Novellette ed esempi morali (Bernardino da Siena)/Introduzione

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Introduzione

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INTRODUZIONE



Nella prima metà del ’400, ovunque, per le città d’Italia, apparisse la scarna piccioletta figura di un francescano senese, il popolo traeva in massa ad ascoltarne la viva parola, e perché non sempre le chiese bastavano a contenere la moltitudine, accadeva che “il Predicatore della virtú e della pace” parlasse nelle aperte piazze per emendare i vizi e gli odî profondi di quei cittadini che pur tanti e cosí preziosi tesori di bene e di giustizia serbavano nell’animo.

Era quello un periodo laboriosissimo. Crisi morali e politiche affaticavano lo spirito degli italiani; la fame, la pestilenza, le fazioni andavano seminando la morte; il costume si rammolliva sempre piú, sicché ben presto di masse snervate e infrollite avrebbero avuto ragione e l’accanita violenza delle parti e l’astuta prepotenza dei tiranni. Le persone colte, i letterati, gli artisti erano tutti intenti a dissotterrare classiche forme di bellezza o a decifrare scritture antiche. Ma soprattutto pensavano a darsi bel tempo. Le turbe scarmigliate dei flagellanti erano ormai passate e con essi le loro fanatiche paure.

La Cristianità era allora lacerata dallo scisma. Spezzata l’unità disciplinare, sovvertito il principio di autorità, prosperavano nel campo della Chiesa le male erbe della simonia e della corruzione, mentre l’eresia e lo scetticismo andavano preparando il terreno, nel quale un secolo piú tardi, in un attimo, avrebbero germogliato i semi della rivolta religiosa, gettati a larga mano da un monaco tedesco, Martin Lutero.

Anche gli ordini religiosi risentivano non poco di [p. ii modifica]questa dolorosa crisi di coscienze. Negli stessi ordini mendicanti si era infiltrato un rilassamento generale da quello spirito animatore che un secolo prima aveva prodotto una fioritura cosí meravigliosa di santi. Le cause di questa rapida decadenza? Molteplici e complesse, né sta a noi qui stabilirne l’indagine.

Nicola da Montefalco cosí salutava la venuta di san Bernardino nell’Umbria:

“Jhesu, tu ci hai mandato
la pianta de Francisco glorioso,
qual da noi a scacciato
ogni mal seme e viver vizioso,
Bernardin grazioso
che predica la vita e la doctrina,
Jhesu, bontà divina,
conserva lui in sanctità et honore.”

E veramente le parole dell’oscuro poeta umbro, nei riguardi di san Bernardino, hanno il valore di una sintesi. Il grande “Predicatore della virtú e della pace” veniva a richiamare le anime alle pure fonti della vita e della dottrina di Cristo.

L’8 di settembre del 1380 — l’anno medesimo in cui moriva a Siena santa Caterina Benincasa — nasceva in Massa Marittima Bernardino dalla nobile famiglia degli Albizzeschi. Orfano della madre Nera a soli tre anni e del padre Tollo a sei, viene affidato alle cure di una sorella della madre sua, di nome Diana, piissima e venerabile matrona. Giunto agli undici anni, Bernardino è chiamato a Siena dagli zii paterni per continuare lo studio della grammatica e quindi per darsi alle altre parti del trivio sotto il maestro Onofrio e Giovanni Spoletano. Si appassiona allo studio; dalle lettere e dalla filosofia passa al giure, alla teologia, alla Bibbia. [p. iii modifica]

Lo Studio senese era allora già in fiore. Vi leggevano i migliori maestri del tempo. A maestro di eloquenza san Bernardino ebbe il celebre umanista Guarino Veronese. Giovanni di Buccio, detto Spoletano — altro maestro di san Bernardino — leggeva con plauso unanime la Divina Commedia. La Repubblica senese ebbe cura del buon andamento dello Studio; papi e imperatori lo arricchirono di patrimonio e di privilegi. San Bernardino nelle prediche senesi del 1427 pone fra le cose necessarie alla Repubblica lo Studio, esorta a non lasciarlo partire da Siena, cita a tal uopo il nome, l’utile, l’onore che ha Bologna per il suo Studio.

Al suo amore per quanto induce all’elevazione della mente, san Bernardino univa il culto per la pratica della virtú. I suoi biografi ci raccontano di un solenne pugno col quale egli, ancor giovinetto, avea risposto una volta ad un signore che in Piazza del Campo gli si era avvicinato con proposte malvage. Insieme con la forza un’altra volta usò l’astuzia: s’accordò con i compagni, fece venire il disonesto uomo fuori della città, ove improvvisamente tutti i giovinetti scagliarono contro il malcapitato una vera pioggia di sassi.

