Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini/Discorso intorno la vita e le opere di Luciano/Capo IV. Traduzione italiana delle Opere di Luciano

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Discorso intorno la vita e le opere di Luciano - Capo IV. Traduzione italiana delle Opere di Luciano

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Luciano di Samosata - Opere di Luciano (II secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862/1863)
Discorso intorno la vita e le opere di Luciano - Capo IV. Traduzione italiana delle Opere di Luciano
Discorso intorno la vita e le opere di Luciano - Capo III. Le opere di Luciano Opere di Luciano

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CAPO QUARTO.

TRADUZIONE ITALIANA DELLE OPERE DI LUCIANO.


XCVII. Quale utilità possono recare le opere di Luciano al secolo presente, ed alla nazione degl’Italiani, pei quali è fatta questa traduzione? Credenze, sapere, costumi, lingua, tutto ora è mutato e diverso dall’antico; pure i vizi e le sciocchezze che Luciano derise, rimangono e rimarranno sempre, sebbene piglino altre forme: e la verità che egli disse, siccome non era nuova al suo tempo, cosi non è vecchia nel tempo nostro, e giova sempre ripeterla, lo non desidero nè credo che oggi nascano scettici come Luciano, perchè chi non crede a nulla non opera nulla, ed ogni impresa grande nasce da grande persuasione: oggi l’umanità tutta quanta sente il bisogno di edificare non di distruggere, di unire non di separare, e riconosce che il vero sta nella coscienza universale non nella individuale. L’importanza che hanno le opere di Luciano è quella che ha ogni opera d’arte, ogni rappresentazione del bello, ogni concetto che trasparisca mirabilmente in una forma. Venere ed Apollo non sono più iddii, ma le due statue greche che li rappresentano sono due capilavori. i Greci, e Luciano tra i migliori, furono eccellenti per questa trasparenza del concetto nella forma, per questa schiettezza nell’espressione: la quale, a mio credere, procede non pure da intelligenza viva, ma ancora da animo abituato a libertà e verità, ed abborrente da ogni ipocrisia: però le loro opere giovano non pure [p. 168 modifica]l’intelletto, ma alla morale, e in certo modo ci dispongono ad essere leali e franchi. Questo vorrei fosse bene inteso dagl’Italiani, ormai dimentichi di una lingua che i nostri antichi parlarono, ed in essa insegnarono tante verità e bellezze; fosse bene inteso da quei pochissimi che la conoscono, e potrebbero nella nostra favella recare la luce del pensiero greco. Come volete che quei grandi scrittori sieno studiati ed imitati da molti, se voi pochi non li fate conoscere ed amare? Quanti, e cólti, Italiani non hanno letto Tucidide, Senofonte, Polibio, Demostene, Platone, Aristotele, perchè non sono tradotti nella nostra lingua, o sono male tradotti! e quanti hanno dovuto leggerli in una traduzione francese! L’opera di traduttore è assai modesta, ma assai utile ancora: grandi ingegni non la sdegnarono: e chi non può essere grande ed originale scrittore, che è dato a pochissimi, fa meglio a tradurre nella sua lingua i grandi pensieri altrui, che esprimere i suoi, mediocri e forse insulsi. Il sapere di un uomo e di una nazione non è proprio, ma è parte ereditato e parte acquistato da altri: ed i popoli più cólti cercano sempre di appropriarsi e rinsanguinarsi del sapere di tutti gli altri e antichi e moderni, e recarlo nella loro favella per renderlo comune. Quei buoni, ingegnosi, e perseveranti Tedeschi, che tanto sanno e tanto fanno negli studi, non hanno lasciato scrittore greco senza un’ottima traduzione tedesca, senza lunghi cementi e dichiarazioni di ogni sorte; sicchè solamente da essi ci viene un buon libro greco. I Francesi ancora, benchè a modo loro, pure traducono e cementano con diligenza: e gl’Inglesi pongono in questo la cura ed il senno che pongono in ogni cosa. Fra noi da un secolo in qua si è preso a tradurre i poeti greci, e gli studi ne sono avvantaggiati: ma quasi tutti i prosatori più insigni [p. 169 modifica]sono conosciuti solamente per nome dagl’Italiani. Tutte le nazioni cólte di Europa hanno varie traduzioni più meno pregevoli delle opere di Luciano, scrittore massimo ed unico in piacevolezza. Non parlo delle interpetrazioni latine, le quali, quantunque pregevoli per fedeltà ed accuratezza, pure sono fatte solamente per agevolare l’intelligenza del testo greco; e se le leggi sole, ti pare di vedere un corpo umano senza pelle con tutti i muscoli e i tendini scoperti. E tra queste la più riputata è quella del Gesnero. Io parlo delle traduzioni fatte nelle lingue vive d’Europa. La Francia ne ebbe da prima una libera parafrasi da Niccola Perrot d’Ablancourt, e poi una buona traduzione dal Belin de Ballu:1 l’Inghilterra ne ebbe una da Tommaso Franklin, ed un’altra dal Carr: la Germania ne ha una del Wieland, tenuta in gran pregio, ed altre due del Pauly, e del Minckeritz anche lodate. A noi ne avrebbe data una eccellente il buon Gaspare Gozzi, se avesse tradotte tutte le opere, come tradusse pulitissimamente alcuni dialoghi. Nessuno dei nostri, più del Gozzi, ebbe ingegno simile a quello di Luciano; nessuno meglio di lui sapeva intenderlo e farlo parlare italiano. Abbiamo una traduzione di tutte le opere, fatta da Guglielmo Manzi, la quale io non ho letta nè so lodata: ma se posso argomentare dal dialogo di Cicerone De legibus, che ho letto, tradotto dallo stesso Manzi, mi pare che questi non abbia potuto voltare felicemente in italiano la festività, l’urbanità, e la semplicità dello scrittore greco. L’Italia adunque nella sua lingua non ha ancora una buona e compiuta traduzione di Luciano.2 [p. 170 modifica]

