Opere (Lorenzo de' Medici)/XVII. Rime varie o di dubbia autenticitá/VI. Canti carnascialeschi/Canto VII.
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vii
Canto di facitori d’olio.
Donne, noi siam dell’olio facitori,
né mai versianne una gocciola fuori.
Ciascun di noi ha la sua masserizia:
in punto, bene e con assai letizia
compiam nostr’opra, e dell’olio a dovizia
sappiam di vostre ulive cavar fuori.
Se voi aveste, donne, a macinare
ulive in quantitá per olio fare,
siate contente volerci provare,
ché siam degli altri mastri assai migliori.
A far dell’olio la pregna è nimica:
facci gran danno e dácci assai fatica,
guasta i vaselli e fa come l’ortica:
cocciole rilevate e pizzicori.
Donne, quant’olio fa chi forte mena
e sia gagliardo ed abbia dura schiena!
Tanto ne suol venir, che a mala pena
si può tener, che non trabocchi fuori.
Il bello è poi che lo strettoio afferra
l’ulive infrante, e preme e strigne e serra;
quando pigniam la nostra stanga a terra,
per forza fa che lo strettoio lavori.
Escene l’olio e non fa quasi morcia,
tal che bisogno abbiam delle vostr’orcia.
Che ne farien le montagne di Norcia,
s’ell’avessin di questi facitori!
Adopransi a far l’olio i romaiuoli
e pezza, gabbia, stanga e bigonciuoli;
facciánlo accompagnati, me’ che soli:
gli altri non son per esserci fattori.
Però, donne gentil, l’olio farete,
quando l’ulive vostre in punto arete;
perché, se punto le sopraterrete,
vi dorrá poi non le poter trar fuori.
L’ulive, donne belle, abbiam portate,
perché piú volentier l’olio facciate;
per prova d’esse il lor sapor gustate,
ch’è dolce assai piú che gli altri liquori.