Pagina:Albertazzi - Novelle umoristiche.djvu/279

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il falcone 265

po’ discinta, sedeva su la cassapanca: alzati, al rumore, gli occhi sonnacchiosi, riconobbe Ugo e componendosi la veste in fretta, tra sorpresa e sorridente disse: — Vieni, vieni. Cosa vuoi?

A Ugo, rinfrancato, precipitò in mente la dimanda che s’era proposto di far dopo, e raccolto il fiato bastevole per non restare a mezzo, chiese:

— Madonna, se chierico o cavaliere, borghese o valletto, non importa chi, amasse da gran tempo una bella donna, damigella o dama, contessa o regina, non importa chi, e non avesse cuore di dirglielo, sarebbe savio?

La domanda piacque a madonna, lieta non ostante l’assenza del marito; e per burlarsi del ragazzo, gli rispose: — Sarebbe stolto. Anche un valletto, purchè fosse bello e valente come te, dovrebbe parlare. Chi ama non sia vile; e ogni donna, anche una regina, n’avrebbe almeno almeno compassione.

Ugo con tutta l’anima bevve quelle buone parole e quasi ebbro di gioia esclamò: — Madonna Ginevra, ecco! sono io! Come ho patito, io, per voi! Aiutatemi, madonna!

La dama non rise: non credè che il ragazzo volesse burlarsi lui di lei, perchè gli scorse la passione in faccia; anzi indispettita d’essersi lasciata cogliere e offesa da quell’audacia, gridò severa: — Ah, ma tu sei matto! Che mi vai cicalando con le tue fole? Che so io dei tuoi