Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. II, 1966 – BEIC 9707880.djvu/25

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rime 19

Ah quanto, stolta! aspettar duol m’ingegno,
se io vinta arò poi a pentirmi
di mie parole e di mie lieve ingegno.
100Un guardo, un riso dolce, un sol gradirmi
che Archilago mi porga sì amoroso,
può me d’ogni odio ad amar convertirmi.
Io con mie ingiurie l’ho fatto sdegnoso,
che già suo ingegno sempre fu quieto,
105facile, umano verso me e piatoso.
E io che ’l provo troppo mansueto,
sciocca mai resto, mai, d’ingiuriarlo;
ogni sua grazia a me stessa vieto.
Dovre’ io sì, s’egli ama me, amarlo.
110Ma chi sa qui s’egli ama o e’ mi fugge.
Anzi, me trista, che non so odiarlo.
Ma lascia pur, lasc’ir ch’amor lo strugge.
Amor ti strugge, Archilogo; amore
non men che me, ben veggo, ancor te strugge.
115E che a me s’egli arde? E ’l suo dolore
liev’egli el mio? Sì, leva e m’è conforto
s’altri con meco langue in questo ardore.
Anzi me duol veder quant’io ho el torto
con un mie sdegno tormentar lui e me.
120Così più fiamme al mio seno apporto.
Poss’io far, hen, ch’io non mi sdegni? Che,
contro d’Archilago? Sì, contro te, sì:
e s’tu non ami me, debb’io amar te?
Tutto vedo, tutto odo, ben ch’io stia qui
125sola, deserta. E che poss’io pensare
di poi la notte ch’io te non vidi el dì?
Ed anche i’ ho chi me comincia a amare;
sì, e più d’uno, e begli sì bene.
Mai sì ch’io gli amo: e chi me ’l può vetare?
130Agilitta, Agilitta, e dove ène
in te la fede e intera fermezza?
Qual tu accusi in altri in te dov’ène?