Osservazioni di Giovanni Lovrich/De' Costumi de' Morlacchi/§. 12. Vestiti de' Maschj

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§. 12. Vestiti de' Maschj

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§. XII.

Vestiti de’ Maschj.

I
Vestiti giornalieri de’ Morlacchi sono molto semplici. I tagli de’ loro abiti sono sempre gli stessi, e se i Lacedemoni avean per istatuco di non alterare le antiche mode del loro canto, i Morlacchi ànno per costume di non alterare le antiche mode de’ loro abiti. La camicia, ch’essi portano, di rado arriva alle ginocchia. Questa sogliono ricamare, ma a differenza delle femmine. Le maniche in vece di stringersi con un bottoncino attorno i polsi delle mani, le sono spacciose, nè si stringono in verun modo. Sopra la camiccia mettonsi un giubberello di rascia, chiamato Jeçerma, che poco oltrepassa le anche, cui cingono con una fascia, che comunemente non è di seta, come suppone il Fortis, bensì di lana colorata a capriccio, fatta di tante cordicelle unite, lavorate a treccia. Per lo più vi è un’altra fascia, da cui pende una patrona, ove si ripone il denaro, ed altro di comun uso; così la borsa di tabacco da fumare stà attaccata alla fascia stessa. In somma ella è una specie di guardarobba portatile. La canna della pippa pure pongono tra la fascia, e la giubba, ma più comunemente dietro la coppa, cacciando la canna fra la camicia, e la pelle col camminetto in fuori. Sopra il giubberello pongono il sajone, cui danno il nome di aglina, e sopra questa finalmente il ferraiuolo, che dicesi Kabanizca, cui stà conniato un lungo bavero, che si pone sopra il capo per riparar la pioggia, e che vien detto Kukuglizca. I calzoni, come ognun sa, in vece di ar[p. 114 modifica]rivar solamente alle ginocchia, arrivano insino i malleoli. Questi si legano sopra il bellico con una cordicella di lana, che passa internamente per l’estremità scavate a bella posta. Ànno un’apertura ne’ calzoni dalla parte delle calcagna, che se la chiudono con tanti uncinetti, fatti di filo di ottone. Guai al Morlacco, che portasse calze in piedi! È sicuro di divenir lo zimbello di tutti i suoi compatriotti. Ànno abborrimento per le calze, a motivo, che le portan le femmine, ed essi non vogliono essere effeminati per verun conto. Portano in piedi una specie di coturno di lana, che arriva insino alle estremità de’ calzoni, ed a questi danno il nome di Nascivaçe1 cui sovrapongono una mezza scarpetta, chiamata napursgniak. Le loro scarpe chiamansi opanke: La suola di queste è di cuojo crudo di Bue: all’estremità della suola vengono annesse tante cordicelle di cuojo crudo di montone, pecora, od altro di questo genere, chiamate opute, che formano la parte superiore della scarpa. Poco vi entran le calcagna nelle opanke. Una lunga oputa, che si gira per di sotto i malleoli attorno i piedi, fa le veci di una Fibbia. Si racconta, che un Morlacco restò scandolezzato di non trovar questa sorte di scarpe a Venezia, e tacciò di bugiardi coloro, che gli avean fatto credere, che a Venezia si trova di tutto. Sogliono variare qualche poco i vestiti ne’ tempi di State, ma tutta la variazione consiste, che in vece de’ calzoni ben assetti, [p. 115 modifica]portano le brache larghe, per istar un po’ più frescamente. Nel resto non variano, eccettochè, se ànno caldo, depongono il ferraiuolo, e se deposto anche questo, non gli alleggerisce abbastanza, depongono il saione, che lo fan servire di mantello. In simile stato di natura un abito fa per tutte le stagioni. Usan portar alle volte i gamberuoli, chiamati Tosluke, aperti dalla parte delle calcagna, e che chiudonsi con uncinetti di filo di ottone, come i calzoni. Non mancan essere fatti questi uncini anche di argento senza risparmio, ma si metton su Tosluke da Festa. In capo portan beretti di scarlatto rosso, che si chiaman cappe, e di rado assai i turbanti cilindrici, detti Kalpaki, eccettuati i capi delle Ville. Questo è tutto il vestire ordinario de’ Morlacchi. Sono però differenti i vestiti da pompa, e que’ de’ più benestanti particolarmente, ma variano ne’ varj distretti. Gli abiti da pompa di alcuni Morlacchi sogliono essere di sommo valore, poichè fatti di buon panno, ed adornati di argento all’usanza patria. Ma gli abiti ancora di molto prezzo, riescono di somma economia per essi loro. Imperocchè passano da’ Padri a’ figli, e si recano a gloria i Nipoti di aver abiti, che portarono i loro Avi, e somigliano agli amanti delle monete antiche, che più antica, ch’ella è una moneta, più loro piace. Ecco la sola cosa, in cui sono economi i Morlacchi.2
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Usan radere i capelli, lasciando peraltro più di codino, che i Polacchi, ed i Tartari. Era costume una volta, e poco, o molto in ciascun Villaggio sussiste ancora, che avanti di rader la testa al fanciullo, si chiama un amico, che divotamente lo tosi qualche pocolino. Per questa cerimonia diventa Compare, e per conseguenza parente Spirituale. Una cerimonia così nojosa è molto analoga a quella, che solevano fare i Brami nella India. Ivi in vece del Compare, il Padre, quando si radeva la testa per la prima volta al fanciullo, diceva divotamente al rasojo: Rasojo, radi il mio figlio, come ài raso il Sole, ed il Dio Indro. Manco male, che il Compare fra’ Morlacchi non balbetta una stravaganza, così grande.

