Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. II, 1966 – BEIC 9707880.djvu/357

Da Wikisource.

naufragio 351

men rea fortuna, ma d’uscire di tanta molestia per allora non era che aspettare a noi né che consigliarci. Né intendevamo dove in tanto mare fossimo traportati, e questo ne parea ottimo per allora quanto potavamo sopra l’acqua con tutto el capo alitare. In quale nostro misero stato, oimè, e quante morte vedevamo noi! Ogni onda veniva con nostro eccidio. Pur mai, cosa maravigliosa, mai in tanti pericoli la speranza abandonò l’animo nostro, né mai l’animo mancò a sé stessi. Sempre fummo in questa fortitudine che sempre ne promettavamo qualche bene. E a me, qual credea mai più potere rivedere questo sole e questa luce, tornava in mente quello che dicono e’ poeti che, quando gli altri dii salirono el cielo, solo la Speranza rimase a fare compagnia a’ mortali posti in miseria e oppressi dalle calamità. E così sola questa dea a noi infelicissimi era propizia, né ci lasciava soccombere a tanti mali.


3.     Con lei durammo molte e molte ore per sino che ’l mare cominciò a meno esser aspero, onde questo luogo ove eramo inchiusi meno divenne acquoso. Non potavamo però pigliar modo di torci indi altrove, però che la nave era suvversa e piena d’acqua. Pur cominciammo a riaverci un poco, e nettammo el luogo da tanti ferri e gittammoli in molta parte fuori. Poi intenti pelle fessure guardavamo se da parte alcuna ne si presentasse alcun lito, e in questo guardare ogni onda che verso noi venia c’impauriva a morte. Parseci vedere qualche monte a lungi; quinci in noi nacque tanto desiderio di condurci in terra che fra tante molestie questa fu la maggiore, e dove testé sommersi in acqua