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418 i bernardi

          vero) i’ vo dicendo ad ognun d’essere
          suo fratello; che è piú onorevole
          ed a me ed a lei.
          Noferi. Di questo lodovi.
          Piro. Fratel si chiama e piú che fratel amala;
          ch’è qui sol per suo amor e ave’ portataci
          la dote per maritarla.
          Noferi. Non piacemi
          quel dire «avea». Èssi mutato d’animo
          per questo?
          Bernardo. No; ma nata una disgrazia
          è: che dumila scudi, che portatoci
          avea, come dicea, per questa causa,
          mi sono stati tolti.
          Noferi. Come domine
          tolti? e da chi?
          Bernardo. Qui, da un vostro Uficio.
          Noferi. Che fia moneta sbandita?
          Bernardo. No, diavolo!
          Era tutt’oro.
          Noferi. Questo non può essere;
          ch ’a Firenze non s’usan questi termini.
          Bernardo. Cosí è la veritá. E, se io colpevole
          sono d’alcun error, ch’i’ possa incorrere
          in tutti e’ mali.
          Noferi. Non giurate.
          Bernardo. Potendone
          aiutar in tal caso, v’arem obligo.
          Ecco il comandamento; che mi citono.
          Noferi. Questo è degli Otto.
          Bernardo. Si; gli Otto si chiamano.
          Noferi. Venite meco in piazza. I’ vogl’intendere,
          prima, della Spinetta: ch’amicizia
          grande tengo con quel messer Rimedio
          che l’ha in casa, che, or or, ivi veddilo
          con quel baro; e, poi, dell’altra causa