Pagina:AA. VV. - Il rapimento d'Elena e altre opere.djvu/195

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no dover guardarsi da’ Custodi, che dagli insidiatori, egli tutto ciò osservando, e giudicati costori non Principi, ma peste della Città, diede a vedere, che più agevole ad un medesimo tempo è il comandare, e non esser di peggior condizione degli altri Cittadini, che ad una stessa legge ubbidivano. E in primo luogo la dispersa Città, e in varie Ville divisa, tutta unita rendendo, cotanto illustrò, che da quel tempo fino a’ dì nostri si mantenne la maggior della Grecia. E formatala di poi comune Patria, liberando gli animi del popolo dalle primiere angustie, fece, che a tutti nella contesa delle onorevoli Cariche aperta fosse la strada, credendo, che in egual modo egli avrebbe lor sovrastato, se in esercizio si fossero mantenuti, come se neghittosi rimasti fossero. Di più comprendendo più soavi esser gli onori, che da persone d’eccelso merito, di quelli, che da persone assoggettate derivano, tanto s’astenne di far qualche cosa ad onta de’ Cittadini, che anzi risolse di costituire il popolo Padrone della Repubblica, mentr’essi al contrario lui solo credettero degno di comandare, ben persuasi, che più fedele, e più comune stata sarebbe la di lui monarchia, che il popolare di lor governo. Che non era egli già di tal natura, che comandasse altrui la fatica, ed egli intanto alle delizie s’abbandonasse: ma suoi faceva prima i pericoli, e cogli altri tutti ne divideva i vantaggi. E così amato da ognuno chiuse i bei giorni, senza vedersi da veruno insidiato. Nè