XCVIII. Le opere d’arte quando sono voltate in un altra lingua, come le monete che si cambiano in un paese forestiero, scemano sempre di pregio; spesso ritengono solo quello della materia: e mi ricorda di aver letto che una volta il Klopstoch leggendo una traduzione della sua Messiade, pianse di dolore. Per me sta che la traduzione d’un’opera d’arte debba essere anche un’opera d’arte, e che il traduttore nel suo ingegno debba trovare e nei modi della sua lingua un colorito simile a quello dell’originale, quando quello dell’originale non può essere ritratto fedelmente: il che [p. 171 modifica]avviene specialmente allora che si traduce da una lingua antica, o molto diversa. Dove i concetti sono l’importante, tradurre è facile, perchè la forma è cosa secondaria; ma dove l’importante è il modo onde sono espressi i concetti, ivi tradurre è difficile, perchè ogni lingua ha un suo modo particolare, e per sostituire convenevolmente l’un modo all’altro, bisogna buon giudizio assai, e fine conoscenza delle due lingue, e un certo ardire d’artista. Queste cose sono facili a dire, ma non facili ad eseguire; perchè di buon giudizio nessuno ha a bastanza; conoscere bene anche la propria lingua non è affare di lieve momento; e spesso l’ardire trasmoda in presunzione. Onde, benchè io desideri che questa traduzione paia ottima agl’Italiani, come quella del Wieland pare ai Tedeschi, pure nessuno meglio di me sa dove ella manca, dove non risponde puntualmente all’originale, dove per istanchezza, per noia, e per manco di conoscenze non ho potuto nè saputo far meglio. I concetti ho serbato fedelmente, senza curarmi punto della schifiltà moderna, perchè io non parlo io, e sento l’obbligo di far dire allo scrittore il bene ed il male che egli dice, acciocchè sia bene conosciuto da chi legge. Ho serbato ancora la forma greca se è simile alla nostra; se no, ho adoperata la nostra più schietta e propria. E come Luciano usò della buona lingua antica, e seppe essere chiarissimo a tutti, efficace, ed elegante, così anche io ho cercato di usare la buona lingua nostra, senza le goffaggini antiche, senza i lezii e le smancerie dei moderni, pigliando le parole e le frasi non pure dagfi ottimi scrittori, ma dal popolo di Italia meglio parlante. Tuttavolta dove il pensiero mi comandava, ho usato parole e vecchie e nuove, e ne ho anche foggiate, perchè il pensiero da dentro forma e trasforma le lingue, e le governa [p. 172 modifica]secondo la sua necessità. E tanto mi sono ingegnato di esser chiaro e di fuggire ogni affettazione, che anche a talune opere tenute spurie, e che, lette in greco, ti presentano una differenza notabile di stile e di lingua, e modi oscuri e sforzati, io non ho potuto dare quella differenza; anzi dove i concetti sono scabri, io l’ho renduti piani, dove le sentenze sono contorte, io l’ho raddirizzate, dove le parole sono strane, io l’ho scambiate con le ragionevoli. Per isforzi che io ho fatti, non ho potuto altrimente, non ho saputo imitar bene il male: ma sono certo che la materia, e quel colore che la materia dà necessariamente all’espressione, farà distinguere anche in italiano queste opere spurie dalle genuine. Nel tradurre mi sono venute fatte alcune correzioni al testo, le quali mi pare sieno necessarie a bene intenderlo: io le propongo a tutti coloro che intendono bene il greco, e sono uomini discreti, affinchè possano giudicarne, e, se le riconosceranno necessarie, usarne ancora nelle future ristampe del testo di Luciano.3

