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210      Aggiustare il mondo


profitto da opere che, in realtà, già erano state in qualche modo finanziate dai cittadini e dalle loro tasse.

Il punto, nodale, dei rapporti con gli editori interessati a questi prodotti della scienza è stato il campo di battaglia di Aaron per gran parte della sua vita.

In realtà, il copyright non era, per lui, materiale di specifico studio e interesse, ma gli interessava, per così dire, indirettamente: Lessig era riuscito a fargli comprendere come la battaglia attorno al copyright fosse, in realtà, una battaglia legata alla civiltà stessa di una società e ai diritti costituzionali dei cittadini.

Per Aaron, impegnato in battaglie per cambiare il mondo, il tema del copyright in sé era una “piccola cosa”, molto specifica e per tecnici. Ma era diventata enorme, e meritava tutti i suoi sforzi, quando aveva intravisto i suoi legami con la libertà (a rischio) della rete.

Occupandosi di open access, Aaron iniziò quindi a interessarsi del rapporto che si genera tra istituzioni (ad esempio: un’università), autori ed editori, con riferimento alla cessione dei diritti agli editori stessi e alle possibilità, sempre molto limitate, di riutilizzo della ricerca o di ri-pubblicazione della stessa in altri ambiti più aperti.

Contemporaneamente, avviò dei progetti per cercare di scoprire, nelle note degli articoli, dei collegamenti a finanziamenti specifici da parte di sponsor, che avrebbero potuto condizionare, orientare o, addirittura, falsare gli esiti di una ricerca.

Nel frattempo, il movimento open access si diffondeva sempre di più e prendeva anche forme ibride, sempre votate alla libertà dei contenuti, ma non conformi, letteralmente, ai canoni e ai principi dell’open access, come teorizzati nelle carte che sono state citate; le università, allo stesso tempo, iniziavano a pensare a repository istituzionali per cercare di raccogliere il più possibile, e “liberare”, versioni precedenti dello scritto pubblicato (ad esempio: bozze, pre-print o versione originale dell’autore).

Il movimento open access riuniva, in sé, tutto ciò che avrebbe motivato le azioni di Aaron: l’idea che i lavori in open access fossero facilmente reperibili sul web, che vi fosse, per tutta l’umanità, un accesso libero al sapere scientifico, che il lavoro si potesse riutilizzare per costruire nuova cultura ma, sempre, citando e rispettando l’autore, che fosse connotato da gratuità e, al contempo, che garantisse la stessa qualità (ad esempio: nel processo di peer review) delle pubblicazioni scientifiche “tradizionali”.

Il successo di un simile progetto richiedeva, però, il completo ripensamento dell’intero processo produttivo, condizionato da forti interessi e, in alcuni casi, da veri e propri monopoli economici e di mercato.

Occorreva mettere al centro del sistema trasparenza e accessibilità, nonché quel dubbio che tanto appassionava Aaron e che avrebbe permesso di mettere alla prova sempre, in tempo reale e da qualsiasi computer, la scienza.