Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/93

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atto quarto 81

cagione che i giovani del di d’oggi non si dilettano piú né di parasito né d’altra virtú nessuna. Piú presto si pigliano piacere di gittar sassi, dar qualche bastonata e ferita, bisognando. Tal sia di loro. Io, per me, non mi lamento. Cosí stesse sempre! Ma mi ricordo che ho d’andare a trovar Lorenzino per menarlo a messer Giannino. Ma ecco messer Giannino con Vergilio e con Marchetto. Mi par molto turbato. Vo’ sentir un poco, qui da canto, di quel che ragionano.

SCENA II

Messer Giannino, Marchetto, Sguazza, Vergilio.

Messer Giannino. Ed hallo visto Guglielmo co’ suoi occhi?

Marchetto. Coi suoi, credo; co’ miei non l’ha visto giá.

Messer Giannino. Ah traditor Lorenzino! A questo modo?

Marchetto. Lamentatevi di lei, che lui ha fatto il debito suo. Tanto arei fatt’io.

Sguazza. Che cosa può esser questa? Non l’intendo.

Messer Giannino. S’io non me ne vendico, s’io non me ne vendico, che io non possa mai riveder mio padre né mia sorella. Ahi Lucrezia crudele! Dove l’hai tu fondata a cambiarmi per questo furfante? Eh! Vergilio, fratello, mi ti raccomando, ch’io mi sento morire.

Vergilio. Padrone, fate buon animo. Se questa poltrona ha fatto questa vigliaccaria, voletela voi ancora amare? voletevi piú strugger per lei? non volete voi convertire in sdegno tutto quello amore che gli avete portato?

Messer Giannino. A dirti il vero, Vergilio, s’io credesse che questo fusse certo, mi accenderei di tanto sdegno che io non capitarci mai piú dove ella fusse. Ma so certo che gli è impossibile che Lucrezia abbia fatto questo errore.

Marchetto. Come non l’ha fatto? Io so che l’ha fatto e che Guglielmo gli ha legati e rinchiusi in cantina l’uno e l’altro.

Messer Giannino. Tanto manco lo credo.