XCIX. Sebbene io sappia che niente può scusare la mediocrità di un’opera, e che tutti i lettori senza curarsi di sapere con quali mezzi e con quante difficoltà fu fatta, la scartano o la lodano senz’altro; sebbene io non chieda indulgenza, perchè so che l’è inutile; e non s’acquista fama per indulgenza, e solo il buono resiste al tempo; nondimeno io credo che a taluno non dispiacerà che io dica in qual luogo e come fu fatta questa traduzione; almeno io sento il bisogno ed il dovere di dirlo. Ero io da due anni nell’ergastolo di San Stefano, quando ci venne il mio diletto amico Silvio Spaventa, il quale portò seco un [p. 173 modifica]volume contenente alcune opere di Luciano tradotte in francese dal Belin de Ballu. Lo lessi, mi piacque, mi ricordai degli studi della mia giovinezza; e mi parve che il riso e l’ironia di Luciano si confacesse allo stato dell’anima mia. Per non perdere interamente l’intelligenza, che ogni giorno mi va mancando, per non perire interamente nella memoria degli uomini, mi afferrai a Luciano, e mi proposi di tradurne le opere nella nostra favella. Ebbi il nudo testo emendato dal Weise, e cominciai a lottare disperatamente con mille ostacoli, senz’altro aiuto che un piccol lessico manuale: ma pervenuto più oltre della metà del lavoro, ebbi l’edizione Bipontina. Per cinque anni vi ho lavorato continuamente fra tutte le noie, i dolori, e gli orrori che sono nel più terribil carcere, in mezzo agli assassini ed ai parricidi: e Luciano, come un amico affettuoso, mi ha salvato dalla morte totale della intelligenza. Il mio Silvio, che ha veduto questo lavoro nascere e venir su con tante fatiche, mi ha aiutato de’ suoi consigli, e ragionando meco, mi ha suggerito col suo solito acume parecchie osservazioni che io ho espresse in questo discorso. La sua amicizia mi è conforto unico nella comune sventura, io l’amo con amore di fratello, ed ammiro in lui un alto cuore ed un alto intelletto. E se queste carte un giorno potranno uscire del carcere ed essere pubbliche, io voglio che dicano al mondo quanto io amo e quanto io pregio questo mio amico.

