abassidi, era grande amatore delle lettere, delle arti e de’ passatempi. Avea per affezionato un cortigiano detto Jacub, che amava egli ancora le belle arti come il Califfo. La voce dilicata di Jacub e i suoi ingegnosi e pronti motti erano le delizie de’ conviti del suo signore, il quale l’ammetteva anche al suo serraglio; chè i Califfi mio erano tanto gelosi, quanto i principi orientali lo furono dopo: debolezza che fra’ Musulmani crebbe poi sempre.

Avvenne che un giorno Jacub, partitosi dalla mensa, e salito a cavallo per tornarsene a casa, cadde e si ruppe una gamba. Il Califfo, avuta la nuova di tale accidente, mostrò tale travaglio, e tanto pensiero e cura si prese dell’ammalato, che destò l’invidia in tutti coloro che non aveano la stessa sorte di piacere al padrone. Molti intrapresero di rovinare cotesto favorito, e tutti d’intelligenza si diedero a risvegliare sospetti nel principe. Mentre che la gamba di Jacub andava riacquistando salute, andava egli perdendo parte della fiducia e della grazia del padrone; imperocchè avviene alla corte, più che in qualunque altro luogo, quello che si dice per sentenza:

L’uom che non è presente ha sempre il torto.

Aveano zufolato agli orecchi del Califfo molte lingue essere Jacub favorevole alla stirpe degli Alidi, nimici e rivali della sua famiglia.

Quando il favorito suo si ritrovò guarito, non solo si tenne in cuore coperto il sospetto che avea, ma [p. 251 modifica]di più gli diede nuove testimonianze della fiducia che avea in lui; e chiamatolo un dì a sè in segreto, gli disse: Io voglio oggimai confessarti la mia debolezza: ho in odio Meemet, e temo del fatto suo: costui, della schiatta degli Alidi, a mio dispetto dimora in Bagdad: assolutamente conviene che io mi liberi di lui.

Il favorito volle far intendere al suo padrone, che uomo tale, senza autorità, privo di amici, senza credito veruno, era più degno di compassione, che d’altro. Sia come si vuole, ripigliò il Califfo, egli vive, ed io non ho nè bene, nè pace: debbo sagrificar lui per essere sicuro. Non si dee però farlo morire pubblicamente; la sua morte in tal modo desterebbe la compassione generale verso di lui. Tutta la mia fede è posta in te; liberami di lui. Egli è qui: lo do a te nelle mani: pensa che la quiete del tuo signore è in te; ma così segnalato servigio non dee essere senza ricompensa. Ti do in dono quella schiava che fu jersera a cena teco e che parve darti nel genio, ed a cotesto beneficio aggiungo ventimila dramme d’oro.

Jacub benissimo intendendo che non dovea fare altra risposta, non parlò più d’altro, che della sua gratitudine. Ordinò il Califfo che incontanente gli fosse consegnata la schiava, la vittima che gli avea affidata ed il prezzo di quel sangue che dovea spargere. Jacub impacciato vie più di quello che avesse a fare di Meemet, di quello che fosse contento del possedere così bella schiava, condusse l’uno e l’altra al suo palagio, dove erano appena entrati, cha Meemet, accortosi del disegno del Califfo, si gittò ai piedi di colui che credea dover essere il suo carnefice. Non crediate mai, gli disse Jacub, che il mio signore voglia la vostra morte, e molto meno ch’egli abbia potuto fare scelta della persona mia per un misfatto di tal sorta; ma egli è pure necessità che le vostre pretensioni lo tengano in timore. Perciò voi mi giurerete pel capo del Profeta nostro e per quello del venerando Alì, da cui la famiglia vostra [p. 252 modifica]discende, che non penserete mai di cacciare dal trono Maadì, nè di formare partito veruno contro di lui.

Il povero Meemet, chiamandosi fra sè fortunato di scapolarla a tal prezzo, promise ogni cosa. Andate, gli disse il suo liberatore: e di più questa nuova legge v’impongo, che non vi lasciate mai più a Bagdad rivedere; ma sapendosi che vi abbisognerebbe di che vivere, il signor mio vi dà una somma di danaro: eccola a voi; e così dicendo, gli consegnò le ventimila dramme che avea da lui poco prima ricevute.

Questo fatto andò incontanente agli orecchi del Califfo; imperocchè la bella schiava, con tanta generosità stata donata a Jacub, non era stato altro che una spia dal sospettoso Maadì posta a’ fianchi di lui. Il Califfo, pieno di sdegno fece venire a sè Jacub, da lui creduto traditore e gli disse: Come hai tu eseguito quello che io ti comandai? Principe, gli rispose Jacub, con quella fede che dee fare un suddito, e con quella premura che dee avere un zelante servidore. Sciagurato, ripigliò il Califfo, tu hai lasciata fuggire la mia vittima. È vero, e così era il debito mio, per risparmiare a voi una colpa, della quale era vostra intenzione ch’io fossi complice, e fu meglio che andare a seconda della vostra inquietudine e crudeltà. Voi siete il sovrano per proteggere i deboli, e la vita di un uomo non tanto è vostra, quanto di tutto il restante de’ vostri sudditi. Tocca a voi gastigare i rei, non far morire gl’innocenti. Percosso il Califfo da questa verità di nuovo ricevette nella sua grazia l’uomo giusto, e disse: Io avea solo questo concetto di te, che tu fossi un amabile uomo di corte; ma ora riconosco che sei un vero e cordiale amico.