Pagina:Abba - Le rive della Bormida.djvu/155

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«Galantuomo? Ebbene se lo siete...., il tesoro l’andremo a cavare insieme e adesso....

«Ma non pensate, che bisogna avere un palo di ferro, una marra, un diavolo che ci porti voi e me?

«L’ho qua io l’arnese....; ci aveva pensato....»

Mattia guardò il bastone su cui il villano si reggeva, e vide che era un badile. Si pentì allora della magra scusa trovata, e con aria di voler capacitare l’altro, diceva: «ma.... vedete, amico....

«Che amico!» — interruppe costui, facendo mazzo delle dita e picchiandosi sulla saccoccia del panciotto, dove aveva un gruzzolo di monete che suonavano assai chiaramente: — i miei amici sono questi! e voi li conoscete, perchè a furia di merende e di presti, mi costate più d’un paio di bovi....!»

Al suono di quelle monete, Mattia aveva veduto i milioni di scintille, come se gli avessero dato le ditate negli occhi; e da uomo esperto a trovar modo di scroccare il prossimo, nella mente le aveva già fatte sue. Nè sarebbe rimasto dal suo proposito, se lo stesso pievano fosse uscito dalla capanna, a pronosticargli che sarebbe morto nell’impresa.

«Date retta, — disse al villano — quando si fanno le cose, ci si deve aver pensato prima e bene. A trovare il tesoro, gli è come a trovare giù nella terra le sorgenti d’acqua... A questo son buoni i nati a sette mesi....; a trovare il tesoro ci vuole qualche altra virtù....; per esempio, la pietra del fulmine dà soventi nei campanili nevvero?..... ecco..... così oro fa oro..... e a scoprir il punto della terra dove si sa che dev’essere un tesoro nascosto, bisogna avere oro in mano, perchè tra questo e quello corrono misteri che ora non vi posso dire...; basta! verremo un’altra volta.... porteremo con noi qualche collana, qualche anello, vostra moglie ne avrà...»

Il pover’uomo infinocchiato a questo discorso, pose la mano sulla mano di Mattia quasi per rattenerlo, e disse pieno di speranza: