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naufragio 363

da uscirne. Non poterono, ché altro non avean che remi atti a rompere e’ tavolati. Adonque «Addio», dissero, «siate di buona voglia. Qui saremo subito con molti ferri, e con noi verrete». Noi, benché conoscessimo quella essere nostra salute, non è facile dire in quanto merore cademmo da molta letizia vedendoli partiti; e tanta ne tenea cupidità d’uscirne che dimenticammo ogni da noi sofferto pericolo accusandoci stolti che gittammo que’ ferri co’ quali testé apriremmo via a uscirne. Così non levavamo occhi da dosso a que’ pescatori quali per salvarci da noi si partiano. E parte ci dolea meno vedere chi ne salvava, e parte desideravamo ne fuggissero prestissimo per salvarci. Ed eravamo lieti insieme e mesti. E più preghiere allora al mare pacifico facemmo e più voti per la navigazion de’ pescatori che non avamo in la nostra tempesta fatte per noi. Aspettammogli parecchie ore agitati da tanti sospetti che io posso affermare che queste sole ore a noi furono più gravi che tutti e tre passati tempestosi dì.


9.     Pur rivennero a noi e’ pescatori presso a sera con liete voci qual fanno chi torna trionfando a’ suoi cittadini. Noi non potavamo languidi e attriti referire loro pari letizia colle voci. Adonque in fretta rotto el lato della nave ne riceverono in quella barca sua, ove doppo un poco soluti da maggior cure guardammo l’uno l’altro. O Dio, quali erano e’ nostri visi! El naso fatto acuto, le labbra flappe pendeano, gli occhi fuggiti ed evacuati, la barba setosa, le guance squalide, tutti osceni e simili o più sozzi in vista che que’ che già tre dì fussero stati morti. Tanto indizio in noi era della nostra sofferta calamità. Que’ pescatori, quando ne guatavano, per pietà lacrimavano. Noi fra noi, credo, pazzeggiavamo per letizia, beffavamo e’ nostri visi, e insieme domandavamo a cui fusse la faccia più atta a nozze. In questa ecco in una barchetta a remi velocissima el marito nuovo della nostra fanciulla, ch’avea