I Morlacchi ànno un trasporto, così eccessivo pe’ loro vestiti, che non li cangerebbono per qualche cosa di grande. Eglino stimano non esservi vestito più nobile al Mondo. Diviene l’obbrobrio de’ suoi Nazionali il Morlacco, che lo cangia. Corre un proverbio fra essi, che chi cangia di vestito, cangia anche di Religione. Quindi è da questo pregiudizio, che i loro Capi possono essere gli uomini i più giusti del Mondo, se ànno il vestito differente, non sono stimati da’ Morlacchi. Pare, che in questo non abbiano tutto il torto, e credon di dovere, che i Capi loro abbian a dimostrar col vestito di chi essi sono Capi. Fu fatta una doglianza su questo proposito, ed ella fu anche esaudita. Essa era contenuta in una Canzone, quale perchè descrive il lusso della nostra Nazione, e lo sprezzo, che ànno i Morlacchi per i vestiti degl’Italiani, stimai bene di tradurla in Italiano, e trascriverla quì a piedi. Io mi distacco qualche volta forse dalle parole dell’Autore, ma non gli altero mai il sentimento. [p. 117 modifica]

Ve’ là certuni Dalmatin’ Voivode,
Che appena giunti dell’Italia ai lidi
Italiani si fanno, ed àn rossore
Di chiamarsi Slavoni3. I loro crini
Tagliano tosto, e pongon la parrucca:
Portan Capello, in vece del Turbante,
Più che di fretta radono i mostacci,
Gettan di seta le lor fascie a parte,
Spoglian le belle vesti di Scarlatto,
Sprezzan Marame4 ricamate di oro,
I bei bottoni, le Jeçerme,5 e tutti
I cerchj grandi di purgato argento.6
Ma perchè questo, oh Dio, vedermi tocca!
Metton poi vesti, che divise in due
Le son di dietro7; e le calzette in piedi
Portan costoro, come fan le Donne.
Per non aver più de’ Campioni il segno,
Piastre di argento, e le preziose Pietre
An già deposte; e le dorate penne,
E gli achi di or all’Italiana il tutto
Àn convertito: La Dalmazia intiera,
E quanto più oltre Slavonia si estende,

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E borghi, e terre, e gran Cittadi, e ville
Àn deturpato ormai; e il lor concetto
Presso i Padroni di Venezia è tristo.
Oh vituperio! le lucenti Sciable
Si dislacciaro, e i mal aguzzi spiedi8
Posero ai fianchi lor. Se fosser questi
Campioni arditi, ed i più forti al Mondo
Quando li vede non li teme il Turco.
Dunque vi prego, come miei fratelli,
Ad accettar un sano mio consiglio.
Se un vero Nazional vi si presenta
Fuggite agli occhi suoi: se alcun vi chiede
La Patria, il nome, la Nazion, il luogo,
Non dite mai, che Dalmatini siete.9
Se de’ Falconi non avete l’ali,
E voi de’ cucchi il natural prendete.
Non stiate deturpar più la Dalmazia,
Ed irritar il Doge di Venezia;
Perchè Dalmazia de’ Falconi il nido
Fu sempre, ed è: sopra or le siede, e impera
Il Veneto Leon suo difensore.
Ma, Prence tu, corona mia lucente,

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Togli un scorno, di cui Dalmazia è piena.
Nelle tue mani posa, o mio Signore,
Di far vestir alla Slavona i Capi
Di una Nazione, che in tal modo veste,
O almen ritogli il pan, che loro doni.
Io te, mio Prence, in ogni modo onoro,
E pregando tal grazia, umil ti adoro.

  1. Nascivaçe è termine derivato da Nadscit, che vuol dir cucir sopra. Le Nascivaçe sono que’ pezzi de’ coturni, che si vedono fuori della scarpa, attaccati però alla scarpetta interna.
  2. Se la pioggia sorprendesse un Morlacco, che avesse il beretto novo, e che non avesse con che coprirsi il capo, si leva il beretto, e ben più volentieri, che guastarlo, riceve la pioggia sul capo nudo. Taluni volendo tener il beretto in capo, quando piove, voltano il rovescio all’infuori, così il diritto riceve il burro, ed altro untume del capo, ed il rovescio la pioggia.
  3. Questo nome di Slavoni, che significa gloriosi, gl’Italiani, che non sapevan pronunciarlo, lo convertirono in Schiavoni.
  4. Le Marame sono una specie di asciuttamani, curiosamente ricamati alle estremità.
  5. Le Jeçerme sonno le giubbe.
  6. Questi cerchi, che sono gli ornamenti delle giubbe, chiamansi in Illirico Toki.
  7. Lo strapazzo più comune, che sogliono dare i Morlacchi agl’Italiani è di dir loro Lazmani raztrixena perkna, cioè Italiani dell’ano tagliato, per la ragione, che i Saioni degl’Italiani son divisi in mezzo per di dietro.
  8. I Morlacchi chiamano spiedi le spade degl’Italiani.
  9. Il Poeta veramente dice, non dite mai di essere da Gliubglane, ch’è lo stesso, che ascondere il luogo nativo, ch’è la Dalmazia. Questo luogo di Gliubgane è nella Lika. Una volta i nostri Morlacchi sprezzavano i Likani, come poltroni, adesso i Likani sprezzano i nostri, perchè assai più poltroni di essi loro. Una volta per istrappazzo di poltroneria correva il proverbio Liçanska-Virro, Fede de’ Likani; ed ora corre per proverbio Kninska Virro; Fede de’ Kninani, perchè i Morlacchi del Territorio di Knin specialmente sono sempre in rissa con quei di Lika.