Eppure altri pensieri ed altri dolori crudeli laceravano l’anima mia, ed io, non che attendere a questi studi, non avrei potuto durare la vita, se Antonio Panizzi, Direttore del Museo Britannico, non avesse con amore di padre preso cura del mio povero figliuolo, e fatti a me grandi e singolari benefizi. Qualunque sia questa mia fatica, per suo benefizio io potei farla, e [p. 174 modifica]però a lui è dovuta, ed a lui l’offero e la consacro. O mio Panizzi, voi che di senno inglese e di cuore italiano siete ottimamente contemperato, gradite questo che solamente può darvi uno che voi onorate del nome di vostro amico. Sarò contento se voi crederete che io, anche nell’ergastolo, ho cercato di fare quel poco di bene che potevo alla patria comune.

Ergastolo di San Stefano, Settembre 1838.

Note

  1. Nel 1857 Eugenio Talbot ne ha pubblicata in Parigi un’altra, che mi pare fatta con buon garbo, e molto da commendare.
  2. La prima delle opere di Luciano che io mi sappia tradotta in italiano è una Comparatione fatta tra Alessandro, Hannibale, Scipione Africano appresso a Minos che fa giusto giudice, trasferita di greco in italiano per M. Giov. Aurispa, che si legge in un Codice della Magliabechiana, XI, Varior. 87, dalla pag. 322 a 330. Nella Laurenziana trovasi lo stesso dialogo tradotto dall’Aurispa in latino, e da un ignoto in italiano. Questo Aurispa, di Noto in Sicilia, visse dal 1369 al 1460; dotto in greco, portò in Italia moltissimi manoscritti da Costantinopoli. In questo dialogo è una diceria di Scipione, che non trovasi nel testo greco. Abbiamo una traduzione di molte opere di Luciano fatta nel decimosesto secolo, e così intitolata: I dilettevoli dialogi, le vere narrationi, le facete epistole di Luciano philosopho greco, in volgare tradotte da M Niccolò da Lonigo; ed istoriate, e di nuovo accuratamente reviste, et emendate, 1529. In Vinegia, per Niccolò di Aristotele detto Zoppino. Ed un’altra edizione del 1551 per Giovanni Padoano, Venezia. Questa traduzione è poco esatta, e non pare fatta sul testo greco. Fra i dialoghi ve ne ha due, un Dialogo tra la Virtù e Mercurio, ed il Demarato o il Filatele, che non sono di Luciano; ed insieme ad un altro, intitolato il Palinuro, si trovano in latino nell’edizione delle opere di Luciano fatta in Amsterdam nel 1687. Nel secolo passato ce ne fu un’altra: Delle opere di Luciano filosofo, tradotte dalla greca nelV italiana favella, Londra (Venezia) 1764 al 1768 per Spiridione Lusi, 4 vol. Non sono tutte, ma la maggior parte delle opere di Luciano. Il Lusi non ha tradotte quelle già tradotte così bene dal Gozzi, ma, come egli dice, l’ha in qualche luogo ritoccate. Questa traduzione mi pare molto fiacca, e non è intera. Ho letta quella del Manzi, e non ho mutato opinione. Diversi opuscoli di Luciano sono stati a quando a quando tradotti ora da uno, ora da un altro, ma sono poco noti, ed io non li ho letti. Ultimamente m’è capitato tra mani una traduzione di alcuni opuscoli fatta da un Panaiotti Palli, di Jannina in Epiro, e stampata in Livorno il 1817. Questo epirota conosceva bene il greco, ma poco l’italiano, che a quei tempi anche in Italia era ben conosciuto da pochi.
  3. V. nel fine del 3° voi. l’indice delle Varie lezioni che si propongono al testo di Luciano.