Opere (Lorenzo de' Medici)/XVII. Rime varie o di dubbia autenticitá/II. Capitoli/Capitolo II.

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II. Elegia [Amante dispietata.]

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II. Elegia [Amante dispietata.]
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ii

elegia

[Amante dispietata.]


     Vinto dalli amorosi empi martíri,
piú volte ho giá la mano a scriver pòrta,
come il cor viva in pianti ed in sospiri,
     donna, per farti del mio stato accorta;
ma poi, temendo non l’avessi a sdegno,5
ho dal primo pensier la man distorta.
     Cosí, mentre che dentro il foco al legno
è stato acceso, ora il desio m’ha spinto,
or m’ha paura ritenuto al segno.
     Ma piú celar non puossi, e giá dipinto10
porto il mio mal nella pallida faccia,
come chi da mal lungo è stanco e vinto,
     ch’or drento avvampa, or di fuor tutto agghiaccia;
onde convien che a maggior forza io ceda,
ché contro Amor non val difesa io faccia.15
     Aimè! che ciascun vede io esser preda
d’amor protervo, né ha, lasso! pietate;
e tu, ch’io piú vorrei, non par che ’l creda.
     Speme, soverchio amor, mia fedeltate
questo laccio amoroso hanno al cor stretto,20
e furato lor dolce libertate.
     Ben veggio il perso ben; ma, perch’io aspetto
trovar, donna gentile, in te merzede,
fa’ che di ben seguirti ho gran diletto;
     ché, s’egli è ver quel ch’altri dice o crede,25
che persa è beltá in donna sanza amore,
te ingiuriar non vorrei e la mia fede;
     perché non cerco alcun tuo disonore,
ma sol la grazia tua, e che ti piacci
o che ’l mio albergo sia drento al tuo core.30

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     Mostra pur que’ begli occhi e non ti spiacci
il mio servire; e cosí Amor mi guida
ognor piú drento ne’ tenaci lacci;
     né resterá giamai finché me occida,
donna, se tua pietá non mi soccorre,35
ché Morte or mi minaccia ed or mi sfida.
     Ahi, folle mio pensier, che sí alto porre
vuolse l’affetto! Ma se a te m’inchina,
madonna, il cielo, or me li posso opporre?
     Cosí mi truovo in ardente fucina40
d’amore ed ardo, e son d’arder contento,
né cerco al mio mal grave medicina,
     se non quando mancar li spirti sento:
allor ritorno a veder gli occhi belli:
cosí in parte s’acqueta il mio tormento.45
     Talché, se pur talvolta veder quelli
potessi, o in braccio averti, o pure alquanto
tener le man ne’ crespi tuoi capelli,
     mancherieno i sospir, l’angoscia e ’l pianto
e quel dolor, in che la mente è involta,50
e in cambio a quel saria dolcezza e canto.
     Ma tu, dalli amorosi lacci sciolta,
crudel, non curi di mie pene allora,
anzi gli occhi m’ascondi, altrove vòlta:
     gli occhi tuoi belli, lasso! ove dimora55
il faretrato Amor ver’ me protervo,
ove suoi dardi arrota, ove gl’indora.
     E cosí il mio dolor non disacervo,
ma resto quasi un corpo semivivo
con piú grave tormento e piú acervo.60
     Ma fa’ quel vuoi di me, per fin ch’io vivo
io t’amerò, poiché al ciel cosí piace;
cosí ti giuro e di mia man ti scrivo.
     Né gesti o sguardi o parola fallace
d’altra non creder dal tuo amor mi svella,65
ché alfine io spero in te pur trovar pace.

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     Solo a te pensa l’alma, e sol favella
di te la lingua, e il cor te sol vorrebbe,
né altra donna agli occhi miei par bella.
     Tanto amor, tanta fé certo dovrebbe70
aver mosso a pietade una sirena,
e liquefatto un cor di pietra arebbe.
     Nata non se’ di tigre o di leena,
né preso il latte nella selva ircana
o dove il ghiaccio il veloce Istro affrena.75
     Onde, se quella speme non m’è vana,
che mi dan gli occhi tuoi, gli occhi che fêrno
la piaga nel mio cor, ch’ancor non sana,
     non vorrai Amor di me facci piú scherno.
Cosí ti prego e le braccia ti spando:80
tua pietá faccia il nostro amore eterno.
     Venga, se dee venir, tuo aiuto quando
giovar mi possa, e non tardi tra via,
ché nuoce spesso a chi ben vive amando.
     Ma, lasso! or quel mi duole è ch’io vorria85
il volto e i gesti e ’l pianto, che ’l cor preme,
accompagnassin questi versi mia.
     Ma, s’egli avvien che soletti ambo insieme
posso il braccio tenerti al collo avvolto,
vedrai come d’amore alto arde e geme;90
     vedrai cader dal mio pallido volto
nel tuo candido sen lacrime tante,
da’ miei ardenti sospir scaldato molto.
     E, se la lingua pavida e tremante
non ti potrá del cor l’affetto aprire,95
come intervien sovente al fido amante,
     dágli baldanza e sentira’lo dire
quanto gran fiamma in gentil core accenda
l’amor, la speme del fedel servire.
     Chi sia che tanta cortesia riprenda?100
Anzi, perché mal puossi amor celare,
ch’altri dal volto o gesti non comprenda,

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     sovente io m’odo drieto sussurrare:
— Quant’è dal primier suo esser mutato
questo meschin, per crudel donna amare! — 105
     Non rispondo, anzi vergognoso guato
a terra, come chi talvolta intende
quel che a ciascun credea esser celato.
     La tua impietá te stessa e me riprende,
che, non ben tua, tua bellezza accompagna,110
ed al mio buon servir mal cambio rende.
     Né per ciò mai il cor di te si lagna,
né si dorrá sino all’estremo punto,
ma ben vorrebbe, e perciò il volto bagna.
     Teco m’avessi il ciel, donna, congiunto115
in matrimonio: ah! che pria non venisti
al mondo, o io non son piú tardo giunto?
     Ché gli occhi, co’ quai pria tu il core apristi,
ben mille volte arei baciato il giorno,
scacciando i van sospiri e’ pensier tristi.120
     Ma questo van pensiero a che soggiorno?
se tu pur dianzi, ed io fui un tempo avanti
dal laccio coniugal legato intorno,
     qual sol morte convien che scioglia o schianti.
Puoi ben volendo, e te ne prego e stringo,125
che un cor, un sol voler sia tra due amanti.
     Ben t’accorgi, madonna, che non fingo
pianti, sospiri o le parole ardente;
ma come Amor la detta, io la dipingo.
     Occhi belli, anzi stelle luciente,130
o parole suavi, accorte e sagge,
man decor, che toccar vorrei sovente,
     Amor è quel che a voi pregar mi tragge:
non sia, madonna, il mio servire in vano,
né invan la mia speranza in terra cagge.135
     Tu hai la vita e la mia morte in mano;
vivo contento s’io ti parlo un poco;
se non, morte me ancide a mano a mano.

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     Fa’ almen, s’io moro, dell’estremo foco
le mie ossa infelici sieno estorte140
e poste in qualche abietto e picciol loco.
     Non vi sia scritto chi della mia morte
fussi cagion, ché ti saria gravezza;
basta l’urna di fuor stampato porte:
     «Troppo in lui amor, troppo in altrui145 durezza».