Piú tardi, già novizio dei Minori, — raccontano i suoi biografi — fece qualche cosa di simile con una signora, amica e benefattrice dei frati. Questa un giorno, col pretesto di fargli la carità, lo fece entrare in casa e cercò con ogni vezzo di farlo acconsentire a proposte audaci. Bernardino finse di accettare. Ad una condizione però, che la donna si spogliasse. Afferrò quindi la disciplina e giú colpi senza pietà fino a che la donna non ne fu sazia.

San Bernardino amava scherzare. E il suo scherzo, bonario e caustico insieme, ci dà un’idea esatta del suo temperamento sereno ed equilibrato. I suoi compagni dicevano: “Dov’è Bernardino non può star di casa la noia.” E il suo umorismo traspariva spesso qua e là anche nelle prediche, non per divertire il popolino e [p. iv modifica]piaggiarlo (ché anzi la predicazione di san Bernardino fu soda e austera quant’altra mai), ma perché tale era la natura del santo Senese.

Aveva san Bernardino una cugina di nome Tobia, che era un po’ la educatrice del giovane. Un giorno le disse: “Devi dunque sapere che io sono innamorato di una nobilissima signora; darei volentieri la mia vita per lei; se stessi un giorno senza vederla non potrei poi la notte chiudere un occhio.” E uscendo di casa insinuava: “Vado a trovare la mia bella amica!” Tobia, l’affettuosa cugina, non resse piú: “Ma dove abita cotesta tua amica?” “Fuori porta Camollia.” La donna seguí da lontano il giovane e lo vide inginocchiarsi e pregare. La bella amica di san Bernardino era la Vergine dipinta sulla porta da Simone di Martino.

Nel 1400 scoppia in Siena un’orribile pestilenza. L’ospedale di Santa Maria della Scala rigurgita di appestati, si sente estremo bisogno di braccia, nessuno vuol esporre a cosí certo pericolo la propria vita. Bernardino, con l’ardore dei suoi vent’anni, è fra i primi ad accorrere, forma una piccola squadra di giovani pronti a qualunque sacrificio, assume la direzione dell’Ospedale e per quattro mesi continui dà l’opera sua, generosamente. Decresce appena la violenza del morbo che Bernardino cade colpito da grave malore. Lo sopporta serenamente e, appena convalescente, riprende la sua vita di preghiera, di mortificazione, di sacrificio.

Nel 1402 san Bernardino veste l’abito dell’ordine di san Francesco. L’ordine francescano era allora diviso. La scissione risaliva ai tempi in cui era vivo lo stesso san Francesco. Frate Elia da Cortona, vicario generale dell’ordine, era fautore di una interpretazione mite ed ampia dell’austera regola francescana. Francesco, humilis et pauper, voleva, in omaggio all’umiltà e alla povertà, che i suoi frati neppure possedessero i conventi che abitavano e non accettassero uffici o [p. v modifica]dignità ecclesiastiche. Due tendenze erano andate delineandosi nell’ordine, i conventuali e gli spirituali; i primi, seguaci di frate Elia; i secondi, meno numerosi, attaccati alla interpretazione rigorosa della regola. Il dissidio divenne acutissimo. Gli spirituali si ribellarono ai loro superiori, che quasi sempre appartenevano all’altra tendenza; a poco a poco giunsero a ribellarsi anche all’autorità della Chiesa e alcuni di essi andarono a finire tra i seguaci dell’abate Gioacchino, l’autore dell’Evangelio eterno. Però non tutti gli spirituali uscirono dalla Chiesa, ché anzi si formò ben presto un piccolo gruppo di elementi piú umili e piú docili che con prudenza ma con costanza posero argine al dilagare della corruzione, a cui il trionfo dei lassisti stava per condurre l’ordine intero. Chiesero di osservare rigorosamente la regola di san Francesco, e per questo furon detti Osservanti.

Bernardino, vestendo l’abito francescano, fu accolto fra i Conventuali, ma ben presto si fece Osservante, anzi si adoprò a tutt’uomo per avviare l’intero ordine su questa via. Racconta uno dei biografi del santo, Giovanni da Capistrano, che all’ingresso di san Bernardino in religione gli Osservanti erano appena 130; alla sua morte oltrepassavano i 4000. Martino V dette loro il sacro Monte della Verna e il successore di lui, Eugenio IV, assegnò agli Osservanti la custodia dei santuari di Terra santa.

Dire ampiamente dell’influenza morale e civile che ebbe sui contemporanei la vivace predicazione di san Bernardino non è consentito dai limiti che ci siamo imposti nella compilazione di questo volume.

Della decadenza degli ordini religiosi risentí grandemente la predicazione, che era la loro funzione [p. vi modifica]principale. I predicatori del tempo non hanno anima; parole parole reboanti; basta che il popolo resti abbarbagliato e accorra numeroso (il popolo, in ispecie quello minuto, è di facile contentatura); si mira, piú che al profitto, all’applauso. È l’andazzo dei tempi e degli uomini.

Siamo nel periodo aureo dell’eloquenza umanistica. Ambascerie, accademie, anniversari, cerimonie religiose, civili, militari, son tutte buone occasioni per fare sfoggio di erudizione. Il frequente richiamo alla mitologia, il periodo ben tornito, la frase classicheggiante, nascondono una singolare povertà di concetto.

Per quasi tutta la prima metà del ’400 chi ebbe delle preoccupazioni artistiche non usò il volgare, questo serviva alla vita, all’azione, all’ammaestramento; ma appunto per questo, per la sua noncuranza dell’arte, la prosa volgare di quest’epoca trovò ingenua freschezza, spontaneità, vivacità, sentimento — fu arte vera. E sembra quasi inverosimile che gli storici della letteratura, perfino il De Sanctis, non abbiano posto mente a un fenomeno che assunse in quel tempo proporzioni non piccole né disprezzabili.

L’eloquenza umanistica non studia “che cosa s’ha a dire, ma come s’ha a dire... Il letterato non ha obbligo di avere delle opinioni, e tanto meno di conformarvi la vita. Il pensiero è per lui un dato, venutogli dal di fuori, quale esso sia: a lui spetta dargli la veste. Il suo cervello è un ricco emporio di frasi, di sentenze, di eleganze; il suo orecchio è pieno di cadenze e di armonie: forme vuote e staccate da ogni contenuto...”

L’agostiniano fra Mariano da Genazzano, artificioso e vuoto, ebbe l’ammirazione entusiastica di Agnolo Poliziano, Fra Paolo Attavanti venne da Marsilio Ficino paragonato ad Orfeo. Invece san Bernardino non incontrò le simpatie degli umanisti. Il Poggio chiama i nuovi predicatori molestos latratores ac rabulas. Ed era naturale. [p. vii modifica]

L’eloquenza di san Bernardino è differente, è diversa, è contraria. Spirito semplice e modesto, vivace e gagliardo, non si presta alle esigenze della moda. Si vuol terrorizzare le menti con l’apparato scenico. San Bernardino vuol muovere i cuori con la semplice parola, piana, persuasiva, colorita. Le sue prediche hanno sí l’ossatura scolastica, ma ciò per ottemperare al metodo consacrato ormai dalla tradizione. I suoi sermoni trascendono le norme artificiali dell’orazione: egli parla col cuore. La sua cultura teologica non cerca di sovrapporsi, ha degli accenni fugaci alla storia, ai classici, alle scienze, però sembra che cerchi quasi di evitarli, non ama fare uno sfoggio inutile di erudizione; egli non vuole abbarbagliare lo spirito con la rapida successione di immagini. Egli vuol commuovere i cuori e illuminare le menti. È fuori della corrente umanistica. Siena stessa del resto è quasi estranea al movimento della Rinascita.

Non avendo san Bernardino preoccupazioni letterarie, è il vero predicatore del popolo. Egli s’ingegna di parlare chiarozo chiarozo. Piú che una predica, la sua è una conversazione. L’uditore è divenuto un interlocutore. L’effetto è reale e pratico, poiché l’uditore ne resta contento e illuminato e non “imbarbagliato” né “pasciuto di vento.”

Nell’estate del 1427 san Bernardino predicò in Siena sulla piazza del Campo per quarantacinque giorni continui. Benedetto di maestro Bartolomeo, un cimatore di panni molto devoto al santo, s’era inventato una specie di scrittura stenografica, mediante la quale raccoglieva in tavolette di cera, parola per parola, la predica; appena tornato a casa la trascriveva; cosí noi abbiamo, fedelissimo, l’intero quaresimale del Santo. [p. viii modifica]Luciano Banchi, insigne studioso di cose senesi, lo pubblicò in tre volumi nel 1880. Invece ancora inedite son le prediche dette dal santo a Firenze. I brani che formano la presente raccolta li abbiamo tolti dalle prediche senesi, che dànno del resto un’idea completa della predicazione del Santo.

