Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/370

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358 i bernardi

          Bolognino. Non può una ruffiana far buon’opera.
          Albizo. S’intende, buona per me; che non curomi
          del resto.
          Bolognino. Deh! Ve’ come e’ passi annovera!
          Aldabella. Die vi dia el buon di, Albizo.
          Bolognino. E io rimangomi
          nelle secche, ch?
          Albizo. Buon di.
          Aldabella. Oh! Perdonatemi,
          ch’i’ mi pensai col saluto medesimo
          salutar anco voi.
          Albizo. Si; che dependere
          da’ lor padroni e’ servidori sogliono.
          Bolognino. No; che, mangiando voi, non potre’ empiermi
          però il corpo.
          Albizo. Quando io in buon essere
          mi troverrò, stara’ anco tu benissimo.
          Bolognino. Io lo so; e con lei burlava.
          Albizo. Or ditemi
          un poco, mona Aldabella: in che termine
          è la mia cosa?
          Bolognino. Or cosi. Questo importaci
          piú che le burle.
          Aldabella. Ho fatta tutta l’opera
          che vi promessi.
          Albizo. Che?
          Aldabella. Ch’a l’ora dettavi
          sará a casa mia. Basta?
          Bolognino. Ehi, gioia
          mia!
          Albizo. Io vi resto obligatissimo.
          Aldabella. Albizo, le parole non mi sogliono
          empiere il corpo.
          Bolognino. Si: le donne vogliono
          fatti e non parole.
          Albizo. Io paratissimo
          son darli fatti a ogni mò.