Pagina:Abba - Le rive della Bormida.djvu/235

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si fece traghettare all’altra sponda. Di là per campi e per vie traverse, andò a porsi in un’osteria campestre, vi mangiò vi bevè; s’allontanò quindi nè tristo nè lieto più di quello che fosse stato tutto il giorno; e per altra porta da quella che aveva passato ad uscire, tornò in città che il sole andava sotto.

Ridottosi in camera, si pose in gamba le meglio brache del suo corredo; indossò un panciotto ed un giubboncello di seta, ornati assai bene di sopragitti lungo le occhiellature, alle pettine, ai paramani; calzò un paio di scarpini leggeri; e tornato fuori prese la via verso il palazzo della Marchesa. Là trovo una turba di servi a terreno, una turba su per le scale; e in cima a queste gli si fece incontro quel domestico, che era stato il mattino ad invitarlo. Costui lo mise dentro ad una vasta sala, illuminata che meglio non poteva essere se vi fosse stato il sole; popolata come una chiesa in tempo d’uffici; e lo accompagnò coll’annunzio del suo nome alto e sonoro.

Giuliano si fermò sulla soglia un poco, e le orecchie gli fischiarono come ad uno che rompendo improvviso in una battaglia, capitasse nel più fitto grandinare delle palle. Tutti quei crocchi, tutte quelle teste bianche che non si lasciavano scernere le giovani dalle vecchie quegli occhi di donne, che si socchiudevano per isbirciare lui; gli fecero un senso tale, che per poco non diede di volta frettoloso. Ma la gentildonna padrona di casa gli mosse incontro, lo prese per una mano, lo trasse in mezzo a quelle beate amicizie; le quali tutte accennarono garbatamente di non disgradirlo; poi se lo fece sedere allato, e mentre i crocchi ripigliavano i loro parlari, essa si mise a discorrere con lui.

Egli era preso in fra due: da una parte lo splendore dei doppieri, la magnificenza delle arazzerie e delle supellettili, in cui era sfoggiato lo stile di non so quale Luigi; dall’altra le parole della gentildonna, che lo assaliva con una procella di domande, e di rimproveri,