Lo schema della predica, come abbiamo osservato, è scolastico, secondo la tradizione e il costume del tempo, ma la sua eloquenza è veramente originale. Il tema è costituito da una frase biblica: il predicatore analizza la frase, ne trae le imagini reali e simboliche, divide, suddivide, traccia grandi linee, architetta simboli, foggia allegorie, insomma è la solita trama de’ predicatori dell’epoca. Ma san Bernardino vivifica quello scheletro: favole, leggende, paragoni, esempi, moniti, barzellette, aneddoti, minacce, profezie, esortazioni, arguzie; tutto serve a render vivo e vario il linguaggio del Santo. A questo si aggiunga la grandissima popolarità e l’autorità che gli derivavano dall’intemeratezza della vita, dalla serenità del giudizio, dal perfetto equilibrio del suo spirito, dal fervore della sua fede.

Le prediche di san Bernardino si possono paragonare a quelle pitture arcaiche che, attraverso l’uniforme monotonia di una tecnica primitiva, lasciano trasparire calore di vita e splendore di bellezza.

Le quarantacinque prediche senesi del 1427 trattano di preferenza argomenti morali e politici. Cominciano con le lodi della Madonna, iniziandosi la predicazione appunto il 15 di agosto, festa di Maria Assunta in cielo, la protettrice di Siena, Sena vetus, civitas virginis. Preannunzia spesso il tema delle prediche. Ne ha ben quattro sui maldicenti o “detrattori,” tre sulle divisioni politiche, sulle fazioni dei guelfi e dei ghibellini per cui tanto sangue si sparse per le contrade d’Italia. Ha due bellissime prediche su san Francesco d’Assisi. Ne ha inoltre su l’usura, su gli affetti familiari, su i negozi, [p. ix modifica]su i pubblici uffici, sul vizio della sodomia, su le vanità donnesche, su la elemosina, su gli avari, su la pace.

Queste prediche, improvvisate quanto alla forma, produssero un grande effetto su gli uditori. Un cronista del tempo scrive: “Ci pareva d’esser tutti santi e avendo buona devozione...” E anche oggi, benché prive della viva voce del santo, leggendole, noi proviamo una grande consolazione di spirito, sentiamo l’onda fresca dell’unanime consenso popolano intorno alla umile figura del frate, si comprendono gli sforzi, resi vani dalla sua umiltà, che facevano i senesi per averlo vescovo della loro città, si spiega la grande autorità morale che godeva anche presso i pubblici ufficiali, i duchi, i capi delle repubbliche, l’imperatore.

Enea Silvio Piccolomini, poi Pio II, scriveva di San Bernardino: “Erat enim in dicendo facetus, mirisque modis homines ad risum trahebat, flectebatque mentes hominum quocumque volebat.

Degno di studio speciale è il mondo rappresentato dal Santo nelle sue prediche. Gli uomini e le cose son del suo tempo, ma l’anima ne è eterna. Donne, fanciulli, magistrati, preti, mercanti, usurai, maldicenti, sodomiti, faziosi: è un mondo vario, vivente, drammatico. I vizi e le virtú, le verità e gli errori, le novità e le tradizioni, su tutto s’indugia lo spirito analitico del santo. E non guarda in faccia a nessuno, è franco, schietto, talvolta rude nel suo linguaggio. Gli preme di non andare “a casa calda.”

Osserviamo un momento. Parla dei maldicenti, di questa trista genia che semina tanta zizzania di sospetti e di discordia. Il santo ama chiamarli “detrattori.” Sembra che anche allora non difettassero. Lasciamo che ce li dipinga san Bernardino: “Sai com’egli fa [p. x modifica]quando uno detrattore vorrà detrarre? Elli prima sospirarà e chinarà l’occhio in terra, e dimostrarà che elli el dica mal volentieri. E quando egli parlerà dimostrarrà che ’l muova un buon zelo, co la lagrimetta; e colui che lo sta a udire e vedere li parrà che elli sia tutto buono, et elli è tutto gattivo dentro.” I maldicenti “si possono adsimilare alla ranocchia. Sai come fa la ranocchia? La ranocchia fa qua qua qua qua. Io vi so’ già ito quando elleno dicono pure qua qua: e gionto che io so’ alla fossa dove elle so’, e come io so’ ine, subito elleno fugono sotto, e ninua fa piú motto. Cosí fa lo infamatore; ché elli quando vuole infamare, elli usa quello dire qua qua. Colui che si sente chiamare, va là oltre: eccomi qua, che è? Non è piú nulla.”

Ecco un ritratto di mezzana: “O cristiana pessima che hai venduta la tua carne e ora t’ingegni di vendere l’altrui... Sai come fa costei? Fa come la gallina per carnasciale, quando tu l’hai tirato il collo, che tu la gitti in terra, e ella va svolazzando che non si sa tenere di volare, et è morta. Anco fa come fa l’anguilla che ha tagliato il capo, che anco guizza. Cosí fa ella; poi che ella è morta s’ingegna di guizzare nel modo che ella può.”

Ecco invece il ritratto di una massaia assennata: “La donna dove vede il bisogno, sempre vi sta attenta. Se ella è gravida, ella dura fadiga nella sua gravidezza; ella ha fadiga in parturire e’ figliuoli; ella s’affadiga in governarli, in allevarli, e anco ha fadiga di governare il marito, quando egli è in nissuno bisogno e infermità: ella dura fadiga in governare tutta la casa... Ella ha cura al granaio; ella il tiene netto, che non vi possa andare niuna bruttura. Ella conserva i coppi dell’olio, ponendo mente: questo è da lograre, e questo è da serbare... Ella governa la carne insalata, sí al salarla, e sí poi al conservarla... Ella fa filare, e fa poi fare la tela del pannolino. Ella vende la sembola, e de’ denari [p. xi modifica]riscuote la tela. Ella pone mente alle botti del vino; se ella vi trova rotte le cerchia, o se elle versano in niuno luogo. Ella procura a tutta la casa...”

Parla dei doveri dei magistrati, delle vanità donnesche, delle fazioni dei guelfi e dei ghibellini, della elemosina, dell’usura, della pace. Spesso fiorisce sulle sue labbra l’apologo, la novelletta gustosa, la leggenda. Servono a tener piú desta l’attenzione dell’uditorio. Ora è la favoletta delle bestie a capitolo, ove la mansueta pecorella ha la peggio, sebbene innocente. Ora è il vecchio racconto della volpe scaltra caduta nel pozzo e del lupo. Ora è l’aneddoto del santo, del monachetto e dell’asino, per mostrare come non si debba far caso dei maldicenti. Anche i paragoni son gustosissimi. Un pubblico ufficiale è debole e inetto? È simile a uno spauracchio che si mette nei campi per impaurire gli uccelli affinché non vengano a mangiare il grano. Dopo qualche giorno gli uccelli non ne fanno piú caso e vanno a... in capo. Egli deve parlare delle relazioni fra marito e moglie. In argomento cosí scabroso pure sa ben condursi: “Udirai, egli dice, in che peccati noi entreremo, che v’entrarò dentro come gallo in feccia. Vedeste mai il gallo quando entra in feccia? Egli v’entra dentro tutto pulito, colle ale assetate in alto per non imbrattarle, per potere volare a sua posta. Cosí farò io: come gallo in feccia v’entrarò dentro.” Apologhi, novellette, esempi, paragoni che fanno delle prediche volgari di San Bernardino la prosa piú viva e piú fresca della prima metà del ’400.

Piene di caustico umorismo sono le sue parole contro le arti della civetteria femminile. “Cioppe grandissime con forgie nuove...; quando va alla chiesa, ella si va ornata, lillata, inghiandata che pare che sia la madonna Smiraldina, e in casa sta come una zambracca... E come tu vedi le pazie ne’ vestimenti di fuore, cosí pensa che sta dentro nel cuore tutto pieno di [p. xii modifica]chicchirichí... Il capo ch’il porta a merli, chi a càsseri, chi a torri... Tutte queste vanità mentre c’è chi soffre la fame: chi pigliasse una di quelle ciappe e premessela e torcessela, ne vedresti uscire sangue di criature...”

Ancor piú veemente è la sua parola contro i faziosi. “Chi consente di essere di parte o ghibellino o guelfo, s’elli muore con quella parte, perduto è... Chi confessa colla bocca d’essere guelfo o ghibellino, e con essa parte muore, dannato è...” Giunge perfino a dire: “Io voglio che voi udiate una orazione che io voglio fare stamane per l’anima del mio padre e della mia madre e de’ miei parenti: Signor mio Jesu Christo, io ti prego che se ’l mio padre o la mia madre, o niuno mio parente so’ morti con queste parti delle quali io parlo, io ti prego che per l’anima loro non vaglia né messa, né orazione che mai io facesse a utile di niuno di loro. E anco ti prego, Signor mio, che se niuno di loro ha tenuto parti insino alla morte, e non se ne so’ confessati, che mille diavoli abbino le anime loro, e che mai per loro non sia redenzione.”

Ma quando l’argomento della predica è piú strettamente religioso san Bernardino s’abbandona a soavi dipinture, a fantasiose visioni che ricordano Dante e il Beato Angelico. Ecco come parla di Maria Vergine: “Come nel tempo della primavera è circondata la terra di fiori e d’odorifere cose, e Maria è circondata a tutti i tempi d’angioli, d’apostoli, di martiri, di confessori: tutti le stanno da torno, dandole dolcissimi e soavi canti e odori. Io mi credo che tu l’hai potuta vedere co l’intelletto salire alla gloria, invitata da tutti li spiriti beati con tanti giubili, con tanti soavi canti, con tanta festa, che pure a pensare in queste brevi parole è un’allegrezza... tutti le stanno da torno giubilando, cantando, danzando, faciendole cerchio, come tu vedi dipinto colà su alla porta a Camollia, facendo onore a Maria insino al Padre, al Figliuolo e lo Spirito Santo.” [p. xiii modifica]

Singolare soavità d’accento ha la parola del frate quando pronunzia il santo nome di Gesú. Il nome di san Bernardino è strettamente legato alla divozione del nome di Gesú. Nel Palazzo Pubblico di Siena è un bellissimo affresco di Sano di Pietro raffigurante san Bernardino che mostra al popolo un quadretto col simbolico monogramma in mezzo a raggi d’oro; ai lati si leggono le parole di San Paolo: In nomine Jesu omne genu flectatur coelestium, terrestrium et infernorum.

Questa devozione fu proposta dal santo, sembra per la prima volta a Milano, nel 1418. San Bonaventura aveva scritto un trattato in laudem dulcissimi nominis Jesu. San Bernardino continua l’opera del grande maestro, la rende pratica. Invita i suoi uditori a moltiplicare ovunque la simbolica cifra del nome di Gesú, a inciderla sui pubblici edifici, su le porte delle case, sugli stendardi delle compagnie. La sigla circondata da un’aureola raggiante adornò a Siena la facciata maestosa del Palazzo del Comune, a Firenze la facciata della Chiesa di Santa Croce, a Bologna, a Milano, a Volterra.

Le varie fazioni che dilaniavano l’Italia eran fedeli a un’insegna. San Bernardino sostituiva ai segni della lotta civile il nuovo segno di pace: il nome di Gesú.

Per questa nuova forma di culto che proponeva, san Bernardino venne sospettato quasi di eresia, e accusato di favorire un culto superstizioso con l’attribuire al nome di Gesú una virtú magica e taumaturgica. La tempesta che si addensa intorno all’umile francescano senese è minacciosa e scura, ma Bernardino con la sua consueta serenità l’affronta, si difende ed ha ben presto ragione della malafede dei suoi avversari. [p. xiv modifica]

Fiaccato dalle eccessive fatiche della predicazione, san Bernardino morí ad Aquila il 20 di maggio del 1444. Dopo sei anni era già asceso agli onori degli altari.

Scrissero di lui Giovanni da Capistrano, il Surio, Agostino Dati, Enea Silvio Piccolomini, Vespasiano da Bisticci, Maffeo Vegio e Barnaba Senese.

Oggi il suo nome è affidato alle prediche volgari, i suoi scritti latini son poco conosciuti. Insieme con la vita del Beato Colombini scritta da Feo Belcari, con le lettere di Alessandra Macinghi Strozzi, con gli scritti del domenicano Giovanni Dominici, le prediche volgari di san Bernardino da Siena formano il tesoro della prosa viva, fresca, pura del ’400.

Gli scrittori di letteratura hanno quasi a sdegno di nominare il frate, sulle cui labbra fiorí il puro e giocondo accento di una città che è tutta una gaiezza e uno splendore di vita e d’arte. Solo Niccolò Tommaseo fa eccezione: chiama san Bernardino “onore di Siena e d’Italia... frate cittadino che non degnò esser prelato...; il quale nascendo nell’anno che Caterina moriva, parve redarne lo spirito, a consolare di nobili esempi la patria, e la posterità di quelle memorie che sono speranza.”


Alfredo Baldi